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Xylella 15 anni dopo: a che punto siamo?
Il Salento ha assistito alla distruzione della filiera olivicola da parte della Xylella, filiera che per secoli ha avuto una notevole importanza sia economica che sociale. Il danno è stato enorme e molti, in particolare gli abitanti delle città e i politici, sembrano non averne pienamente contezza così che, in attesa che la “Scienza” trovi un rimedio, ben pochi, anche tra i ricercatori, agiscono o propongono attività di buon senso.
speciale agricoltura
IL FUTURO DEL SALENTO DOPO LA XYLELLA
Prof. Luigi de Bellis
Ci sono prospettive per una agricoltura Salentina post-Xylella?
Lo abbiamo chiesto al prof. Luigi De Bellis del Dipartimento di Scienze e Tecnologia Biologiche ed Ambientali dell’Università del Salento.
«Il Salento ha assistito alla distruzione della filiera olivicola da parte della Xylella, filiera che per secoli ha avuto una notevole importanza sia economica che sociale. Il danno è stato enorme e molti, in particolare gli abitanti delle città e i politici, sembrano non averne pienamente contezza così che, in attesa che la “Scienza” trovi un rimedio, ben pochi, anche tra i ricercatori, agiscono o propongono attività di buon senso.
Ultimamente si assiste a proposte molto contraddittorie quali, ad esempio, la sponsorizzazione – perché di sponsorizzazione si tratta, non di divulgazione scientifica – di prodotti curativi quasi “magici”, la cessazione delle procedure fitosanitarie di abbattimento delle piante potenzialmente ospiti del batterio nel raggio di 50 metri da una pianta infetta, o l’introduzione di piattaforme tecnologiche che forniscano all’agricoltore cose che conosce già, come le colture che possono essere coltivate (moltissime, eccetto quelle che hanno un fabbisogno di freddo invernale o molte specie tropicali) insieme alle caratteristiche del suolo e dell’acqua che ha a disposizione.
RITORNO ALLA CURA
Unica iniziativa di buon senso, portata avanti da alcuni potatori ed esperti di olivicoltura, quella di un ritorno alla “cura” – stavolta intesa non come terapia ma come gestione accorta e razionale dei bisogni agronomici – degli olivi salentini affetti da Xylella ma ancora vivi, attraverso potature dei rami che manifestano i primi sintomi, il controllo dell’insetto vettore (la ormai ben nota “sputacchina”), la difesa da altri patogeni, la corretta gestione dell’acqua e delle concimazioni, che certamente non potranno garantire la produttività e la vitalità degli olivi per molti anni, ma che sembrano, rispetto agli oliveti abbandonati, condurre a qualche rallentamento del declino, così come avviene per gli animali o le persone: chi è ben curato vive più a lungo di chi non riceve alcuna assistenza.
Allo stesso tempo si assiste al reimpianto di oliveti superintensivi, strategia potenzialmente efficace sotto il profilo della sostenibilità economica come sembra indicare anche l’esperienza spagnola, realizzati soprattutto con la cultivar Favolosa, che richiedono, però, ogni anno una significativa quantità di acqua per ettaro, acqua che è sempre stato un fattore limitante nel Salento e lo sarà sempre di più (o avrà costi proibitivi o sarà necessaria una desalinizzazione su larga scala).
La conseguenza è che occorre un aiuto per mantenere una agricoltura degna di questo nome nel Salento.
Aiuto che deve venire soprattutto dai decisori politici a livello nazionale e regionale e da parte dei sindaci del Salento che vedono il loro territorio degradare, così da continuare a supportare la ricerca e proporre il finanziamento (e successivamente un adeguato controllo) di progetti di filiera.
È, infatti, ben poco efficace indicare agli agricoltori cosa coltivare per poi non garantire una prospettiva di remunerazione del loro lavoro, ovvero lasciarli soli di fronte alle difficoltà del mercato; nel XXI secolo non occorre semplicemente conseguire una elevata qualità del prodotto, ma raggiungere una massa critica del prodotto stesso, accompagnata da una solida azione di promozione e marketing.
Questo può essere anche realizzato associando i produttori tra loro (OP o Distretti poco importa) così da organizzare una assistenza e formazione continua, oltre che una efficace e centralizzata promozione per una serie di filiere adatte al Salento.
Non è possibile ipotizzare un reimpianto di tutti gli oliveti affetti da Xylella, perché è risultato evidente come la quasi monocoltura di olivo abbia favorito la diffusione del batterio e i danni conseguenti, mentre sarebbe da sostenere il finanziamento di 3-4 filiere in grado di dare origine ad una agricoltura sia sostenibile che remunerativa per gli agricoltori e, in funzione economica, far ritornare i giovani nel settore.
Questo approccio si rende necessario anche per ragioni ecologiche ed ambientali: tutti gli olivi morti o in via di disseccamento hanno cessato di immagazzinare CO2 e traspirare acqua, così da non contribuire più alla riduzione degli inquinanti ambientali ed a mitigare gli effetti della temperatura, generando un poco percettibile quanto insidioso cambiamento climatico a livello locale.
Tutti i cittadini del territorio insieme agli agricoltori e politici dovrebbero discutere apertamente, senza pregiudizi, all’interno di una solida cornice fatta di conoscenze scientifiche ed analisi di dati fattuali, allo scopo di concordare iniziative per il futuro del Salento. Ciò anche alla luce di uno scenario di convivenza con il batterio Xylella nella zona infetta ed il suo andamento epidemico verosimilmente variabile: dopo la morte di decine di migliaia di olivi, la presenza del batterio potrebbe risultare ridotta, una condizione apparentemente favorevole alle attività di reimpianto ma che potrebbe essere soggetta a non perdurare con l’eventuale introduzione di piante ospiti, pur resistenti.
LE POSSIBILI SOLUZIONI
Mantenendo attive le buone pratiche agricole (lavorazioni dei terreni, taglio della vegetazione erbacea, eliminazione delle piante compromesse, lotta diretta agli insetti vettori) in grado di limitare l’impatto e la diffusione di Xylella, evitando di importare specie altamente suscettibili, semplici basi di discussione e di intervento sono:
– individuare nuove fonti irrigue (nuovi invasi, impianti di depurazione in grado di fornire acqua idonea all’agricoltura, miglioramento delle reti irrigue ecc.) così da fornire acqua agli agricoltori a basso costo, perché solo con la disponibilità di questa essenziale risorsa potrà essere sviluppata nel Salento una moderna e remunerativa agricoltura e gli imprenditori potranno scegliere liberamente cosa e come coltivare;
– analisi critica delle filiere tradizionali e dei relativi sottoprodotti, con particolare attenzione sulle filiere olivicola-olearia, viti-vinicola, e orto-frutticola;
– realizzazione di campi prova/esperienze pilota di coltivazione e/o di trasformazione per realizzazione di (nuovi) prodotti agroalimentari da sottoporre alla attenzione di imprenditori agricoli e cittadini;
– analisi economica delle potenzialità di mercato delle varie filiere così che queste possano essere supportate da finanziamenti regionali o nazionali;
– finanziamento costante negli anni della ricerca indirizzata allo studio di efficaci strumenti per il contrasto alla Xylella e l’individuazione di germoplasma resistente o tollerante ai fini della convivenza con il batterio in area infetta.
Per la filiera olivicola, che ha la maggiore necessità di un rapido intervento allo scopo di prevenire errori che il territorio potrà pagare caro negli anni futuri, è utile e necessario definire un progetto o più progetti di filiera per il territorio gestiti da Organizzazioni di Produttori (OP) o distretti del cibo riconosciuti dalla Regione Puglia con lo scopo di: garantire e migliorare la qualità dell’olio; aumentare la produzione attraverso nuovi impianti e migliore gestione degli oliveti; programmare i reimpianti con più varietà di olivo in modo da evitare la ricostituzione di una (quasi) monocoltura varietale limitando per quanto possibile impianti superintensivi che richiedono notevoli disponibilità di acqua; creare un marchio collettivo allo scopo di portare sul mercato nazionale ed estero la gran parte del prodotto del territorio così da ottenere una maggiore remunerazione; promuovere la costituzione di una Elaioteca Regionale sia fisica che di promozione e vendita “on-line” partendo da una sede a Lecce (la Legge Regionale 29 luglio 2008, n. 20 “Costituzione dell’Enoteca/Elaioteca regionale”, mai attuata, prevede una sede in ogni capoluogo di provincia della Puglia) quale vetrina dei prodotti olivicoli; promuovere contributi per l’insediamento di giovani agricoltori.
C’E’ ANCORA FUTURO
La risposta alla domanda posta è quindi positiva, a patto di partire dal fatto che la scarsa disponibilità di acqua è il fattore limitante per molte scelte aziendali e territoriali, insieme alla necessità che opportuni finanziamenti regionali o nazionali supportino e promuovano una rinnovata e sostenibile agricoltura sul territorio».
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Volte a Stella
Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta
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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.
Da quanti anni fa questo mestiere?
«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni. Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».
È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?
«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».
Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?
«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».
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