Cronaca
Casarano: non bastava farsi una risata?
Il manifesto satirico commissionato dal gruppo che ha vinto le elezioni scatena il finimondo. Ma davvero si può parlare di messaggio mafioso?

di Antonio Memmi
“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo: un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per parlare e un tempo per… tacere”.
Piuttosto azzardato, lo riconosco, aprire con una citazione dalle sacre scritture ma, se questi principi valgono per le grandi cose, ancor di più avranno valenza per le piccole, misere cose terrene come può essere una campagna elettorale che, prima o poi dovrà pur terminare. In quel periodo ciò che dovrebbe accadere è vedere i candidati che cercano, con qualunque mezzo di propaganda, di conquistare la fiducia di chi andrà a votare.
Casarano purtroppo è uscito piuttosto malconcio dalla campagna elettorale che si è chiusa solo qualche settimana fa per tutta una serie di attacchi sotto la cintura che i contendenti alla poltrona di sindaco si sono dati.
Con lo scoccare della mezzanotte del venerdì precedente al ballottaggio, tutti fanno il segno della croce ringraziando il buon Dio, piamente convinti che quello schifo, in un modo o nell’altro, era finalmente terminato.
Pia illusione… Già la notte dello spoglio, dopo aver avuto conferma che il futuro sindaco sarebbe stato lo stesso Gianni Stefàno che aveva già governato nei precedenti 5 anni, ignoti” affiggono alcuni manifesti 6 x 3 in cui quasi tutti i personaggi politici appena sconfitti alle urne, vengono raffigurati con delle caricature e delle battute dalle pretese satiriche.
Ora, a dire il vero, il livello satirico della mega vignetta non è certo all’altezza di Vauro o Forattini anzi, possiamo tranquillamente dire che è piuttosto brutta e abbastanza stucchevole ma, almeno, dà l’effimera impressione di poter cancellare con una risata tutti i veleni della vigilia.
L’illusione, però, dura davvero pochissimo: quasi subito l’esercito del pensiero politicamente corretto si scatena sui social, scandalizzandosi per le inqualificabili offese rivolte agli sconfitti. L’apoteosi dello sconcerto la si raggiunge quando, guardando in basso a destra, raffigurata a mezzo busto, come nell’atto di uscire da una buca, ci si accorge esserci Marilù Mastrogiovanni, la nota giornalista da sempre impegnata nella lotta alle varie mafie e, da tempo, apertamente schierata contro l’amministrazione Stefàno.
A dire il vero, guardando la caricatura si ha più l’impressione che la si volesse rappresentare come una talpa che esce dalla sua tana e, fra le possibili interpretazioni, visto che la scritta attribuitole recita “Remigio, scrivo? Scrivo?” ci potrebbe stare l’interpretazione satirica di essere la giornalista al servizio di quel particolare schieramento politico ed in particolare dell’ex sindaco Remigio Venuti. Ma evidentemente la prima impressione non conta perché in un attimo ci si ritrova a parlare (tanto per cambiare) di mafia con quella tana che di colpo diviene una buca in cui sotterrare la giornalista e quindi un ”sinistro messaggio mafioso” e da lì in poi tutto un rincorrersi di solidarietà piena, di denunce di vario tipo, sino ad arrivare alla sottosegretaria Teresa Bellanova che sente l’irrefrenabile necessità ed urgenza di denunciare l’accaduto al Prefetto.
Oddio, sarebbe in assoluto la prima volta che la mafia firma una vignetta con tanto di nome e cognome dell’autore o lascia tracce di un comitato elettorale che l’avrebbe commissionata e questo dovrebbe aiutare a smorzare i toni ma ormai la macchina della legal-solidarietà è già partita e quindi impossibile fermarla.
E così, qualche giorno fa, si arriva a parlare, in un ordine del giorno del Consiglio Regionale delle “minacce e intimidazioni rivolte alla sottoscritta”, così come dichiara Marilù, “da sindaco, consigliere comunale e amministrazione comunale di Casarano” (voto regionale per decidere se inviare o meno il fascicolo alla commissione nazionale antimafia).
A questo punto però, una riflessione appare opportuna. Con Marilù siamo sicuramente al cospetto di una professionista brava, talentuosa, coraggiosa e preparata ma che si è probabilmente lasciata un po’ prendere la mano sul voler a tutti i costi dimostrare un legame fra la passata amministrazione Stefàno e quella criminalità organizzata presuntuosamente chiamata mafia. Si sa che i giornalisti non possono essere imparziali, dovrebbero però essere soltanto intellettualmente onesti: cioè rendersi conto delle proprie passioni, tenersi in guardia contro di esse e mettere in guardia i propri lettori contro i pericoli della giornalistica parzialità.
Dire quindi: “ci spieghino gli inquirenti ed i magistrati perché le intercettazioni del 2103 non hanno portato a misure di prevenzione” cambia un po’ la missione del giornalista.
Il giudice e gli inquirenti sono (vivaddio) indipendenti e fanno il loro mestiere e se decidono di inquisire qualcuno è perché sospettano che quel qualcuno possa aver commesso un reato e, come primo atto, inviano a quel qualcuno un avviso di garanzia. Di contro, se ascoltano (come nel caso specifico) delle intercettazioni, e non ravvedono reati su cui doversi nemmeno impegnare a raccogliere prove, chiudono le indagini (così come è accaduto). Un giornalista si deve limitare a narrare i fatti, ad affiancare ad essi il proprio commento ma non dovrebbe intimare alle istituzioni di dare conto del proprio operato o mettere in dubbio le capacità della magistratura o peggio, usando la frase: “o non c’è stata la volontà di andare a fondo?” mettendo addirittura in dubbio la buona fede stessa dei magistrati.
Il manifesto-vignetta non c’è più sulle pareti della città ma ormai è nelle carte bollate delle indagini che hanno (facilmente) stabilito che il committente è stato il comitato pro-Stefàno (spiazzando tutti coloro che pensavano potesse esser stato magari il PD). La giustizia farà ora il proprio corso e noi aspetteremo in trepidante attesa di capire dai giudici se quella vignetta era un inquietante messaggio mafioso o la barzelletta stupida del fantasma formaggino.
“L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere” (G. Salvemini).
Cronaca
Incendio sul litorale di Salve: ecco il CanadAir

Un vasto incendio è divampato questa mattina tra Torre Pali e Pescoluse, nella zona costiera di Salve, nel basso Salento.
Le fiamme hanno interessato l’area di macchia mediterranea, minacciando diverse villette estive e la strada provinciale, invasa dal fumo e chiusa al traffico.

Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, per garantire lo svolgimento delle operazioni di spegnimento e impedire che le fiamme raggiungessero anche le spiagge di Pescoluse.
Fumo trasportato verso il mare: bagnanti allontanati

Il vento ha portato il fumo direttamente verso la costa, invadendo un tratto di spiaggia. Le nuvole nere hanno reso l’aria irrespirabile, costringendo molti dei bagnanti presenti a interrompere il bagno e lasciare la spiaggia.
Necessario un CanadAir

Non si registrano feriti o vittime.
Tuttavia, le fiamme hanno continuato ad espandersi e per riuscire a circoscriverle si è reso necessario l’intervento di un CanadAir, entrato in azione attorno alle 16.
Cronaca
Maglie: defunti in ostaggio dei vivi

di Lorenzo Zito
La coscienza popolare insegna che la morte non guarda in faccia a nessuno.
Eppure, a Maglie il trapasso non è sempre una livella, come recitava il grande Totò.
C’è un fenomeno in città che serpeggia sottotraccia e che riguarda la gestione del cimitero comunale, per alcuni migliorabile.
Capita, di tanto in tanto (ma nemmeno così troppo), che i loculi disponibili per le tumulazioni si esauriscano, a danno dei defunti che si ritrovano a dover attendere un posto dove poter riposare in eterno.
I nostri son piccoli centri: ne deriva che, fortunatamente, l’effetto non è quello di alcune grandi città del nostro Mezzogiorno, dove interi depositi si ritrovano a fungere da sale d’attesa per la sepoltura.
Tuttavia, anche a Maglie qualcosa di anomalo perdura, come da noi verificato, dopo che, in questi mesi, più d’una voce si era approssimata a riguardo all’orecchio della nostra redazione.
TRA POLITICA E CONFRATERNITE
L’attuale contesto è figlio di più contingenze.
Una di queste sembra essere una scelta politica intrapresa qualche amministrazione fa.
Circa 15 anni or sono, furono realizzati nuovi loculi e fu pubblicato un bando per la loro cessione ai cittadini attraverso un’azienda privata.
L’appalto fu vinto da una ditta che aveva mandato di cederli in serie (da 3, 6 o 9) a famiglie che volevano riservarsi uno spazio all’interno del cimitero cittadino.
Alcuni anni dopo la vendita in serie fu sciolta, procedendo (sotto l’amministrazione guidata da Antonio Fitto) alla vendita di ciascun loculo singolarmente.
Fu così che tutti i nuovi spazi furono ceduti a privati, lasciando chiaramente quella porzione di cittadinanza che non aveva voluto o non aveva potuto provvedere all’acquisto, sprovvista di una propria nicchia.
«TALVOLTA È CAPITATO»
Eccoci quindi arrivare ai giorni nostri, il cui contesto, per esser al meglio interpretato, necessita anche di una seconda prospettiva.
Quella inerente al ruolo delle confraternite cittadine.
A Maglie esistono quattro confraternite.
La Confraternita della Maria SS. Addolorata; la Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia; la Madonna delle Grazie e quella dei SS. Medici, che peraltro è tra le più grandi di Puglia (oltre 4mila confratelli).
Come accade quasi in ogni Comune, ciascuna confraternita possiede una cappella e dei loculi dedicati ai propri defunti all’interno del cimitero comunale.
Incontrando e dialogando con alcuni rappresentanti di queste, abbiamo avuto conferma di quanto si dice in paese: «talvolta è capitato» che arrivasse qualche chiamata per richiederci la disponibilità di loculi da far utilizzare a persone estranee alle confraternite. Così come talvolta capita che alcuni di questi loculi siano stati assegnati a dei non iscritti (magari negli spazi meno ambiti, come le ultime file della cappella, ci spiega qualcuno), per venire incontro alle richieste che si susseguono. La stessa cronaca lo racconta: la giovane magliese tragicamente scomparsa a Napoli lo scorso dicembre, in seguito all’incendio che ha colpito il B&B dove alloggiava, è stata tumulata tra i defunti della Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia, pur non essendone consorella.
Ecco allora che, leggendo tra le righe, qualcuno si spinge finalmente oltre e trova il coraggio di darci la sua lettura: da un lato, le confraternite vengono utilizzate come stampella per sopperire alla carenza di loculi pubblici; dall’altro, le stesse sono diventate l’approdo prediletto di chi, non volendo finire nella lotteria delle sepolture e non essendo disposto ad acquistare un loculo tutto per sé, si iscrive alla confraternita per pensare alla morte con meno patemi.
«Non prendiamoci in giro», commenta un esponente di una delle quattro confraternite, che preferisce restare anonimo, «in tanti oggi si uniscono alle confraternite non certo per fede, ma proprio per avere la certezza (in cambio di un obolo contenuto) di una sepoltura degna, all’interno di un contesto decoroso, come quello delle nostre cappelle, piuttosto che negli spazi pubblici, lasciati al degrado».
Controtendenza nella controtendenza, oltre al picco di devozione registrato a mo’ di indulto, si segnala anche un altro fenomeno: in un periodo storico in cui le famiglie tendono a perpetrare la sepoltura dei propri cari (anche ben oltre i 30 anni), sempre di più sarebbero a Maglie i confratelli che, per ottenere uno spazio all’interno delle cappelle, procedono alla dissepoltura di famigliari mancati da lungo tempo per far spazio ai propri cari defunti recentemente.
Da un lato quindi i loculi privati, già ceduti ai cittadini che si sono potuti permettere un posto da cui osservarsi nell’aldilà. Dall’altro le confraternite, che dispongono di una riserva di loculi, a volte croce ed altre delizia. A ciò si aggiunga un’altra informazione che, tra i denti, sfugge alle chiacchierate intercorse in questi giorni, sempre con alcune delle suddette confraternite: non di rado, vengono effettuate delle sepolture temporanee, nell’attesa di traslare la salma in loculi idonei non appena se ne presenti la possibilità.
«UN BISOGNO, NON UN’EMERGENZA»
Ma quando si presenta questa possibilità?
Lo dice, implicitamente, il sindaco facente funzioni, Antonio Fitto – già primo cittadino della città tra il 1997 e il 2000 – oggi subentrato in qualità di consigliere comunale più anziano, a seguito della sospensione del sindaco uscente Ernesto Toma, attualmente agli arresti domiciliari per presunti reati contro la pubblica amministrazione, come emerso da recenti inchieste giudiziarie.
«Non parlerei di emergenza», ci spiega Fitto, «al più di qualche estemporanea criticità. L’ultima volta in cui ricordo che una salma abbia dovuto attendere per la tumulazione risale al 2023».
«La nostra amministrazione», continua, «ha già previsto risorse da destinare alla costruzione di nuovi loculi. Attività non ancora partita solo per via di un avvicendamento negli uffici comunali, che ha rallentato l’iter. L’intenzione», ammette infine, «è quella di non dover più inseguire le estumulazioni».
L’AGO DELLA BILANCIA
Sono quindi le estumulazioni il vero ago della bilancia.
L’unico elemento in grado di garantire nuovi posti ai nuovi defunti.
L’idea del Comune per venir meno a questa dinamica, tuttavia, sembra quella di replicare le misure di qualche anno fa: «Realizzeremo dei nuovi loculi a schiera, che saranno messi in vendita. In questo modo, il Comune potrà rientrare delle somme investite».
Emerge insomma un dato evidente: i loculi disponibili sono terminati, e oggi si “insegue” l’estumulazione per fare spazio. E se è vero che presto si procederà alla realizzazione di nuovi loculi, è altrettanto vero che questi verranno messi in vendita.
Ciò significa che, una volta acquistati da cittadini ancora in vita – desiderosi di garantirsi uno spazio per il futuro – il ritorno alla situazione attuale è più che un rischio.
Sul tema ha preso parola anche il gruppo consigliare all’opposizione, Maje Noscia, affermando che «la gestione del cimitero va completamente ripensata, anche adottando un nuovo Piano Regolatore Cimiteriale. Le attuali criticità sono figlie anche della scelta compiuta dall’amministrazione nel 2010, all’epoca guidata da Antonio Fitto, che ha ritenuto affidare in concessione ad un’impresa privata i lavori inerenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione del cimitero (la cui cattiva esecuzione dei lavori è sotto gli occhi di tutti), in cambio del diritto del privato a realizzare e vendere 21 edicole funerarie, oltre che circa 700 singoli loculi».
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Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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