Lecce
Cinema Santa Lucia: l’ultima proiezione
“Ci ritroveremo all’esterno, in forma apolitica ed apartitica per commemorarlo, con un’ultima proiezione, in un tentativo di mossa mediatico/malinconica che smuova l’animo di tutti
Quando si osserva una saracinesca abbassata definitivamente ci si pone una laconica domanda: “Quanto ci metterà la polvere a posare là dentro? Cosa deteriorerà prima?”. Inutile dire poi quali possibilità malinconiche attivi questa vacua e decadente previsione.
Quando tocca poi ad un luogo a cui ti lega un’affezione, il ragionamento si complica, a ridosso dei groppi in gola, che il pensiero conseguentemente sgancia. In questo caso il cinema Santa Lucia non era soltanto una sala cinematografica, per molti era un luogo dell’anima, un ritrovo di appassionati, ma non abbastanza purtroppo, che ad ogni occasione, ad ogni uscita dell’ultima pellicola d’autore, sapevi ti saresti ritrovato intorno. Ogni volta che ci si metteva piede si sapeva esattamente che ci si sarebbe dovuti sperticare nel saluto di amici di pellicola, ascoltando i loro perché sul film in proiezione, o magari ci si sarebbe amorevolmente picchiati all’uscita, poiché se è confermata la teoria sulla sacra soggettività, non esiste un gusto che accomuni mai un parere all’uscita di un film (e vivaddio…). Il cinema Santa Lucia nasceva in una realtà cittadina leccese, subito dopo la seconda guerra, con l’entusiasmo dei primi film giunti da oltreoceano, a cui seguirono gli anni del cinema neorealista italiano ed autoriale europeo. Purtroppo con il susseguirsi dei generi più filmicamente modaioli, le nuove tendenze artistiche e tecniche, nonché le mutazioni tecnologiche che gli anni hanno imposto come dolby surround, poltrone vibranti, 3D, e tutte le diavolerie che si trovano nelle sale IMAX, i cinema come la citata “Santa” è indubbio che abbiano cominciato a soffrire della pressione del nuovo, a discapito della tradizionale proiezione, che a sua difesa aveva solo e soltanto la scelta artitisticamente qualitativa.
Se ad un bimbo, all’entrata di un luna park, gli si chiede di scegliere tra la giostra ultima arrivata, e la giostra più tradizionale, difficilmente sceglierà quest’ultima, e spesso, uno spettatore è anche un bimbo sotto questo punto di vista, quindi non sorprendano i commenti che tacciavano questo cinema di non essere al passo con i tempi, quasi meritevole di prematura fine.
In una realtà odierna, dove la “fracassoneria” va a discapito dell’ascolto del dialogo, non ci si può meravigliare che un effetto speciale oscuri l’originalità di scelte coraggiose fatte solo ed esclusivamente per una proiezione d’autore.
Purtroppo la realtà racconta che in tempi come questi, un cinema che si specializza sull’autoriale, debba quasi in automatico andare incontro ad indifferenze sempre maggiori, a sale sempre più vuote, quindi sempre a maggiori difficoltà nel gestire e tenere a galla i conti. Occorre ammetterlo, il cinema Santa Lucia è morto anche a causa nostra, come l’Odeon prima di lui.
Mercoledì sera, dalle ore 20,30, ci ritroveremo all’esterno, in forma apolitica ed apartitica per commemorarlo, con un’ultima proiezione, in un tentativo di mossa mediatico/malinconica che smuova l’animo di tutti, enti, comuni, assessori di competenza nei quali confidiamo in una scelta civica e gloriosa che metta un “no” davanti ad uno sradicamento di un luogo che aveva assunto anche una storicità, e che non potrebbe istituzionalmente vedersi ridotto in ennesimo ed inutile centro commerciale. Come se questa città fosse soltanto un’immensa e ripetitiva mandibola bisognosa di cibo per denti, senza occhi, senza mente, senza orecchie appresso…
Occorre altresì dire che la serata, condizione imposta da parte degli organizzatori, non avrà sfoggio di colori politici di alcun tipo, pertanto non saranno gradite bandiere, né slogan pre elettorali; tutti coloro che vorranno aderire al dibattito sono liberi di farlo.
Ad ognuno chiediamo di portare una seggiola, per poter garantire una adeguata visione.
Le autorità competenti hanno garantito uno svolgimento della serata a traffico controllato, di questo li ringraziamo così come altresì ringraziamo la loro sentita collaborazione per la realizzazione di tale evento, il Santa Lucia stava e starà nel cuore di tutti i leccesi. A dare il via alla serata sarà lo storico proiezionista del Santa Lucia, Pasquale Ciccarese, a cui chiederemo per l’ultima volta, di avviare la pellicola “C’era una volta il west”, tale gesto farà da corollario simbolico e significativo a questo nostro omaggio, da cittadini affezionati, amanti del cinema e irriducibili romantici. Sperando in un destino non del tutto miope alle sincere esigenze del nostro vivere, per ritornare a credere in una cultura che è anche investimento, e non soltanto business e per un bene comune che non taccia a questo ennesimo scempio che sta per compiersi, e questo lutto cui rassegnarsi non sia un ennesimo silenzio.
Elena Riccardo
Approfondimenti
Lupini, carrubi e fichi i migliori figli spuri della terra salentina
Non c’è che dire, ieri, in un modello esistenziale più semplice, si aveva interesse, e attenzione, anche per beni “poveri” ma, con ciò, non meno utili di altri; oggi, il concetto di valore si è in certo senso ripiegato su se stesso e finalizzato a obiettivi e orizzonti di tutt’altra stregua, fra cui miraggi a portata di mano…
di Rocco Boccadamo
Sono frutti, prodotti, derrate, cui, adesso, si annette rilievo scarso, se non, addirittura nullo; si è quasi arrivati a ignorarne l’esistenza, la cura e l’uso.
Sulla scena delle risorse agricole locali, resistono appena, con alti e bassi, le granaglie, le olive, l’uva, gli agrumi, gli ortaggi e/o verdure.
Lupini, carrube e fichi sono, insomma, divenuti figli minori e spuri della terra, le relative coltivazioni appaiono rarefatte e, di conseguenza, i raccolti trascurati o abbandonati. Mentre, sino alla metà del ventesimo secolo ma anche a tutto il 1960/1970, rappresentavano beni indicativi per i bilanci delle famiglie di agricoltori e contadini ed elementi di non poco conto per le stesse, dirette occorrenze alimentari.
I primi, della sottofamiglia delle Faboidee, al presente richiamati solo sulla carta e nelle enciclopedie come utili ai fini della decantata “dieta mediterranea”, si trovavano diffusi su vasta scala, specialmente nelle piccole proprietà contadine attigue alla costiera, fatte più di roccia che di terra rossa, si seminavano automaticamente e immancabilmente senza bisogno di soverchia preparazione del terreno, né necessità di cure durante il germoglio e la crescita delle piante, dapprima in unità filiformi, poi robuste e ben radicate sino all’altezza di metri 1 – 1,50, recanti, alla sommità, rudi baccelli contenenti frutti a forma discoidale, compatti, di colore fra il giallo e il beige – biancastro.
Al momento giusto, le piante erano divelte a forza di braccia e sotto la stretta di mani callose e affastellate in grosse fascine o sarcine. A spalla, i produttori trasportavano quindi tale raccolto nel giardino o campicello, con o senza aia agricola annessa, più prossimo alla casa di abitazione nel paese, lasciandolo lì, sparso, a essiccare completamente sotto il sole.
Dopo di che, avevano luogo le operazioni di separazione dei frutti dai baccelli e dalle piante, sotto forma di sonore battiture per mezzo di aste e forconi di legno. Diviso opportunamente il tutto, con i già accennati discoidi, si riempivano sacchi e sacchetti.
Il prodotto, in piccola parte, era conservato per le occorrenze, diciamo così, domestiche: previa bollitura e aggiuntivo ammorbidimento e addolcimento con i sacchetti tenuti immersi nell’acqua di mare, i lupini diventavano una sorta di companatico o fonte di nutrimento di riserva e, in più, servivano ad accompagnare i “complimenti”, consistenti in panini, olive, sarde salate, peperoni e vino, riservati, in occasione dei ricevimenti nuziali, agli invitati maschi. Invece, l’eccedenza, ossia la maggior parte del raccolto, era venduta a commercianti terzi.
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Le carrube sono i favolosi e bellissimi pendagli, color verde all’inizio e marrone sul far della maturazione, donatici dagli omonimi maestosi alberi, taluni di dimensioni monumentali, tutti affascinanti.
Anche riguardo alle carrube, non si pongono attenzioni particolari, salvo periodiche potature delle piante, i frutti si raccolgono, al momento, purtroppo, da parte di pochi, attraverso tocchi con aste di legno, un’operazione denominata abbacchiatura, come per le noci.
Il prodotto, copioso e abbondante ad annate alterne e riposto in sacchi di juta, oggi è indirizzato esclusivamente alla vendita a terzi; al contrario, in tempi passati ma non lontanissimi, le carrube, dopo l’essiccazione al sole, erano in parte abbrustolite nei forni pubblici del paese e, conservate in grossi pitali in terracotta, insieme con le friselle e i fichi secchi, componevano le colazioni e, in genere, i frugali pasti in campagna dei contadini.
Piccola nota particolare, d’inverno, poteva anche capitare di grattugiare le carrube e, mediante la graniglia così ottenuta mescolata con manciate di neve fresca (beninteso, nelle rare occasioni in cui ne cadeva), si realizzava un originale e gustoso dessert naturale e sano.
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I fichi, al momento, purtroppo, lasciati, in prevalenza, cadere impietosamente ai piedi degli alberi, erano, una volta, oggetto di una vera e propria campagna di raccolta, ripetuta a brevi intervalli in genere sempre nelle prime ore del mattino, con immediato successivo sezionamento (spaccatura) dei frutti e disposizione dei medesimi su grandi stuoie di canne, “cannizzi”, e paziente fase di essiccazione sotto il sole.
Allo stesso modo delle carrube, in parte erano poi cotti nei forni e andavano a integrare le fonti dell’alimentazione famigliare, in parte erano somministrati agli animali domestici, in parte, infine, erano venduti.
Soprattutto, se non proprio, per i fichi, le famiglie avevano l’abitudine, in luglio e agosto, di spostarsi fisicamente dalle case di abitazione nel paese, nelle piccole caseddre di pietre situate nelle campagne, cosicché si risparmiavano le ore occorrenti per l’andata e il ritorno di ogni giorno a piedi e avevano, in pari tempo, agio di attendere direttamente e più comodamente a tutte le fasi della descritta raccolta.
Non c’è che dire, ieri, in un modello esistenziale più semplice, alla buona e intriso di spontanea connaturata operosità, si aveva interesse, e attenzione, anche per beni “poveri” ma, con ciò, non meno utili di altri; oggi, il concetto di valore si è in certo senso ripiegato su se stesso e finalizzato a obiettivi e orizzonti di tutt’altra stregua, fra cui miraggi a portata di mano.
Appuntamenti
La fiamma olimpica arriva a Lecce e in molti Comuni del basso Salento
I tedofori designati, che porteranno la torcia olimpica, saranno Fefè De Giorgi, Olsi Paja e Stefano Petranca…
Domani, lunedì 29 dicembre 2025, Taranto accoglierà la fiamma olimpica, per poi proseguire a Lecce e provincia.
Il 30 dicembre, infatti, sarà a Lecce (dalle 17 alle 19,30) e in alcuni comuni del Salento, prima di proseguire la marcia dei tedofori verso Brindisi.
Sarà a Nardò (dalle 9,25) per poi passare da Gallipoli (dalle 11 alle 13). Poi si dirigerà a Presicce-Acquarica (intono alle 13), poi ancora a Maglie (alle 15:30) e ad Otranto (16:30), prima dell’arrivo a Lecce, dove ci sarà la celebrazione dell’accensione del braciere a Porta Napoli.
I tedofori designati, che porteranno la torcia olimpica, saranno Fefè De Giorgi, Olsi Paja e Stefano Petranca.
Musica e danza della “Notte della Taranta” faranno da cornice per il passaggio della fiamma olimpica.
Appuntamenti
Il 30 e 31, a Lecce, due serate con Pop Out Festival, Roy Paci e Aretuska
Piazza Sant’Oronzo, con il suo straordinario valore storico e simbolico, diventa così una scenografia naturale che unisce musica, architettura e identità urbana, offrendo a cittadini e visitatori un’esperienza culturale autentica
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