Approfondimenti
Costruire salentino, come eravamo
Giuseppe Maria Costantini, Conservatore-Restauratore di Beni Culturali: dalle coperture ai soffitti interni, dagli intonaci ai pavimenti interni ed esterni, dalla “suppinna” alla “loggia”: i caratteri tradizionali tipizzanti dell’edilizia salentina

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di Giuseppe Maria Costantini
(Conservatore-Restauratore di Beni Culturali)
Mi si chiede: «Se qualcuno volesse costruire un’abitazione secondo i canoni della tradizione salentina cosa dovrebbe fare? Quali sono gli aspetti più caratteristici e tipizzanti?».
Le abitazioni del Salento sono sempre state alquanto eterogenee in relazione alla condizione socio-economica e culturale dei loro abitanti, così caratterizzando i vari paesi e quartieri urbani, anche vicinissimi tra loro, inoltre, sono molto cambiate nel corso dei secoli, anche in breve tempo quando ce ne fosse un’importante condizionamento esterno.
Basti considerare che nel Salento, almeno fino al sedicesimo secolo, tutte le coperture degli edifici erano costituite da tetti spioventi e tegole in terracotta, come nel resto d’Italia.
Tra l’altro, la copertura esterna a spioventi corrispondeva largamente a soffitti interni in legno, sia lasciati a vista sia nascosti da incannucciate ricoperte da intonaci a stucco, come nel resto d’Italia.
Tale lunghissima “stagione dei tetti” vedeva anche pavimenti interni che, dove non fossero un umile battuto di terra, erano frequentemente in legno, nudo o variamente rifinito, oppure in terracotta, nuda o financo maiolicata; l’impiantito in pietra era destinato in prevalenza agli spazi esterni, o aperti, nonché a rimesse e opifici.
Tornando alla questione posta: come e più del resto d’Italia, nel Salento il consumo del suolo, dal secondo dopoguerra del Novecento a oggi, è stato enormemente maggiore che dalla preistoria allo stesso secondo dopoguerra; pertanto, non si dovrebbe più consumare neppure un metro-quadrato di terreno agricolo o naturale per costruire checchessia.
Ciò detto, innumerevoli edifici dell’ultimo secolo, privi di particolari valenze storiche o artistiche, necessiterebbero di importanti interventi “di costruzione”.
Si tratta di edifici variamente inefficaci in fatto di materiali di cui sono costituiti, di caratteri strutturali-statici, oppure affatto indecenti in termini di funzionalità, e/o di forma e di aspetto.
In altre parole, le tante costruzioni inadeguate e brutte che ci circondano dovrebbero essere radicalmente demolite e, ove necessario, ricostruite in termini idonei, o, se possibile e opportuno, parzialmente manomesse, recuperandone quanto già idoneo e sostituendone quanto inidoneo.
Che siano totali o parziali, è essenziale che tali auspicabili rigenerazioni tengano nella massima considerazione i caratteri tradizionali e tipizzanti del Salento, anzi, in particolare, che siano armoniche al centro abitato, o alla località di campagna, cui appartengono.
Il nostro grande intellettuale e poeta Vittorio Bodini, in Foglie di tabacco (1945-47), tipizza fantasticamente un carattere cardinale delle abitazioni pugliesi e salentine: «… le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dado».
Tuttavia, neppure l’imbiancatura in bianco vale per ogni località: molti centri abitati, costieri e no, erano caratterizzati da prevalenti imbiancature di calce addizionata a pigmento, fino a ottenerne colori pastello, rosa, ocra gialla, azzurro, turchese, verde, ne era un esempio emblematico Gallipoli.
Perchè spellare le case?
Ne parlo al passato perché negli ultimi decenni è invalsa la deleteria moda di spellare le nostre abitazioni, fino a mostrarne l’orditura muraria in pietra, come si trattasse di un edificio non terminato.
Infatti, restando ai caratteri tradizionali tipizzanti: le abitazioni salentine, dalla più umile al palazzo nobiliare, quando edificate fino a conclusione, all’esterno e all’interno, erano immancabilmente intonacate o, comunque, rifinite con uno strato superficiale, quale rivestimento tradizionale del materiale lapideo costruttivo, con valenze funzionali ed estetiche, e ciò riguardava persino cantine e stalle.
Oltre alle coperture esterne a terrazza, destinate a convogliare le acque piovane nelle cisterne, un altro carattere tipizzante delle nostre abitazioni era la presenza di spazi interni aperti: ortali, giardini, cortili al piano terreno; al piano superiore: terrazze complanari, terrazze soprastanti, spesso dotate di suppinna o attico, nonché verande, balconi e balconcini.
In particolare, le facciate, anche quando di dimensioni contenute, tendevano ad avere uno spazio aperto protetto: portico, loggia, o loggetta a serliana.
Il colore degli infissi
Similmente alle murature, che dovrebbero mostrarsi sempre vestite, anche gli infissi, secondo tradizione, non mostrano mai il loro legno a vista, neppure quando pregiato.
Il colore degli infissi, come quello delle imbiancature tradizionali, era largamente condizionato dalla tradizione della località.
Certamente per le porte e i portoni, o le persiane, il colore più tipizzante era il verde (in infinite tonalità locali, più o meno scure), o, soprattutto per le località costiere, l’azzurro; seguono le tonalità del bruno-grigio.
A ogni modo, lontano dall’avere svolto questo interessante e poliedrico tema, spero di avere stimolato la vostra attenzione e rispetto per la conservazione e il recupero delle nostre tradizioni costruttive e del nostro bel paesaggio.
GIUSEPPE MARIA COSTANTINI
Conservatore-Restauratore di Beni Culturali.
Possiede numerose specializzazioni, tra cui superfici dell’architettura.
Lungamente ricercatore e docente di Restauro per l’Università di Bologna, oltreché per altri prestigiosi enti nazionali.
Su diretto invito del dirigente Arch. Piero Cavalcoli (Urbanista), ha partecipato all’elaborazione del DRAG della Regione Puglia (Schema di Documento Regionale di Assetto Generale).
*Nella foto in alto, Specchia da “I Borghi più belli d’Italia”
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Approfondimenti
Dopo 15 anni torna Santa Fumìa
La Chiesa di Santa Eufemia, o Santa Fumìa come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano….

Sono trascorsi più di 15 anni, da quando il rione specchiese di Santa Eufemia si è vestito a festa l’ultima volta per onorare la martire cristiana.
Nella serata di sabato 12 luglio ritorna La Festa di Santa Fumìa, evento organizzato, con il sostegno dell’amministrazione comunale, dall’associazione Santa Eufemia che ha ritenuto necessario ritornare alle radici della storia del luogo sacro simbolico con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale e spirituale del territorio.
La Chiesa di Santa Eufemia, o Santa Fumìa come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano.
Come il culto della santa sia arrivato in Occidente e perché a Specchia, i libri di storia locale non lo riportano.
Nell’anno in corso del Giubileo, questo luogo sacro assume un significato storico, in quanto è poco distante dall’antica Via dei Pellegrini, l’itinerario che i fedeli dei secoli scorsi percorrevano per raggiungere il Santuario di S. Maria di Leuca, oppure in senso contrario, la città santa di Roma, eleggendo la chiesetta a luogo di riposo spirituale e fisico, come testimoniato dagli oggetti antichi ritrovati intorno.
Il programma della serata prevede, alle 19, la celebrazione della santa messa, presieduta da don Antonio Riva, parroco di Specchia. Alle 20, il “Kids Diy!” Creative workshop, a cura di Cicciopasticcio, laboratorio artistico-espressivo per i più piccoli.
Dalle bancarelle collocate nel parchetto della Chiesa di Santa Eufemia, sarà possibile acquistare dei manufatti artigianali e gustare dei prodotti tipici agroalimen-tari dallo stand gastronomico.
Approfondimenti
A Tricase “PROXIMA”: il cibo racconta il territorio
Domani, presso l’ex Mattatoio comunale di Tricase, oggi sede del Laboratorio di Comunità

Sabato 5 luglio, l’ex Mattatoio comunale di Tricase – oggi sede del Laboratorio di Comunità (in foto durante un precedente Open day) – apre le sue porte per ospitare “PROXIMA – Diffondiamo produzioni di prossimità”, un evento dedicato al cibo sano, locale e accessibile, organizzato nell’ambito del progetto europeo FOOD4HEALTH.
Promosso dal Laboratorio di Comunità di Tricase, in collaborazione con il Comune di Tricase e il CIHEAM Bari, PROXIMA non sarà un semplice open day, ma un’occasione concreta per riflettere – e assaporare – il legame profondo tra alimentazione, territorio, sostenibilità e comunità.
Il programma si apre alle 18:30 con un talk pubblico dedicato alle politiche del cibo, che vedrà la partecipazione di esperti, amministratori locali, rappresentanti di reti e associazioni del territorio. Un confronto aperto su salute, produzione etica, scelte alimentari consapevoli e promozione delle economie locali.
Dalle 19:00, spazio al gusto e alla scoperta:
– Mercato agricolo e artigianale con i produttori locali
– Mostra pomologica dedicata alla biodiversità
– Visite guidate ai laboratori del centro rigenerato
A seguire, dalle 20:00, si terranno laboratori tematici e show cooking, pensati per adulti e bambini, con momenti esperienziali e didattici.
La serata si concluderà alle 21:00 con le degustazioni a base di prodotti locali e a km zero, seguite dall’esibizione del cantautore P40, per chiudere in musica un evento che unisce cultura, cibo e partecipazione.
“Un momento di festa, ma anche di consapevolezza – spiegano gli organizzatori – per far conoscere un luogo rinato e un modello di sviluppo possibile, che parte dalle persone, dalle reti e dai territori”.
L’iniziativa è aperta a tutti: cittadini, famiglie, produttori, curiosi e appassionati di buon cibo. Un invito a scoprire, attraverso il gusto e il dialogo, le potenzialità di una comunità che crede nell’innovazione sociale e nella prossimità come valore.
📍 Info utili
🗓️ Sabato 5 luglio, dalle ore 18:30
📌 Laboratorio di Comunità – Ex Mattatoio, via Marina Serra 53, Tricase
🎟️ Ingresso libero
Approfondimenti
Nchiana scindi a Tuglie
Domenica gara podistica 250 atleti correre lungo un percorso cittadino di 9 km. Si svolgerà anche una passeggiata solidale di 4km, a cura dell’associazione donatori di sangue Fidas con il ricavato devoluto in beneficenza

Terza edizione della ’nchiana scindi, la gara podistica organizzata dall’associazione sportiva dilettantistica podistica Tuglie, che vedrà oltre 250 atleti correre lungo un percorso cittadino di 9 km.
Appuntamento domenica 6 luglio, a partire dalle 19,30.
Insieme alla gara competitiva si svolgerà anche una passeggiata solidale di 4km, a cura dell’associazione donatori di sangue Fidas.
«L’intero ricavato di questa camminata sarà devoluto in beneficenza», dichiara il presidente dell’ asd podistica, Francesco Caputo, «crediamo che lo sport debba anche essere uno strumento di solidarietà e vicinanza concreta. La nostra associazione è anche amicizia, divertimento, armonia: questo è lo spirito che ci unisce e guida in tutte le manifestazioni che organizziamo, a cui partecipiamo con entusiasmo e dedizione».
Ritrovo per la partenza in piazza Garibaldi; il percorso di 9 km si snoderà tra le strade principali di Tuglie e comprenderà alcune arterie che collegano la collina di Montegrappa, particolarmente suggestive all’ora del tramonto per il panorama di cui si potrà godere.
«La nchiana scindi non è solo una gara, è anche la celebrazione della forza, della resilienza e dell’amore per lo sport», afferma Chiara Boellis, assessora allo sport di Tuglie, «ogni passo fatto sarà una testimonianza dell’impegno, della preparazione e della capacità di superare i propri limiti».
Al termine del percorso saranno premiati: il primo atleta giunto al traguardo maschile e femminile, i primi cinque atleti di tutte le categorie FIDAL previste M/F) per le categorie allievi, juniores e promesse: unico gruppo), gli atleti che raggiungeranno il traguardo nelle posizioni: 50ª, 100ª, 150ª, e così via, fino alla fine della classifica e le prime tre società con il maggior numero di arrivati, sia maschili che femminili.
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