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Cronaca

Asportato tumore raro da 10 kg senza trasfusione: la paziente è testimone di Geova

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Scienza e religione sono spesso un binomio antitetico. Tuttavia, nell’ospedale Vito Fazzi di Lecce si è dimostrato che non sempre è così e che si può esercitare l’arte medica senza toccare i principi della fede. Un’operazione in data odierna dell’equipe coordinata dal direttore di Chirurgia generale Marcello Spampinato ha, infatti, confermato che è possibile l’asportazione di tumori senza trasfusioni di sangue. Una buona notizia, quindi, per chi è testimone di Geova, credo che vieta, per l’appunto, le trasfusioni. Tantopiù che giovedì 6 maggio è stata operata con successo una donna che aveva un tumore retroperitoneo di ben 10 chili. Un evento importante poiché si tratta di interventi in condizioni a dir poco difficili ed, in tal senso, sono rari gli istituti e le cliniche che accettano di non ricorrere al travaso ematico tanto che sono numerosi i centri che rifiutano questi pazienti. L’incidenza dei tumori retroperitoneali (estremamente rari) è di circa 1 ogni 100.000 persone l’anno, rappresentando una percentuale tra il 10 e 15% dei sarcomi dei tessuti molli. Ci sono diverse forme di sarcomi del retroperitoneo: le più note sono il liposarcoma ben differenziato, il liposarcoma dedifferenziato, il leiomiosarcoma ed il tumore fibroso solitario. Di recente, viene rilevato con più frequenza del passato anche il leiomiosarcoma ad origine dalle grosse vene retroperitoneali (p.e. leiomiosarcoma della vena cava). Il trattamento chirurgico di queste neoplasie è inevitabile nella maggior parte dei casi. In un’intervista apparsa sulla testata locale “Corriere Salentino” il chirurgo Spampinato ha commentato la buona riuscita dell’operazione: «È andata bene. Contiamo di dimettere la paziente tra qualche giorno. Non è stato necessario trasfondere. Ma la sala è stata predisposta con un sistema di recupero sangue a circuito chiuso per eventuale utilizzo del sangue perso». Peraltro, ha tenuto a ricordare il medico che la prevenzione per queste malattie è a dir poco difficile: «Sono tumori rari che si sviluppano nello spazio retroperitoneale dell’addome dislocando gli organi vicini e, pertanto danno segno della loro presenza solo tardivamente». È bene evidenziare che i pazienti che si professano testimoni di Geova non possono essere obbligati alle trasfusioni e ciò ne rende la rimozione molto difficile, specie se si tratta di un tumore di 10 chili, come quello dell’operazione che è ben visibile nella foto che noi dello “Sportello dei Diritti”, pubblichiamo in anteprima. In tal senso, il chirurgo ha sottolienato che «Bisogna stare molto attenti ed utilizzare tutte le precauzioni per evitare sanguinamenti. La sede anatomica è particolare: lo spazio retroperitoneale è situato nell’addome al di dietro dei visceri: non è facile ottenere una resezione chirurgica con ampi margini di sicurezza». Una buona notizia che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”,conferma come al Sud la Sanità possa manifestare eccellenze e buone prassi anche per il rispetto della fede altrui. L’equipe del primario di Chirurgia generale dell’Ospedale Civile “Vito Fazzi” di Lecce, Marcello Spampinato, ne è un chiaro esempio.

Il Dr. Marcello Spampinato è un luminare di fama mondiale uno dei chirurghi più bravi al mondo, un fuoriclasse della chirurgia epato-bilio-pancreatica, così come riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. E’ tra i pochi chirurghi italiani ad effettuare le resezioni epatiche maggiori per via laparoscopica (epatectomie maggiori) anche combinate con resezione di colon in un unico intervento. Quarantasette anni, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Catania nel 1997 con votazione finale di 110/110 cum magna laude. Ha poi conseguito la specializzazione in Chirurgia Generale presso l’Università degli Studi di Torino nel 2004 con votazione 70/70, lavorando per gran parte della periodo di formazione specialistica presso diversi centri di riferimento mondiale per la chirurgia del fegato e del pancreas tra cui Parigi, Lione e Londra. Nel 2005 ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione medica negli Stati Uniti d’America. Nel 2006 ha conseguito il diploma universitario di chirurgia epatobiliare rilasciato dall’universita’ Parigi Sud presso il centro epatobiliare dell’ Ospedale Paul Brousse. Dal 2006 al 2008 si è ulteriormente perfezionato nell’ambito della chirurgia epatobiliopancratica, dei trapianti di fegato e della chirurgia laparoscopica avanzata lavorando presso l’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (IsMeTT) di Palermo ed il centro terziario di referenza per le neoplasie del fegato e del pancreas dell’Universita’ di Southampton (Inghilterra) come Senior ClinicalFellow. Dal 2009 e’ rientrato in Italia occupandosi di chirurgia oncologica addominale ed in particolare della chirurgia laparoscopica avanzata delle neoplasie del fegato, vie biliari e pancreas. Nel Gennaio 2010 ha conseguito il Diploma di Dottore di Ricerca presso l’Universita’ di Catania. Nello stesso anno è stato il primo italiano ad ottenere il diploma europeo di specialista in chirurgia epatobiliopancreatica. Nel 2013 ha conseguito il Master Universitario di secondo livello in chirurgia robotica avanzata epatopancreatica e dei trapianti. Nonostante la giovane età è stato tra i primi chirurghi al mondo a realizzare un intervento di asportazione, in un unico tempo, del fegato destro e del colon sinistro per via totalmente laparoscopica; ed è stato autore di diverse pubblicazioni in prestigiose riviste scientifiche internazionali su questi interventi. Il Direttore della UOC del Vito Fazzi di Lecce ha al suo attivo una vasta esperienza professionale nella chirurgia oncologica addominale ed in particolare nelle chirurgia laparoscopica avanzata delle vie biliari, del fegato e del pancreas. L’80% dei suoi pazienti arriva dal sud Italia ed il suo obiettivo dichiarato è proprio quello di stoppare i cosiddetti ‘viaggi della speranza’ verso le strutture del Nord, consentendo a tutti quanti, abbienti e meno abbienti, di curarsi nella propria terra, con minor dispendio di denaro, anche per le casse della Regione Puglia.

Cronaca

Incendio sul litorale di Salve: ecco il CanadAir

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Un vasto incendio è divampato questa mattina tra Torre Pali e Pescoluse, nella zona costiera di Salve, nel basso Salento.

Le fiamme hanno interessato l’area di macchia mediterranea, minacciando diverse villette estive e la strada provinciale, invasa dal fumo e chiusa al traffico.

Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, per garantire lo svolgimento delle operazioni di spegnimento e impedire che le fiamme raggiungessero anche le spiagge di Pescoluse.

Fumo trasportato verso il mare: bagnanti allontanati

Il vento ha portato il fumo direttamente verso la costa, invadendo un tratto di spiaggia. Le nuvole nere hanno reso l’aria irrespirabile, costringendo molti dei bagnanti presenti a interrompere il bagno e lasciare la spiaggia.

Necessario un CanadAir

Non si registrano feriti o vittime.

Tuttavia, le fiamme hanno continuato ad espandersi e per riuscire a circoscriverle si è reso necessario l’intervento di un CanadAir, entrato in azione attorno alle 16.

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Cronaca

Maglie: defunti in ostaggio dei vivi

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di Lorenzo Zito

La coscienza popolare insegna che la morte non guarda in faccia a nessuno.

Eppure, a Maglie il trapasso non è sempre una livella, come recitava il grande Totò.

C’è un fenomeno in città che serpeggia sottotraccia e che riguarda la gestione del cimitero comunale, per alcuni migliorabile.

Capita, di tanto in tanto (ma nemmeno così troppo), che i loculi disponibili per le tumulazioni si esauriscano, a danno dei defunti che si ritrovano a dover attendere un posto dove poter riposare in eterno.

I nostri son piccoli centri: ne deriva che, fortunatamente, l’effetto non è quello di alcune grandi città del nostro Mezzogiorno, dove interi depositi si ritrovano a fungere da sale d’attesa per la sepoltura.

Tuttavia, anche a Maglie qualcosa di anomalo perdura, come da noi verificato, dopo che, in questi mesi, più d’una voce si era approssimata a riguardo all’orecchio della nostra redazione.

TRA POLITICA E CONFRATERNITE

L’attuale contesto è figlio di più contingenze.

Una di queste sembra essere una scelta politica intrapresa qualche amministrazione fa.

Circa 15 anni or sono, furono realizzati nuovi loculi e fu pubblicato un bando per la loro cessione ai cittadini attraverso un’azienda privata.

L’appalto fu vinto da una ditta che aveva mandato di cederli in serie (da 3, 6 o 9) a famiglie che volevano riservarsi uno spazio all’interno del cimitero cittadino.

Alcuni anni dopo la vendita in serie fu sciolta, procedendo (sotto l’amministrazione guidata da Antonio Fitto) alla vendita di ciascun loculo singolarmente.

Fu così che tutti i nuovi spazi furono ceduti a privati, lasciando chiaramente quella porzione di cittadinanza che non aveva voluto o non aveva potuto provvedere all’acquisto, sprovvista di una propria nicchia.

«TALVOLTA È CAPITATO»

Eccoci quindi arrivare ai giorni nostri, il cui contesto, per esser al meglio interpretato, necessita anche di una seconda prospettiva.

Quella inerente al ruolo delle confraternite cittadine.

A Maglie esistono quattro confraternite.

La Confraternita della Maria SS. Addolorata; la Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia; la Madonna delle Grazie e quella dei SS. Medici, che peraltro è tra le più grandi di Puglia (oltre 4mila confratelli).

Come accade quasi in ogni Comune, ciascuna confraternita possiede una cappella e dei loculi dedicati ai propri defunti all’interno del cimitero comunale.

Incontrando e dialogando con alcuni rappresentanti di queste, abbiamo avuto conferma di quanto si dice in paese: «talvolta è capitato» che arrivasse qualche chiamata per richiederci la disponibilità di loculi da far utilizzare a persone estranee alle confraternite. Così come talvolta capita che alcuni di questi loculi siano stati assegnati a dei non iscritti (magari negli spazi meno ambiti, come le ultime file della cappella, ci spiega qualcuno), per venire incontro alle richieste che si susseguono. La stessa cronaca lo racconta: la giovane magliese tragicamente scomparsa a Napoli lo scorso dicembre, in seguito all’incendio che ha colpito il B&B dove alloggiava, è stata tumulata tra i defunti della Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia, pur non essendone consorella.

Ecco allora che, leggendo tra le righe, qualcuno si spinge finalmente oltre e trova il coraggio di darci la sua lettura: da un lato, le confraternite vengono utilizzate come stampella per sopperire alla carenza di loculi pubblici; dall’altro, le stesse sono diventate l’approdo prediletto di chi, non volendo finire nella lotteria delle sepolture e non essendo disposto ad acquistare un loculo tutto per sé, si iscrive alla confraternita per pensare alla morte con meno patemi.

«Non prendiamoci in giro», commenta un esponente di una delle quattro confraternite, che preferisce restare anonimo, «in tanti oggi si uniscono alle confraternite non certo per fede, ma proprio per avere la certezza (in cambio di un obolo contenuto) di una sepoltura degna, all’interno di un contesto decoroso, come quello delle nostre cappelle, piuttosto che negli spazi pubblici, lasciati al degrado».

Controtendenza nella controtendenza, oltre al picco di devozione registrato a mo’ di indulto, si segnala anche un altro fenomeno: in un periodo storico in cui le famiglie tendono a perpetrare la sepoltura dei propri cari (anche ben oltre i 30 anni), sempre di più sarebbero a Maglie i confratelli che, per ottenere uno spazio all’interno delle cappelle, procedono alla dissepoltura di famigliari mancati da lungo tempo per far spazio ai propri cari defunti recentemente.

Da un lato quindi i loculi privati, già ceduti ai cittadini che si sono potuti permettere un posto da cui osservarsi nell’aldilà. Dall’altro le confraternite, che dispongono di una riserva di loculi, a volte croce ed altre delizia. A ciò si aggiunga un’altra informazione che, tra i denti, sfugge alle chiacchierate intercorse in questi giorni, sempre con alcune delle suddette confraternite: non di rado, vengono effettuate delle sepolture temporanee, nell’attesa di traslare la salma in loculi idonei non appena se ne presenti la possibilità.

«UN BISOGNO, NON UN’EMERGENZA»

Ma quando si presenta questa possibilità?

Lo dice, implicitamente, il sindaco facente funzioni, Antonio Fitto – già primo cittadino della città tra il 1997 e il 2000 – oggi subentrato in qualità di consigliere comunale più anziano, a seguito della sospensione del sindaco uscente Ernesto Toma, attualmente agli arresti domiciliari per presunti reati contro la pubblica amministrazione, come emerso da recenti inchieste giudiziarie.

«Non parlerei di emergenza», ci spiega Fitto, «al più di qualche estemporanea criticità. L’ultima volta in cui ricordo che una salma abbia dovuto attendere per la tumulazione risale al 2023».

«La nostra amministrazione», continua, «ha già previsto risorse da destinare alla costruzione di nuovi loculi. Attività non ancora partita solo per via di un avvicendamento negli uffici comunali, che ha rallentato l’iter. L’intenzione», ammette infine, «è quella di non dover più inseguire le estumulazioni».

L’AGO DELLA BILANCIA

Sono quindi le estumulazioni il vero ago della bilancia.

L’unico elemento in grado di garantire nuovi posti ai nuovi defunti.

L’idea del Comune per venir meno a questa dinamica, tuttavia, sembra quella di replicare le misure di qualche anno fa: «Realizzeremo dei nuovi loculi a schiera, che saranno messi in vendita. In questo modo, il Comune potrà rientrare delle somme investite».

Emerge insomma un dato evidente: i loculi disponibili sono terminati, e oggi si “insegue” l’estumulazione per fare spazio. E se è vero che presto si procederà alla realizzazione di nuovi loculi, è altrettanto vero che questi verranno messi in vendita.

Ciò significa che, una volta acquistati da cittadini ancora in vita – desiderosi di garantirsi uno spazio per il futuro – il ritorno alla situazione attuale è più che un rischio.

Sul tema ha preso parola anche il gruppo consigliare all’opposizione, Maje Noscia, affermando che «la gestione del cimitero va completamente ripensata, anche adottando un nuovo Piano Regolatore Cimiteriale. Le attuali criticità sono figlie anche della scelta compiuta dall’amministrazione nel 2010, all’epoca guidata da Antonio Fitto, che ha ritenuto affidare in concessione ad un’impresa privata i lavori inerenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione del cimitero (la cui cattiva esecuzione dei lavori è sotto gli occhi di tutti), in cambio del diritto del privato a realizzare e vendere 21 edicole funerarie, oltre che circa 700 singoli loculi».

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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