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Attualità

La guerra a pochi passi

Il racconto da un punto di vista ravvicinato e con gli occhi della Polonia

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Padre Luca Bovio, testimone dalla Polonia degli orrori della guerra





Negli ultimi mesi, prima il problema dei profughi sul confine tra la Bielorussia e la Polonia, poi lo scoppio in questi giorni della guerra in Ucraina, ha portato l’attenzione e la preoccupazione del mondo intero a pochi passi dalle nostre comunità presenti in Polonia.





Senza nulla aggiungere a tutto quello che si stà dicendo e scrivendo in questi giorni a proposito del conflitto iniziato poche ore fa, provo a caldo a scrivere qualche impressione da un punto di vista geografico molto vicino a questi eventi disastrosi.





Come alcuni esperti hanno giustamente sottolineato, il conflitto iniziato con l’invasione russa del territorio ucraino trova i suoi inizi nel 2014. Da quel primo tentativo circoscritto alla zona sud est del paese è proseguito per tutti questi anni il conflitto come una cenere che si consuma sotto la brace di un fuoco apparentemente spento.





L’attacco della Russia all’Ucraina racchiude in sé diversi risvolti di tipo economico, storico, politico e culturale. I due paesi lungo i secoli hanno mostrato fasi alterne di predominio, cambiando spesso i confini geografici di tutta l’area.





C’è un’immagine usata in questi giorni che mostra le date di fondazione di Kiev associate a delle chiese in confronto nello stesso tempo con Mosca rappresentata con quattro boschi. Nel IX secolo infatti menter Kiev era una città già fiorente e importante, Mosca non era stata ancora costruita.





Questo per sottolineare che se cerchiamo un inizio storico nella Russia di oggi lo troviamo proprio nel paese che i russi stanno invadendo, in quella cultura che il presidente Putin ha dichiarato di disprezzare e che nei fatti vuola cancellare.





Gli eventi storici successivamente hanno sempre piu consolidato la Russia che nel suo apogeo imperiale ha sottomesso tanti paesi confinanti.





Questo è durato fino alla fine degli anni 90 del secolo scorso, quando con la caduta del muro di Berlino tanti paesi dell’est Europa e dell’Asia hanno ritrovato la propria indipendenza in forme democratiche e costituzionali.





Negli ultimi giorni prima dell’invasione si parlava molto e in modo esclusivo della regione del Donbas, come di quell’area confinante con la confederazione russa che condivide non solo il confine ma che al suo interno vivono molte famiglie di origine russa. Sembrava che il problema fosse circoscritto lì. Gli eventi successivi hanno smentito questo.





L’attacco a tutto il paese, preceduto da un lungo discorso televisivo del presidente Putin in chiave di revisione storica unilaterale, ha mostrato una realtà che ha superato ogni immaginazione: l’obiettivo non è circoscritto a una regione ma è quello destabilizzare tutto il paese, costi quel che costi, trovando nuovi equilibri geopolitici piu corrispondenti alla Russia.





Le bombe sono cadute in tutto il paese anche a soli 120 chilometri dal confine con la Polonia.

L’Ucraina si trova negli ultimi anni, per un certo senso, in un limbo, tra l’Unione Europea a cui guarda senza farne parte ed a est la Russia paese con cui condivide la storia e la cultura.





L’ammissione alla Nato da parte dell’Ucraina è stata uno dei temi che più ha fatto discutere prima dell’invasione. Durante un mio viaggio che feci in Ucraina nel 2018 a Leopoli, mi accorsi come il tessuto sociale della famiglie fosse eterogeneo.





E’ comune infatti trovare nei membri delle famiglie professioni cristiane diverse: ortodosse, cattoliche o greco cattoliche così come nazionalita diverse e mischiate: ucraine, russe, polacche, ecc..




Questi punti sono importanti e da tenere in conto nel fare una lettura della realtà. Mentre scrivo credo che nessuno possa conoscere che cosa accadrà da qui a poco.





Le sanzioni che l’America e l’Unione europea stanno imponendo con lo scopo di indebolire alla base i russi, dovranno dimostrasi effettive e non ritornare cone un boomerang verso coloro che le hanno imposte.





Occorre anche tenere presente che ci sono altre potenze nel mondo non direttamente coinvolte ma che possono in un qualche modo rendere meno effettive le stesse sanzioni.





Assistere a tutto questo da un paese confinante come la Polonia permette di vedere la realtà da una diversa prospettiva.





“Toccherà anche a noi…”





Parlando in questi giorni coi polacchi specie di una certa età, su quanto sta avvenendo in questi giorni, si ha la sensazione di parlare con persone che hanno già visto le scene di questo film.





Si trovano rabbia e rassegnazione nel vedere bombardamenti e civili innocenti uccisi. Spesso scuotendo la testa si commenta: è sempre stato così da decenni…





E’ come uno dei peggiori incubi che all’improvviso ritorna nel cuore della notte. Alcuni senza mezzi termini con gli occhi lucidi si lasciano scappare frasi del tipo: se la cosa continua i prossimi saremo noi…





Altri invece trovano in questo il motivo per mostrare con orgoglio la propria fierezza e mostrare il coraggio di difendere in ogni modo la propria patria. Una storia che si ripete.





I rifugiati che già in grande numero stanno scappando dalla guerra entrando in Polonia, trovano una organizzata accoglienza. Le frontiere infatti sono state aperte e il passaggio è facilitato. I numeri di profughi previsti e alto.





Alcune stime parlano che si potranno raggiungere 2 milioni di persone. Si tratta per lo piu in questo momento di donne coi bambini. Gli uomini infatti rimangono a combattere. Anche nel nostro comune, Łomianki vicino a Varsavia, in collaborazione con la parrocchia e la Caritas ci stiamo attivando.





In queste ore è in arrivo un pulmann di mamme coi bambini. Nostro compito è cercare famiglie che li ospitino. Non è escluso che anche nella nostra casa a Kielpin potremmo ospitare qualcuno.





Fra pochi giorni per noi cristiani avrà inizio la quaresima. Chiediamo nella preghiera il dono della pace e come gesto di autentica conversione, costruiamo pace attorno a noi.


Attualità

Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

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Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)

A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.

Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.

La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.

Le foto

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Approfondimenti

Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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