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Approfondimenti

A Salve l’Hotel dei migranti

Il nostro reportage in una delle sedi nelle quali l’associazione Arci realizza il progetto di prima accoglienza per gli immigrati richiedenti asilo politico

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I ragazzi hanno appena terminato di studiare. Mi vedono arrivare, mi stringono la mano e sorridono. Sorridono sempre, è il loro modo per comunicare, per dirti che sono contenti di essere qui.


Gli operatori dell'ARCI Rino, Michele e Agnese con alcuni degli ospiti dell'Arca Hotel

Gli operatori dell’ARCI Rino, Michele e Agnese con alcuni degli ospiti dell’Arca Hotel


Michele Contaldi, tre lauree magistrali, uno dei tre operatori dell’Arci, l’associazione che gestisce il progetto, parla con loro: “Non è un avvocato! State tranquilli! Interview is not for Commission but for the newspaper! Ti hanno scambiato per l’avvocato”, mi dice, “sono tutti richiedenti asilo politico e sono in attesa che la Commissione territoriale riconosca loro lo status di rifugiato. I tempi di attesa tuttavia superano di gran lunga quelli previsti dalla legge, prolungando così l’emergenza”.

Arriva un ragazzo nigeriano che s’era perso il discorso e baldanzoso, dritto dritto, fa quello che avevano fatto gli altri: mi dà la mano e mi saluta. E tutti a ridere. Un suo amico in italiano lo richiama: “Ehi! Muntari, che fai? Vieni qui!” Lo chiamano come il giocatore del Milan. In effetti sembra il fratello minore.


L’accoglienza e l’integrazione


L’Arca Hotel di Salve è una delle sedi nelle quali l’associazione Arci realizza il progetto di prima accoglienza per gli immigrati richiedenti asilo politico in attesa di essere trasferiti nei CARA. Il progetto è stato assegnato con bando dalla Prefettura di Lecce. “I ragazzi arrivano qui accompagnati dalla polizia, non hanno nulla se non un documento con i loro dati”, ci racconta Agnese Riso, anche lei operatrice Arci con una laurea in sociologia. Continua: “Noi ci occupiamo di tutto: dai vestiti alle prime necessità, li fotosegnaliamo se non è stato già fatto. La priorità è l’assistenza sanitaria: le cure ospedaliere per i cittadini irregolari privi di risorse economiche viene assicurata tramite il rilascio di un tesserino STP (Stranieri Temporaneamente Presenti). Poi richiediamo anche la tessera sanitaria. Inizia così la loro permanenza nel centro. Molti di loro ci restano per mesi. Vogliamo che si integrino con il territorio che li ospita. Ogni mattina io e Michele facciamo lezioni di italiano presso la sala conferenze che l’Amministrazione comunale ci ha messo a disposizione. Imparare la lingua è il primo passo per l’integrazione. E’ importante per loro uscire, lasciare l’albergo per andare a scuola. Lo fanno volentieri e si aiutano tra di loro e devo dire che danno una grossa mano anche a noi!”.


Il calcio, il vero motore


I ragazzi nel pomeriggio si allenano con gli Amatori Calcio di Marciano e Patù. “Lo sport è una grande opportunità”, dice Rino Letizia, il terzo operatore Arci, uno che lì dentro, se non ci fosse, lo si dovrebbe inventare. Comunica con i ragazzi come se parlasse ad un suo amico, con amore e gentilezza ma anche con decisione: “Andate a studiare che di questo passo l’italiano non lo imparate!”. Loro sorridono e prendono il quaderno tra le mani. Una sana dose di praticità e realtà che rende sincero il rapporto. “Giocare a calcio è un modo per stare insieme agli altri: e sono pure bravi!”, continua Rino. Poi si ferma un attimo e guarda Muddasar, un ragazzo Pakistano: “Insomma… mica tutti. Lui non è proprio un campione” e giù una risata. Ride pure Muddasar. “Ma è bravissimo a costruire i muri in pietra. Il migliore. I ragazzi hanno fatto un corso di formazione professionale per diventare esperti in costruzione di muretti a secco ed hanno rifatto i muri di alcune strade di Salve”. Michele ci tiene a sottolineare che “vengono da tutto il mondo, hanno diverse usanze, culture, religioni e idee, ma si aiutano tra di loro come fratelli, mettono a disposizione il loro tempo per gli altri. Di recente ci sono stati dei nuovi arrivi. Tutti hanno dato una mano, senza risparmiarsi”.


I costi dell’accoglienza


I rifugiati costano allo Stato 30 euro più Iva al giorno. A fronte di tale corrispettivo giornaliero all’immigrato si devono garantire il servizio di assistenza alla persona e di mediazione culturale, la fornitura di beni, servizi di gestione amministrativa, assistenza sanitaria, pulizia e igiene ambientale, l’erogazione dei pasti, e un pocket money di 2,50 euro.

“Questo è un aspetto importante”, insiste Agnese, “qualcuno crede che ai ragazzi vengano dati trenta euro al giorno. Non è così: hanno a disposizione 2,50 euro per le piccole necessità. È’ bene che si sappia. Se hanno avuto un diniego dalla Commissione la polizia fornisce loro un permesso di lavoro temporaneo e possono dunque lavorare. Lavorare sarebbe il massimo per completare il processo di integrazione”.

“Si parla tanto dei costi dei centri di accoglienza”, dice Anna Caputo presidente provinciale dell’associazione Arci, “ma il problema è legato ai tempi di permanenza dei richiedenti asilo politico che restano nel centro tanto, troppo tempo, in attesa della sentenza delle Commissione che, per problemi burocratici, tarda ad arrivare: sei, otto mesi, anche un anno. Per ridurre la spesa basterebbe accorciare i tempi dell’iter. Lo Stato investe su questi ragazzi, insegna loro la lingua, li accoglie, fa di tutto per integrarli e poi? Poi lo status di rifugiato per la maggior parte di loro resta un sogno perché non ci sono i presupposti. Sicuramente porteranno con loro quello che hanno imparato ma non c’è alcun ritorno dell’investimento fatto. Riducendo i tempi si ridurrebbero i costi e tutto il processo avrebbe un significato”.


E la notte tutto ritorna…


“Queste persone lasciano una terra che non gli appartiene più”, racconta Roberta Micali, la psicologa che segue i ragazzi, “cercando di integrarsi in un’altra, che spesso non hanno scelto, definita da una lingua, norme culturali, abitudini e degli stili di vita spesso completamente diversi dalle proprie, nella quale, non vi è calore ma spesso lunghi periodi di “inesistenza”, discriminazione, emarginazione e giudizio costante. Gli orrori vissuti, sono tenuti faticosamente a bada di giorno, mentre, di notte, si ripresentano con forza raddoppiata. Nella solitudine della veglia, le urla, il rumore delle bombe, riecheggiano nelle loro orecchie, nei sogni terrifici e negli incubi. Il calore e l’accoglienza della popolazione ospitante potrebbe costituire un fattore di protezione da ulteriori stress per la loro salute psichica”. Ed il territorio? “E’ da qualche anno che l’hotel ospita immigrati”, spiega il sindaco di Salve, Vincenzo Passaseo, “L’Amministrazione è vicina a questi ragazzi cercando di soddisfare le eventuali richieste e mettendo a disposizione le proprie strutture, come la sala conferenze per le lezioni ed il campo sportivo. Siamo a disposizione per ogni tipo di necessità”.

Sono ragazzi giovani, senza famiglia, senza nulla, con tanta nostalgia ed una dignità immensa. Oggi vorrebbero restare, domani andare e poi tornare. Lavorare, più semplicemente vivere. Prendere il treno ed andare via, chissà dove. Forse a casa. Ma non possono. Sono profughi di guerra o persone in cerca di una vita migliore. E che differenza c’è? Nessuna. Credo proprio che la cosa sia del tutto indifferente. Del tutto indifferente.


Muddasar: “In Pakistan mi hanno portato via la terra con la forza”


MUDDASARMuddasar ha 26 anni e viene dal Pakistan. È arrivato in Italia nel febbraio del 2014 ed è il più “anziano” del centro. La commissione ha già rigettato la sua domanda di asilo ed ora spera nel ricorso con l’aiuto di un avvocato. “Sono scappato dal Pakistan ed era l’ultima cosa che avrei voluto fare. Mio padre ha lavorato in Germania per molti anni ma nel 2000 è venuta a mancare mia madre e così è ritornato a casa. Siamo stati perseguitati da chi ha voluto in tutti i modi portarci via la nostra terra. In Pakistan la corruzione è ovunque, sopratutto negli organi che dovrebbero essere preposti a proteggerci e a tutelarci. La mia colpa? Non voler cedere ai ricatti. Ci hanno costretto con la forza, con aggressioni, a privarci di quello che avevamo. Mio padre mi ha detto di andare via e di ritrovare la mia libertà. Sono partito ormai da 8 anni. Ho passato 6 mesi in Turchia e sette anni in Grecia dove ho lavorato come cuoco in un ristorante. Lì un avvocato mi ha chiesto tremila euro per aiutarmi ad avere l’asilo politico, ma non mi hanno dato nulla. Non era più possibile stare in Grecia anche perchè i militanti di destra più volte mi hanno aggredito. Allora per duemila euro ho fatto la traversata in barca a vela dalla Grecia qui in Italia. Sto bene a Salve con gli altri ragazzi. Mi piacerebbe lavorare in un ristorante”.


Charles: “Sono cristiano e in Nigeria… Il mio sogno? Peace!”


CHARLESCharles viene dalla Nigeria ed ha 25 anni. E’ in hotel dallo scorso giugno. Parla solo inglese, Michele ed Agnese mi danno una mano.

Sembra il più smaliziato dei tre, con un sorriso contagioso. Ha un braccio rotto e lo mostra soddisfatto: “E’ successo giocando a calcio. Mi alleno a Patù con gli Amatori Calcio”. “È bravino!”, scherza Michele, “forse lo tesserano per il campionato”. E lui: “Forza Lazio!”. Ed io: “Perché la Lazio?” Ride: “Ci gioca Onazi, nigeriano come me!”.

Quello che ci racconta è difficile da credere. Il sorriso non c’è più: “Ho attraversato il Niger ed il Mali fino ad arrivare in Libia, a piedi ed in autobus. Economicamente in Nigeria non stavo male: studiavo e lavoravo come commesso in un super market. Ma appartengo ad una famiglia cristiana e da noi la maggioranza sono musulmani. Persecuzioni religiose e scontri politici mi hanno costretto ad andare via dal mio Paese, dove la guerra non è mai finita ed è sempre lì, in agguato”.

Non dice altro, resta in silenzio. E prima che gli potessimo chiedere altro cambia discorso: “Lo sapete che suono le percussioni ed il basso. Mi piacerebbe suonare ancora!”. “Allora mettiamo su una band con gli altri ragazzi!”, lo stuzzica Agnese. E lui a ridere ancora senza nascondere un po’ di imbarazzo. E quando gli chiedo qual è il suo sogno non esita un secondo: “Peace!” E non c’è bisogno di interprete…


Shobhan: “Nel mio Paese ero al primo anno di Medicina”


SHOBHANShobhan viene dal Bangladesh, ha 22 anni ed è a Salve da agosto. E’ il più piccolo dei tre, lo si vede. Timido e silenzioso. Si accarezza la barba, mi dice che è fiero di portarla. Gli chiedo di che fede è. È musulmano.  “Ma non studio il corano”, si affretta a precisare, “ho la barba come un Imam ma non lo sono. Studiavo medicina, ero al primo anno. Nel mio Paese ho cinque sorelle e quattro fratelli, mia madre è morta. È difficile pensare a loro così lontani. Io sono giovane e cerco di guardare avanti. Vorrei restare qui in Italia e lavorare. Poi anche riprendere i miei studi ma per ora spero che mi ascoltino e che io possa rimanere in Italia”.


I rifugiati in Italia


mappa delle migrazioniLa definizione di rifugiato è contenuta nella Convenzione di Ginevra, firmata da 147 Stati nel 1951, che descrive come rifugiato colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese”. Il rifugiato è una persona costretta a chiedere protezione in un Paese straniero, perchè abbandonare il proprio Paese è l’unico modo in cui può salvare la propria vita o libertà. Il diritto di asilo e di chiedere protezione è garantito anche dall’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. In Italia vivono 58mila rifugiati: un numero contenuto rispetto ad altri Paesi dell’Ue, basti pensare ai 571.000 rifugiati che vivono in Germania o ai 193.500 del Regno Unito (fonte UNHCR).


I centri per l’immigrazione


(Fonte Ministero dell’Interno)


Le strutture che accolgono e assistono gli immigrati irregolari sono distinguibili in tre tipologie.


Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA)

Sono strutture allestite nei luoghi di maggiore sbarco, dove gli stranieri vengono accolti e ricevono le prime cure mediche, vengono fotosegnalati, viene accertata l’eventuale intenzione di richiedere protezione internazionale e vengono smistati verso altri centri.

Centri di accoglienza (CDA)

Sono strutture destinate a garantire una prima accoglienza allo straniero irregolare. L’accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l’allontanamento.

Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA)

Sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l’identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.

Centri di identificazione ed espulsione (CIE)

Tali centri si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari. Il Decreto-Legge n. 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n. 129/2011, ha fissato il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri a 18 mesi complessivi.


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Offerte luce e gas: quali tipologie esistono e quando sceglierle

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Offerte Luce e Gas

Con l’avvento del mercato libero, le offerte luce e gas si sono moltiplicate. Pensate per soddisfare le più svariate abitudini di utilizzo e necessità di risparmio, possono rendere piuttosto complessa la scelta.

Il consumatore che desidera abbattere i costi in bolletta cambiando offerta e non vuole avere spiacevoli sorprese, non può limitarsi a una lettura superficiale dei costi e delle tariffe indicate. È molto importante che presti attenzione a tutte le caratteristiche e i dettagli, i quali possono davvero fare la differenza.

In questo articolo andremo a scoprire quali sono le principali tipologie di offerte presenti sul mercato e quale tariffa luce e gas conviene in base alle proprie esigenze.

Tariffe a prezzo fisso o indicizzato

La prima grande differenza della quale tenere conto quando ci si appresta a scegliere una nuova offerta luce e gas riguarda il modello di prezzo, il quale può essere fisso o variabile.

Le tariffe a prezzo fisso sono quelle che mantengono invariato il costo al kWh per un periodo di tempo in genere non inferiore ai 12 mesi. Utili per non risentire delle oscillazioni negative dei mercati dell’energia elettrica e del gas, sono una scelta adatta ai nuclei familiari con un budget rigido, i quali non possono correre il rischio di ricevere, all’improvviso, bollette molto più salate del solito. Risultano inoltre perfette per coloro i quali preferiscono non avere brutte sorprese e non sono interessati a sfruttare gli eventuali ribassi dei prezzi.

Le offerte con tariffe variabili sono invece quelle che prevedono un prezzo indicizzato al PUN – per la corrente elettrica – o al PSV o PSBIL – per il gas. In questo caso, i costi in bolletta possono variare con una certa frequenza, aumentando o diminuendo a seconda dell’andamento del prezzo all’ingrosso. Le tariffe indicizzate sono ideali per chi non teme e può sostenere aumenti imprevisti, e desidera sfruttare in suo favore eventuali ribassi.

I consumatori che non vogliono rinunciare del tutto ad avvantaggiarsi di eventuali riduzioni dei prezzi all’ingrosso, ma che, allo stesso tempo, non hanno budget particolarmente elastici e non voglio assumersi troppi rischi, possono optare per una terza tipologia di tariffa, ossia per quella indicizzata, ma con Cap. In questo caso, il prezzo può aumentare, ma solo entro un certo margine e non può superare il tetto massimo stabilito.

Offerte con tariffe PLACET

Quando si consultano le varie offerte di luce e gas disponibili, ci si può imbattere in un particolare termine: PLACET. In realtà, questo è un acronimo e sta per “Prezzo Libero A Condizioni Equiparate di Tutela”.

Le offerte PLACET sono quelle che prevedono prezzi stabiliti dai fornitori, senza limiti o vincoli, ma condizioni contrattuali imposte dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente.

Messe obbligatoriamente a disposizione da ogni fornitore e disponibili sia in versione indicizzata sia in quella con tariffa fissa, sono ideali per chi preferisce effettuare un passaggio graduale dal mercato tutelato a quello libero e non vuole rinunciare alle condizioni contrattuali dell’ARERA.

Le offerte luce green

Tra le tante tipologie di offerte tra le quali scegliere, rientrano anche quelle green, generalmente riservate alla corrente elettrica. Variabili a seconda del venditore, prevedono energia 100% certificata da fonti rinnovabili attraverso il meccanismo delle GO e particolari agevolazioni, le quali possono consistere in sconti, bonus o su una riduzione nel tempo della componente fissa della bolletta.

Questa tipologia di offerta è ideale per chi desidera ridurre l’impatto del suo stile di vita sull’ambiente, ottenendo anche un beneficio economico.

Soluzioni dual fuel o bollette separate

Chi desidera cambiare offerta di corrente elettrica e di gas può optare per una soluzione dual fuel – ossia che includa in un unico contratto sia la fornitura di luce sia quella del gas – o per offerte separate.

Le offerte dual fuel sono pensate principalmente per chi utilizza sia corrente elettrica sia gas e desidera trovare soluzioni più vantaggiose per entrambe le utenze, pagando un’unica bolletta.

Quelle separate sono invece perfette per chi vuole cambiare offerta solo per una delle due forniture o semplicemente preferisce pagare bollette separate. Racchiudere entrambe le utenze in uno stesso pagamento può portare a delle offerte da parte dei fornitori, mentre scegliendo soluzioni singole si ha la possibilità di attivare tipologie di offerte diverse, puntando ad esempio su un’offerta green per la luce e su una PLACET per il gas.

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Per svelare i misteri celati apre il laboratorio archeologico di Torre Guaceto

Dalla scoperta della necropoli avvenuta nel 2019 a oggi, sono state recuperate 108 urne provviste di ciotole di copertura, deposte il più delle volte in pozzetti scavati nella roccia e poi coperti con piccoli accumuli di terra. In qualche caso, gli archeologi portato alla luce tombe di pregio recanti un cippo in pietra che ne segnalava la posizione e con all’interno urne decorate con motivi geometrici e corredi in bronzo e ambra…

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A tu per tu con con i ricercatori: apre il laboratorio archeologico di Torre Guaceto, fino al 30 giugno si potrà assistere ai microscavi sulle urne cinerarie della riserva

I ricercatori stanno portando alla luce i misteri celati nelle urne rinvenute nella necropoli a cremazione di Torre Guaceto.

Per l’occasione, fino al 30 giugno, gli utenti potranno accedere liberamente al laboratorio archeologico del Consorzio di Gestione della riserva e ascoltare il racconto della storia del luogo.

Lo studio della necropoli a cremazione dell’età del Bronzo continua e, mentre nelle annualità precedenti si è svolto sul campo con campagne di scavo, quest’anno è condotto nel laboratorio archeologico di Torre Guaceto.

Il team di ricerca del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento diretto dal professore Teodoro Scarano, in accordo con la Soprintendenza, ha avviato presso il laboratorio di archeologia di Torre Guaceto una campagna di studio delle urne rinvenute nel corso delle ultime due campagne di scavo nell’area della necropoli che si estende sotto la sabbia della spiaggia delle conchiglie dell’area protetta.

Le attività vedono la partecipazione degli studenti dei corsi di laurea triennale e magistrale, della Scuola di specializzazione in Beni archeologici e di assegnisti e dottorandi del Dipartimento di Beni Culturali dell’Ateneo salentino che svolgono attività didattiche e tirocini curriculari.

I microscavi delle urne cinerarie, ovvero la lenta rimozione del terriccio che le riempie al fine di individuare i resti ossei dei defunti e gli eventuali oggetti di corredo che li accompagnano, stanno restituendo importanti testimonianze relative sia ai resti umani, sia agli oggetti deposti che consentiranno di ricostruire i costumi funerari delle comunità dell’età del Bronzo, secondo millennio a.C., di Torre Guaceto e di raccontare le storie di questi individui.

Dalla scoperta della necropoli avvenuta nel 2019 a oggi, sono state recuperate 108 urne provviste di ciotole di copertura, deposte il più delle volte in pozzetti scavati nella roccia e poi coperti con piccoli accumuli di terra. In qualche caso, gli archeologi portato alla luce tombe di pregio recanti un cippo in pietra che ne segnalava la posizione e con all’interno urne decorate con motivi geometrici e corredi in bronzo e ambra.

Torre Guaceto è l’unica riserva italiana ad avere un laboratorio di archeologia, un luogo nel quale giungono i materiali provenienti dalle ricerche in corso nel territorio e nel quale si svolgono tutte le attività di processamento e studio – ha dichiarato il presidente del Consorzio di Gestione dell’area protetta, Rocky Malatesta – “Questo grazie alla grande attenzione dell’ente per l’ambito storico-archeologico, gli investimenti fatti negli anni per la ricerca e la conservazione e ad una convenzione stipulata tra noi del Consorzio di Gestione di Torre Guaceto, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Brindisi e Lecce e il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento.

E siamo convinti che tanta bellezza e conoscenza debba essere alla portata di tutti – ha sottolineato il presidente del Consorzio -, da qui la decisione di aprire le porte del nostro laboratorio per permettere agli utenti di assistere al lavoro degli archeologi e di scoprire la nostra storia”.

Da oggi e fino al 30 giugno, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17, il team dell’Università del Salento accoglierà gli utenti presso il laboratorio di Torre Guaceto, nella borgata di Serranova, la posizione https://g.co/kgs/Lfye3iF

Crediamo nella ricerca e nella conoscenza per tutti – ha chiuso il presidente del Consorzio, Malatesta -, dal 2008 investiamo nelle indagini archeologiche e valorizziamo il nostro patrimonio, sostenendo il gruppo di ricerca dell’Università del Salento nello svolgimento dell’attività di studio, collaborando alla scrittura di progetti che hanno poi consentito di realizzare gli allestimenti museali della della torre e del centro visite, dando vita al laboratorio archeologico di Torre Guaceto, ma non ci fermiamo, ora l’obiettivo è creare un vero e proprio museo”.

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Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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