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La Banca? Preistoria, 3.000 banche e 300.000 posti di lavoro a rischio

Spopola il social lending: è peer to peer come nella musica con lo storico eMule e spuntano piattaforme per prestiti tra privati. Le banche barcollano

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Può una banca fare la fine di un compact disc? A quanto pare, sì. Interessi, clausole, fidi e default che al netto delle strette di mano di Palazzo sono l’essenza del cosiddetto sistema occidentale, hanno iniziato a popolare un pianeta diverso da quello, ormai altamente indigesto, degli istituti di credito.

Le primedonne dell’avanspettacolo horror del mutuo, le care banche, potrebbero essere presto inghiottite dalla loro routine dal mancato lieto fine.

L’idea di un’economia che se ne privi (fino a ieri un agrodolce mélange di romanticismo futuristico e crudo anarchismo) è oggi il cuore pulsante di una piccola galassia in espansione nel mare magnum della nostra finanza: il social lending.

Come ieri la musica – dicevamo – oggi il denaro: il social lending infatti è il peer to peer dei quattrini, l’eMule degli investimenti. È il prestito tra privati che scavalca le banche: oggi, grazie ad un click su internet, non si condividono solo tracce audio, ma si trovano anche semplici persone disposte a prestare fondi ad altrettanto semplici persone che li richiedono.

È la magia dei cosiddetti honest loans, ossia prestiti onesti, che stanno spopolando innanzitutto grazie ai loro tassi ridotti. Senza costi di gestione, commissioni, sportelli e spese varie da sobbarcarsi, questo tipo di P2P è in grado di offrire denaro a interessi bassi. Interessi che son tirati giù anche da una sorta di asta al ribasso tra i creditori. Chi mette a disposizione la sua liquidità, infatti, sceglie il tasso di interesse da chiedere ai debitori. Con l’ovvia conseguenza che più sarà alto, minore sarà la richiesta e, quindi, il ritorno economico.

La leggerezza del social lending sta spiccando il volo in particolar mondo nelle principali piazze finanziarie. Londra conosce a menadito questo tipo di prestiti tra privati, ed ha una fittissima rete di fruitori che si rispecchia perlopiù in quella classe media cui le banche han sbattuto le porte in faccia, troppo prese alla caccia ai grossi capitali e cieche dinanzi alle esigenze delle aziende, della gente, della realtà. Oltremanica sono nati Zopa (1,7 miliardi di euro di prestiti nel 2016), OnDeck, Founding Circle ed altri esempi virtuosi.

Mentre negli Stati Uniti gli investimenti hanno già attratto colossi come Google, che ha puntato 125 milioni di dollari sul californiano Lending Club.

In Italia il settore è occupato da cinque società. In ambito aziendale troviamo Borsadelcredito.it; tra privati, invece, Soisy, Smartika, Younicredit e, la più attiva, Prestiamoci. Il sito web di quest’ultima rende l’idea dell’essenza del social lending: il ritorno alla persona. “Il nuovo prestito è tra persone”, recita infatti il claim. E lo stesso nome scelto, Prestiamoci, punta su una funzione fàtica che è anche un invito schietto, diretto e “faccia a faccia”.

Una serie di elementi che piacciono sempre più a giovani coppie che costruiscono un futuro lontano dalle banche e che attirano sempre più imprenditori che mettono il loro futuro nelle mani di altri loro pari.

Nel peer-to-peer lending non si chiedono fondi alle piattaforme scelte, ma le si usa solo per entrare in contatto con chi ne ha. Il ragionamento è lo stesso dei famosissimi eBay o Blablacar. Vendi qualcosa? La compro senza dover entrare in negozio. Offri un passaggio? Viaggio senza dover scegliere treno o aereo. Hai del denaro da prestare? Ne prendo un po’ senza metter piede in banca. E, in ogni caso, risparmio non dovendo pagare terzi.

Questo perché le piattaforme di social lending non funzionano come un istituto di credito. Il loro introito è dato solo in piccolissima parte da commissioni applicate ai prestiti. Il vero commercio, per i re del tech che vi stanno investendo come Google, Amazon, Alibaba ed Apple, sta nei big data che derivano dalla gestione di una enorme mole di clienti.

Ma in tutto ciò, all’utente, che garanzie offre il peer-to-peer lending? Non bisogna essere degli scienziati per sapere che tra i capisaldi del mondo bancario c’è il valore della sicurezza. Da che mondo è mondo, la banca è quel posto dove il risparmiatore deve sentirsi sicuro di custodire i propri averi, possibilmente con meno grattacapi possibile. Ecco allora che, a prima vista, il social lending potrebbe sembrare una sciocca scommessa, con lo stesso rischio di chi è costretto a mettersi nelle mani degli strozzini per non aver trovato una mano tesa nel convenzionale ambito creditizio.

Non è così. Il P2P del credito si è evoluto esponendo tutti gli attori in gioco a meno pericoli possibile. Nella maggior parte dei casi funziona in questo modo: in primis, un algoritmo calcola (sul sito web della piattaforma) l’affidabilità del cliente sulla base dei suoi dati. In pochi giorni, poi, si ottiene una risposta sulla possibilità di ottenere un prestito e sul tasso di interesse, mentre vengono svolte altre verifiche funzionali alla stipulazione del contratto con firma digitale. Chi investe, mettendo in gioco i propri soldi, ha la garanzia della diversificazione del prestito. I suoi fondi non vanno tutti ad un’unica persona o azienda, ma vengono frazionati tra n debitori, ripartendo così in maniera uniforme il rischio di insolvenza e mitigando in maniera netta lo spauracchio default, che allontanerebbe investitori e farebbe risalire i tassi di interesse. Il resto lo fanno trasparenza e profittabilità immediata, pagata mensilmente e con un guadagno netto sul capitale investito che, in media, viaggia tra il 4 ed il 7%.

Se il tutto viaggia senza intoppi con una sorta di assicurazione da credito democratico, non vuol dire che, in brevissimo tempo, non sarà necessaria maggiore attenzione al fenomeno anche da parte del Governo. Ad oggi legislatore e Banca d’Italia lavorano a pieno regime per tutelare e salvare le banche tradizionali, ignorando i crescenti flussi di denaro che attraversano le piattaforme del social lending.

E non è un caso se gli istituti di credito di questi tempi hanno sempre più bisogno di essere aiutati dalle istituzioni. La scarsa capacità di captare il cambiamento – o forse il rigurgito d’orgoglio che impedisce di accettarlo – sta ritardando nelle banche quella piccola e semplice metamorfosi che le preparerebbe al futuro. Un po’ come i giornali convivono con i reporter “non patentati” che, immancabilmente, testimoniano i fatti in diretta prima di qualunque giornalista, grazie a dispositivi hi-tech e piattaforme 2.0, così le banche dovranno accettare l’idea che i prestiti tra privati non saranno più i pochi spiccioli per tamponare un rosso nel bilancio di famiglia.

E come la stampa sopravvive vendendo competenze, così le banche vedranno il domani elargendo consulenze, facendo da punto di riferimento nella gestione di proprietà e beni di valore, aiutando a progettare e mettere su carta strategie d’investimento.

Perché non c’è futuro per chi chiude gli occhi dinanzi al nuovo. Le statistiche del social lending, negli Usa, snocciolano numeri che non concedono scampo a chi finge di ignorarli: cliccando su Lendingclub.com ci si trova di fronte a ripidissimi grafici di crescita, con una mole di prestiti a stelle a strisce che negli ultimi tre anni è passata da 240mila ad oltre 2 milioni di “honest loans”.

Un impatto travolgente che secondo la PricewatherhouseCoopers, uno tra i più grandi network internazionali di consulenza legale e fiscale, nel 2025 raggiungerà un valore complessivo di prestiti pari a 150 miliardi di euro.

Per non finire nel dimenticatoio, come i compact disc, le banche dovranno specializzarsi ed innovarsi. È l’occasione per dimostrare che Bob Hope, conduttore radiofonico spentosi nel 2003, aveva torto quando diceva che una banca è solo un posto che ti presta dei soldi se puoi dimostrare che non hai bisogno.

Lorenzo Zito


Approfondimenti

Aumenta la produzione dell’olio nostrano, ma la qualità come è?

I numeri, però, non sempre bastano ad un’analisi esaustiva. Ecco perché abbiamo coinvolto alcune aziende del territorio per comprendere i contorni della campagna olivicola di quest’anno…

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Confermato il previsto aumento della produzione di olio a livello nazionale di circa il 30% rispetto all’annata precedente. La nuova annata sembrerebbe buona per qualità, con il novello già disponibile.

Buona qualità anche in Salento

La resa è influenzata dalla diminuzione della produzione (-30/40% in Puglia e circa il 20% in provincia di Lecce)  ma con un aumento della qualità (e anche dei prezzi). La resa media in olio da olive varia dal 13% al 20%, ma il dato complessivo della produzione è in calo rispetto alle annate precedenti, in linea con quanto previsto da Confagricoltura.

Nel panorama complessivo, bisogna considerare che l’andamento climatico sfavorevole ha inciso in modo pesante sulla produzione di olive. Nei primi giorni di aprile, infatti, una serie di gelate improvvise ha colpito molte aree olivicole, compromettendo gran parte dei bottoni fiorali (mignole) e vanificando in buona parte le potenzialità produttive. Secondo le prime valutazioni tecniche, la flessione produttiva potrebbe essere legata anche a fattori varietali.

In particolare, la cultivar FS-17 (la “Favolosa”), che inizialmente presentava una buona prospettiva di raccolto, ha subito un crollo quasi totale della produzione a causa della cascola dei fiori non ancora aperti, verificatasi subito dopo le gelate.

I numeri, però, non sempre bastano ad un’analisi esaustiva. Ecco perché abbiamo coinvolto alcune aziende del territorio per comprendere i contorni della campagna olivicola di quest’anno.

Giacomo Palese, amministratore de L’Olivicola di Presicce–Acquarica, precisa: «La nostra è un’azienda produttrice di olive da mensa e stiamo riscontrando un’ottima qualità». Riguardo alle differenze, «le ritroviamo in termini di quantità, quest’anno abbiamo meno frutto». Gli operatori del settore salentini hanno dovuto fare i conti con le conseguenze della Xylella che «ha avuto un impatto significativo sulla nostra azienda, ha rappresentato una svolta difficile e ha messo a dura prova la sostenibilità economica, obbligandoci a ripensare completamente il modello di business. Abbiamo dovuto reinventarci e diversificare la produzione. Non potendo più contare sulle nostre olive abbiamo iniziato ad acquistare da altri produttori, mossa che ci ha permesso di mantenere una produzione continua e ci ha anche spinto a esplorare nuove strade. Un cambiamento rilevante e significativo è stata l’introduzione di nuovi prodotti come i sott’oli che in passato non trattavamo. Tale diversificazione ci ha aperto nuovi canali di mercato, diversi da quelli che conoscevamo, e ha comportato costi aggiuntivi e la necessità di finanziare nuove attività: importanti investimenti, la necessità di accedere a nuovi finanziamenti esterni e un maggiore impegno nella gestione del credito, parliamo di un accesso al credito più mirato per finanziare questi investimenti iniziali. Un percorso impegnativo che ci ha permesso di trattare prodotti che diversamente forse non avremmo trattato. Sebbene le sfide siano state tante, siamo riusciti a trovare opportunità che, a lungo termine, potrebbero rivelarsi vantaggiose per la sostenibilità economica dell’azienda. Oggi, dopo anni, siamo tornati alla lavorazione delle olive grazie ai vari reimpianti effettuati. Abbiamo reimpiantato olive leccino, perché lavorando olive da tavola riteniamo che tale cultivar sia un ottimo prodotto da mensa. Nonostante le difficoltà», conclude Palese, «questo percorso di trasformazione ci ha reso più resilienti e pronti ad affrontare sfide future».

Anche Pierangelo Tommasi di Olio Biologico Moruse di Calimera, conferma «un prodotto dalla qualità eccellente anche perché siamo stati risparmiati dall’attacco della “Mosca”». Le differenze rispetto all’anno scorso «sono notevoli ma le piante crescono di anno in anno e iniziano a produrre un po’ di più. Parliamo, però, di numeri minimi rispetto a dieci anni fa: da allora la sostenibilità economica è completamente cambiata. Prima si poteva vivere di agricoltura, adesso sono soprattutto spese. Nella speranzosa attesa di tornare ad avere i profitti di una decina di anni fa».

Nel frattempo, anche nella azienda di Calimera hanno «impiantato le varietà di Leccino e Favolosa, per la precisione 80% della prima e 20% della seconda». Colta al volo l’occasione per variegare la produzione: «Già da 4-5 anni stiamo curando una cultura di avocado. Per ora solo un piccolo appezzamento ma stiamo provvedendo ad estendere la produzione su un altro ettaro e mezzo».

Quintino Palma del Frantoio Palma di Cursi ricorda che «la raccolta 2025 è stata colpita da una gelata durante il periodo della fioritura, provocando un calo nella produzione che resta, comunque, sufficiente per un raccolto di buona qualità».

Rispetto all’ annata scorsa Palma rileva «un leggero calo di produzione sufficiente, però, a garantire il prodotto fino alla prossima campagna olearia».

Poi aggiunge: «Al momento abbiamo quasi completato i reimpianti mettendo a dimora varietà Favolosa, Leccina e Leccio del Corno (avevamo già olivi di Leccino di circa 30 anni). Purtroppo, la Xylella ha causato un crollo della redditività dell’azienda. Anche se sono stati erogati degli aiuti per i reimpianti, bisogna considerare che occorrono diversi anni prima che le piante raggiungano un target accettabile di produzione, di conseguenza siamo ancora in piena crisi. Fortunatamente», conclude Palma, «l’azienda si occupa anche di effettuare reimpianti olivicoli “chiavi in mano” per sopperire al calo di reddito post Xylella».

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Alliste

Diamo i voti ai cimiteri del Salento: criticità, sufficienze ed eccellenze

Con l’avvicinarsi della Festa dei Morti abbiamo voluto verificare la situazione dei luoghi sacri dove tutti ci rechiamo in visita ai nostri cari defunti. Spesso, per come sono tenuti, nonostante la sacralità del luogo, i cimiteri sono stati oggetto di (giuste) critiche….

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Con l’avvicinarsi della Festa dei Morti abbiamo voluto verificare la situazione dei luoghi sacri dove tutti ci rechiamo in visita ai nostri cari defunti.
Spesso, per come sono tenuti, nonostante la sacralità del luogo, i cimiteri sono stati oggetto di (giuste) critiche.

Per questo a ridosso del 2 novembre abbiamo fatto un giro (random) in alcuni camposanti della provincia.

Sarà per l’avvicinarsi della ricorrenza, ma la situazione è (quasi) dappertutto decisamente confortante.

Nessun problema ad Alliste, Felline, Matino e Racale.

Negli ultimi due centri abbiamo assistito personalmente ai lavori in corso per la tosatura delle siepi e la sistemazione degli arredi a verde.

A Matino abbiamo anche incontrato il consigliere comunale Aldo De Donatis che ci ha spiegato come da tre anni sia cambiata la gestione dei servizi e la situazione oggi sia decisamente buona.

Stesso discorso per Patù, Castrignano del Capo, Leuca, Giuliano di Lecce, Salignano.

In queste ultime 4 località il servizio è (ben) curato dalla stessa cooperativa che fa capo al 31nne Thomas Chiffi.

Decoro salvo anche a Maglie, dove, in vista delle celebrazioni dei defunti, tutto appare pulito e ordinato. Sembra tutto in ordine anche a Ruffano, sia nella parte “vecchia” che nella nuova ala, sorta all’alba del millennio in corso per accogliere i nuovi defunti.

L’area va via via popolandosi e ha subìto aggiornamenti di anno in anno a seconda delle necessità.

A Tricase resta critica e indecorosa la situazione del vecchio cimitero.

Sebbene non preveda più tumulazioni sin dal 1984, il Monumentale resta comunque meta di tante persone.

La situazione strutturale e di manutenzione degli arredi non è conciliabile con la sacralità del luogo e con il rispetto che si deve a chi va a far visita ai propri cari trapassati.

Non ci sono particolari problemi, invece, al cimitero nuovo anche se, almeno dal punto di vista del decoro si può e si deve fare meglio. Tanti viali non sono protetti dall’asfalto o dal cemento come quello principale e pochi altri e, spesso, si è costretti a mettere i piedi nel fango.

La vegetazione, poco o per nulla curata, invade gli stessi viali, costringendo i visitatori a farsi spazio tra le fronde.

Per evitare che ci siano defunti di serie A e B sarebbe opportuno intervenire presto.

Questa la situazione in provincia,  almeno fino a qualche giorno prima del 2 novembre…

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“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…

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di Luigi Zito

Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.

E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.

Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.

Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.

Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.

Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.

Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.

Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.

Ricordiamocene.

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