Diso
Marittima: Don Peppino la pinna po
Nell’ambito della periodica rotazione, non gli era toccata la leva del 1941, ovvero la mia, e, però, lo conoscevo bene, al pari dell’intera scolaresca, sin dal debutto fra i banchi, come l’insegnante, il maestro per antonomasia del paese, il più vecchio.

Nell’ambito della periodica rotazione, non gli era toccata la leva del 1941, ovvero la mia, e, però, lo conoscevo bene, al pari dell’intera scolaresca, sin dal debutto fra i banchi, come l’insegnante, il maestro per antonomasia del paese, il più vecchio. Non a caso, per l’età e alla luce dell’anzianità di servizio, oltre a curare, formare e educare la sua classe, rivestiva anche il ruolo di Fiduciario per il plesso nell’insieme, ossia a dire di braccio operativo e rappresentante in loco della direzione didattica – rammento i nomi di due titolari pro tempore, di entrambi i sessi, Luigi Formoso e Abbondanza Costa – situata nella cittadina di Poggiardo.
Per carità, appena sei – sette chilometri di distanza e però, di fatto, sulla base dei mezzi di trasporto privati e pubblici all’epoca disponibili, una sede lontana, le visite dei responsabili della zona alle strutture periferiche di loro competenza erano rare, capitava di vedere di persona i funzionari in parola un paio di volte in tutto il ciclo delle elementari, più spesso, invece, era dato di scorgere e leggere le relative firme sulla facciata delle pagelle oppure a convalida dell’esito degli esami di terza e di quinta.
Don Peppino M., il fiduciario, era un omone un po’ carico di acciacchi, durante le stagioni fredde si caricava, addosso, un’immensa mantella che lo ricopriva dal capo sino alle suole delle scarpe, in testa, in permanenza, un cappello con falde, arricchito, sul davanti, da una piuma, fumava la pipa, un arnese col fornello in argilla cotta e un lunghissimo e arcuato cannello – si scusi il bisticcio, di canna, giustappunto – con funzioni di bocchino.
Non ce la faceva a percorrere a piedi il tragitto da casa a scuola e, quindi, doveva avvalersi di un calesse tirato da un cavallo senza troppe pretese, le redini in mano ad un salariato, non carrettiere a tempo pieno ma adibito a lavori vari nelle campagne di pertinenza del vecchio maestro.
Un quadretto d’insieme, non propriamente ordinario intorno alla figura dell’insegnante in questione, arrivato ad un certo punto ad ispirare, nella fervida fantasia degli scolari, una breve filastrocca: “Don Peppino la pinna po, vane nnanzi ca vegnu mo, e te piju cu lu cocò, Don Peppino la pinna po” (Don Peppino dalla piuma in vista, vai avanti che ti vengo subito appresso, e ti rilevo con il calesse, Don Peppino dalla piuma in vista).
Abitava, don Peppino, in un palazzotto terraneo, solido ed elegante, al centro del paesello, con un attiguo ampio giardino ricco d’alberi da frutta; il suo nucleo familiare era composto dalla moglie Maria, dai figli Nino e Tommaso e dalla figlia Concettina.
Di “borsa”, diciamo così, e di mentalità, non che fosse avido, ma sicuramente tirato. Fra le piante dietro casa, svettavano rigogliosi esemplari di arancio che, nelle annate “cariche”, si presentavano alla stregua di un autentico spettacolo.
Mi raccontava la buonanima di mio suocero, i cui genitori, per decenni, avevano condotto in regime di mezzadria taluni fondi agricoli di don Peppino, che, da ragazzino, gli succedeva sovente d’essere precettato dal maestro, per montare, con la sua agilità, sui rami e raccogliervi le arance mature.
Sennonché, tale operazione era accompagnata da un particolare fisso e rigido: durante il compito del ragazzino, Don Peppino se ne stava ai piedi della pianta intrattenendolo in un continuo discorso con l’unico e preciso scopo di evitare il pericolo che, in corso d’opera, il raccoglitore addentasse e divorasse qualche arancia.
La sofferenza e la resistenza dell’imberbe addetto erano quindi messe a dura prova; secondo il racconto, in una sola occasione avvenne che don Peppino incorresse in una defaillance o distrazione e, ovviamente, che il ragazzo, che aveva fame, ne approfittasse prontamente per una velocissima scorpacciata.
Se ne avvide a posteriori, l’anziano padrone, sbottando in un rammaricato: “R., mi hai fregato!”.
Nelle proprietà terriere di don Peppino, per quanto io ricordi, rientrava il fondo “Le Rene”, a metà strada della via vecchia fra Marittima e Andrano, segnante proprio la delimitazione fra i due feudi, e un ampio giardino, denominato “Aria del M.” (M., cognome del maestro), nel rione Ariacorte, dove sono nato e cresciuto, esattamente dirimpetto alla mia abitazione.
Tanto tempo fa, mio padre, per diversi anni, si fece dare in uso detto giardino, con l’intento di coltivarvi sparuti filari di verdure ad uso domestico, sicché io e i miei fratelli trascorrevamo svariate ore nell’Aria del M.
Una sequenza agreste è rimasta particolarmente impressa nella mia mente; in mezzo alle piante di cavolo svolazzavano spesso stormi di piccole farfalle, dalle ali con sfondo bianco e punteggiate di nero, denominate a ragione “cavolaie”. Un evento naturale, che si ripeteva, specialmente all’avvicinarsi di qualcuno e, tuttavia, io avevo la sensazione che i minuscoli e carini insetti si librassero al mio battere le mani, mi davo, insomma un po’ le arie di autore di una sorta di magia.
Il secondogenito di don Peppino, Tommaso, era un bonaccione e, in paese, si parlava di qualche domanda spiazzante e sconcertante da lui rivolta al padre, una su tutte: “Papà, ma la luna di Napoli è differente da quella di Marittima?”, con l’effetto di scrollate di capo per disappunto da parte del genitore/maestro e del perentorio invito a tacere all’indirizzo del discolo.
Recentemente, da un’amica compaesana, novantenne e tuttavia molto arzilla e lucida, residente a Lecce nel mio stesso quartiere, sono venuto a conoscenza di un curioso fatto di cronaca, datato ma verissimo, che ha in certo senso per protagonista don Peppino M.
Lavinia, così si chiama l’amica, intorno al 1942/1943, da poco sposata, viveva a Brindisi, dove si era fatta raggiungere dalla madre, donna Uccia R., a sua volta vedova. Quest’ultima, a Marittima, aveva lasciato il vecchio padre, don Peppino R., soprannominato “u tinente” (il tenente) per i suoi trascorsi militari con i galloni d’ufficiale di cavalleria, in condizioni di salute alquanto cagionevoli; sicché, prima di partire, donna Uccia si era raccomandata al maestro don Peppino M., stretto vicino di famiglia, di avvisarla tempestivamente in caso di epilogo terreno del genitore.
Un lunedì mattina, di buonora, presso il domicilio della figlia in Brindisi, donna Uccia si vide recapitare un telegramma proveniente da Marittima, spedito il sabato precedente, recitante all’incirca in questi termini: “Cara Uccia, ti informo che purtroppo si è pervenuti alla paventata fine”.
La donna e la figlia s’interessarono immediatamente per trovare i mezzi di trasporto con cui raggiungere, nel minor tempo possibile, il paese natio, non senza, secondo gli usi e i costumi, provvedere ad acquistare un grande fascio di fiori per la circostanza.
Verso sera furono a casa del “trapassato”, dove, però, con somma meraviglia, dovettero constatare che don Peppino (u tinente), non era affatto spirato, nonostante versasse in condizioni estreme. Conseguente, anzi scontata, la deduzione che don Peppino M. era stato troppo zelante e soprattutto troppo tempestivo e neppure il lasso della fine settimana era valso a saldare perfettamente tempo e triste evento.
Che, peraltro, si concretizzò effettivamente in capo a qualche giorno.
E’ trascorso, scivolato come un’onda senza confini, oltre mezzo secolo, della famiglia M. credo che sopravviva unicamente la figlia Concettina, abitante in una piccola località nei pressi di Marittima.
E’ certo e attuale che giovani figli della predetta hanno recentemente restaurato e rimesso a nuovo e a bello la vecchia magione padronale di don Peppino M., ricavandone un elegante bed & breakfast, denominato “La Campurra”, in omaggio all’omologo antico slargo che si apriva a poca distanza e su cui, adesso, sorge una pubblica villetta con fontana a vasca.
Rocco Boccadamo
Attualità
Strada litoranea invasa dalla vegetazione, la Provincia ha avviato le operazioni di sfalcio
Destinati 150mila euro solo per il quadrante Ovest che parte da Otranto e arriva fino a Morciano di Leuca. Sulla questione “velocità” lungo la litoranea si aspetta il Sistema stradale per la fruizione ciclopedonale della costa “Otranto Santa Maria di Leuca”, progetto già finanziato che prevede l’installazione di videocamere di sorveglianza che fungeranno da inibitori

Non appena pubblicato l’articolo relativo alle multe comminate alle auto in sosta, ieri, sulla litoranea tra Tricase e Marina di Andrano, in cui si rimarcava la necessità di ripulire le banchine delle strade dalla vegetazione e di far rispettare i limiti di velocità vigenti, siamo stati contattati dalla Provincia.
Ci hanno informato che «sono già state avviate le attività di sfalcio nel cosiddetto “Quadrante Sud Ovest”, quello che va da Otranto fino a Morciano di Leuca».
Operazioni partite proprio da Otranto e che quindi giungeranno nei prossimi giorni anche sul litorale tricasino.
La Provincia ha comunicato che, «nonostante le esigue riorse e, nonostante abbia in carico la gestione di oltre 2mila chilometri di arterie stradali», ha destinato «solo per il suddetto “Quadrante Sud Ovest”, la somma di 150mila euro per lo sfalcio della vegetazione, nei pressi delle banchine stradali»
Sia ben inteso, “banchine stradali”, con la precisdazione che, quindi, «verrà ripulito solo il tratto che interferisce con la viabilità, il resto, quello più lontano è demanio marittimo e quindi di competenza dei Comuni».
Riguardo ai limiti di velocità lungo la Litoranea, la Provincia ci ha aggiornato sul Sistema stradale per la fruizione ciclopedonale della costa “Otranto – Santa Maria di Leuca“, «già finanziato per 22milioni di euro (a valere su fondi CIS) e in stato avanzato di progettazione».
Quel progetto oltre alla riqualificazione dell’intera litoranea prevede anche «l’installazione di videocamere di sorveglianza che fungeranno da inibitori per chi scambia quella strada per una pista di velocità».
Appuntamenti
Apertivo e open day: due giornate solidali a Marittima

Riceviamo e pubblichiamo
La Bottega Equo-Solidale Marittima è felice di invitarvi a due giornate speciali all’insegna della solidarietà, della scoperta e della convivialità!
- 10 MAGGIO :
Aperitivo equo-solidale gratuito, accompagnato dalla musica live del violinista Riccardo De Candia. Un momento unico per gustare sapori etici e lasciarsi trasportare dalle emozioni della musica dal vivo.
• 11 MAGGIO :
Open Day dalle 17.00 alle 20.00 – un’occasione per conoscere da vicino il mondo del commercio equo e solidale: progetti, persone, spazi, possibilità di collaborazione e tanta passione condivisa.

Appuntamento Presso la Bottega Equo-Solidale Marittima
Via Conciliazione, 11
Per info: 338.7768095
Appuntamenti
Marittima: la Poesia della Festa della Fica
Bandito il Concorso di Poesia Vitale Boccadamo 2025 in lingua italiana e in dialetto salentino che ha lo scopo di promuovere il patrimonio culturale e paesaggistico del territorio

L’associazione “HIGO – Festa della Fica APS” di Marittima, al fine di promuovere il patrimonio culturale e paesaggistico del territorio, bandisce un concorso internazionale di poesia in lingua italiana e in dialetto salentino.
Come ha spiegato il presidente dell’associazione Santo Coluccia, «il Concorso di Poesia Vitale Boccadamo 2025, ispirato all’opera del poeta, nonché pioniere della “Festa della Fica”, ha per tema: “Il mare: non solo incanto, perché …certe fiate se po’ fare maru, e allora poi diventa un mare di guai”».
La partecipazione al concorso è assolutamente gratuita ed è consentita a qualsiasi persona senza distinzione alcuna di cittadinanza e residenza.
Sono esclusi dalla partecipazione i soci dell’Associazione HIGO e, ovviamente, i membri della Giuria.
Il concorso è suddiviso in due sezioni: Poesia inedita in vernacolo salentino (Sezione A) Poesia inedita in lingua italiana (Sezione B).
È ammessa la partecipazione per una sola delle sezioni previste con un unico elaborato.
Gli elaborati possono essere liberamente accompagnati da una rappresentazione grafica, non vincolante ai fini della valutazione.
Il concorso resta aperto fino alle ore 23,59 del 15 giugno.
Le opere redatte sotto forma di componimento poetico devono contenere un titolo, essere dattiloscritte in forma anonima e composte al massimo di quaranta versi.
Le opere devono essere inviate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica concorso.festadellafica@gmail.com.
Tutte le informazioni su come partecipare al concorso sul sito internet festadellafica.it.
La Commissione esprimerà il proprio insindacabile giudizio entro e non oltre il 20 luglio.
Premi Sono previsti tre premi per ogni sezione.
Sezione A – Poesia inedita in vernacolo salentino: 1° classificato, 150 € e trofeo di premiazione; 2° classificato, 100 € e targa di premiazione; 3° classificato, 50 € e targa di premiazione.
Sezione B – Poesia inedita in lingua italiana: 1° classificato, 150 € e trofeo di premiazione; 2° classificato,100 € e targa di premiazione; 3° classificato, 50 € e targa di premiazione.
La consegna dei premi avrà luogo dalle ore 19 del 16 agosto, a Marittima, nell’ambito del Convegno scientifico che tradizionalmente inaugura la Festa della Fica.
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