Attualità
Elata a Casarano, 100 anni di scarpe
“La fabbrica du Nicolazzo”: patrimonio inestimabile di passione, dedizione ed armonia familiare che ha attraversato tre generazioni. Tutte le star che hanno indossato le preziose scarpe Elata

C’è un sottile filo (di spago) che unisce Casarano a Richard Gere, che passa da Sofia Loren ed arriva ad Uma Thurman ed Antonio Banderas; è il filo di spago che ha cucito le loro scarpe che, dal nulla, sono nate nei laboratori del calzaturificio Elata.
Quando Casarano ancora doveva cominciare a vivere i favolosi anni del boom della calzatura, la “fabbrica du Nicolazzo” già c’era e produceva scarpe (all’inizio solo da donna) di altissima qualità.
Al giorno d’oggi è normale parlare di brand, di aziende del lusso che producono pezzi di assoluta qualità ma partire cento anni fa con quella visione vuol dire essere cento anni avanti a tutti gli altri. Compie infatti cento anni l’azienda della famiglia Nicolazzo che ha portato Casarano nel mondo della moda di altissimo livello, sui red carpets di Hollywood e fino alla notte degli oscar (e non è un eufemismo in quanto nel film “Chicago”, premio Oscar proprio per i costumi, le scarpe di Renée Zellweger e di Catherine Zeta-Jones erano proprio Elata).
Nata dal fiuto imprenditoriale di Salvatore Nicolazzo, la Elata è infatti la casa di produzione delle calzature che abitualmente vengono utilizzate nelle musichall americane o nel west end di Londra, una delle principali aree culturali e teatrali del mondo.
Dietro questa narrazione patinata di un successo imprenditoriale però, non traspaiono alcuni fattori che sono invece caratterizzanti di questa realtà imprenditoriale.
Parliamo di un patrimonio intangibile ed inestimabile fatto di passione, dedizione ed armonia familiare che ha attraversato tre generazioni. Questo concetto di famiglia per i Nicolazzo non si ferma ai soli legami di sangue; di questa famiglia fanno infatti parte (ed hanno fatto parte) anche tutti i collaboratori che negli anni hanno accarezzato le pelli più pregiate per tirar da esse fuori le scarpe più belle e più pregiate. «Ricordo con affetto quando, nel corso della mostra fotografica a cornice dei festeggiamenti, un ex operaio in pensione mi disse di aver riconosciuto padre e madre in una vecchia foto del 1935», ricorda Salvatore Nicolazzo, omonimo e nipote del fondatore del calzaturificio, «genitori che all’epoca non erano nemmeno fidanzati ma che da sposati hanno poi lavorato da noi sino alla pensione, così come sino alla pensione ha lavorato con noi appunto anche il figlio». Salvatore ne parla con naturalezza perché per la famiglia Nicolazzo è normale considerare “di casa” i propri collaboratori che, tra alti e bassi, ora sono più di 50 e proprio per tale legame, con essi si condividono i successi ma anche i sacrifici.
«Come quando ci arrivò la richiesta di produrre le scarpe per Anne Hataway per la serie Modern Love», prosegue Salvatore, «e ci fu il problema che il lunedì sera le scarpe sarebbero dovute essere a New York ed il giovedì sera precedente non avevamo ancora ricevuto i disegni dello stilista… non potevamo certo tradire la fiducia del cliente per cui tutti lavorammo fino a sera tarda ed il luedì mattina consegnammo soddisfatti le scarpe ad un uomo della produzione che, preso il suo aereo da Fiumicino e, sfruttando il favore dei fusi orari, consegnò la merce in tempo per le riprese».
Ora in Elata lavora fianco a fianco la passione di tre generazioni con il cugino Paolo che si occupa di stile e la sorella Mariagiovanna di commerciale e la quarta generazione dal fondatore come Irene che si occupa di comunicazione, Michele della logistica e Giulia del controllo qualità.
Ma se pensate che la seconda generazione si sia ritirata, sbagliate di grosso perché l’amministratore è sempre Claudia che, con i suoi 94 anni continua ad occuparsi dell’azienda e fa da riferimento alla sorella Rina ed al ragazzotto Martino (padre di Salvatore) che, con i suoi 85 anni è, nell’immaginario casaranese, il volto stesso di questa invidiabile realtà imprenditoriale.
In questa Casarano che cerca in tanti modi di non arrendersi alla marginalità di un sud Italia sempre più a sud, ci sono tante belle ed importanti aziende e poi c’è un bel mosaico, come quelli di Casaranello, prezioso e raro, in cui ogni membro di questa famiglia rappresenta una tessera che in esso si incastra perfettamente.
Antonio Memmi
LECCE 22 07 2023. CLASSICHE FORME Festival Internazionale di Musica da Camera, Beatrice Rana Direttrice Artistica. ©Flavio Ianniello
LECCE 22 07 2023. CLASSICHE FORME Festival Internazionale di Musica da Camera, Beatrice Rana Direttrice Artistica. ©Flavio Ianniello
LECCE 22 07 2023. CLASSICHE FORME Festival Internazionale di Musica da Camera, Beatrice Rana Direttrice Artistica. ©Flavio Ianniello
LECCE 22 07 2023. CLASSICHE FORME Festival Internazionale di Musica da Camera, Beatrice Rana Direttrice Artistica. ©Flavio Ianniello
Andrano
Essere Salentini, la parola ai Dirigenti scolastici
Questa volta per il tema cosa significa essere salentini oggi – Simu salentini – abbiamo sondato il mondo della scuola, e con essa chi la vive in prima persona, chi la forgia e si spende…

Vivere nel Salento da donna, da madre, da dirigente del mondo della scuola: essere nata dalle nostre latitudini e averci vissuto l’adolescenza, in un paesino dove il valore della famiglia e degli amici diventa un “per sempre”, dove le passeggiate negli uliveti de “Li Paduli” ti riempiono i polmoni d’aria sana, dove non si conoscono le montagne ma si gode del mare pulito, del sole che illumina le giornate, ti segnano la personalità.
Una terra, il Salento, incorniciata tra due mari, che nella storia è stata influenzata dalle più svariate culture e che ha fatto proprio il senso dell’accoglienza.
Il salentino che incrocia (o cerca) lo sguardo di una persona sconosciuta, “straniera”, o di un anziano, esprime con semplicità il senso del rispetto con il saluto.
Quel rispetto che trasforma quel “lei” in “signoria”. L’essere salentini è una virtù da tramandare come una delle tante tradizioni che ci contraddistinguono. Dalla nostra terra, però, spesso si deve partire e andare lontano.
Ho studiato nell’Università salentina che nulla ha da invidiare alle altre ma ho anche lavorato lontano da casa e so cosa vuol dire.
Conosco bene la durezza del distacco anche perché tanti anni fa mio padre, come tanti altri, fu costretto a lavorare per lunghi periodi in Svizzera per sostenere la famiglia. Più avanti hanno fatto le valigie anche mio fratello e mia sorella.
Di tempo ne è passato ma, purtroppo, da questo punto di vista, poco è cambiato.
Oggi la cosa più dura è dover accettare, per il loro bene, che anche i nostri figli, dopo gli studi, scelgano di andare altrove: per confrontarsi con i migliori nel loro settore e crescere professionalmente o solo per avere un’opportunità.
Ecco, il mio sogno è che, se non i nostri figli, almeno la generazione che verrà dopo possa avere l’opportunità di brillare di luce propria senza dover lasciare il Salento.
Come al solito molto passa dalla scuola che ha anche il compito di cambiare il tessuto sociale dalle fondamenta. Ma, ahimè, non basta.
I politici a tutti i livelli, gli amministratori, dovrebbero fare uno sforzo per avvicinarci al resto dell’Italia e, oggi è doveroso, al resto del mondo. Anche geograficamente. La rivoluzione del web ha avvicinato le distanze ma solo virtualmente.
Nella realtà noi per prendere un aereo dobbiamo arrivare a Brindisi o, più spesso, a Bari. E, se ci si affida ai trasporti pubblici, diventa un viaggio interminabile, quello che occorre per coprire quelle distanze siderali che ancora ci dividono dal resto del mondo.
Rina Mariano
Essere salentini per me – che lavoro con i giovani – significa, innanzitutto, far uscire i ragazzi da quell’idea di autoreferenzialità che soffocherebbe la loro naturale voglia di crescere.
La sfida, allora, è quella di coniugare l’identità delle origini con l’apertura ad altre realtà. Se il Salento non è l’ombelico del mondo, occorre rifuggire da due rischi opposti: da un lato, non apprezzare la nostra terra, la nostra storia, i nostri beni artistici e le nostre bellezze naturali, e, dall’altro, ritenere che il Salento sia la realtà migliore possibile e quindi che non necessitiamo di alcun possibile contributo che ci venga dalla contaminazione con altri mondi.
Per questo ho sempre proposto agli studenti percorsi di apertura e di scambio (vedi progetti Erasmus) così da conoscere altre realtà ma anche far conoscere ad altri ragazzi, anche provenienti dall’estero, il nostro territorio.
Alcuni valori, tipicamente salentini, come quello della apertura alla solidarietà sono quanto mai preziosi per i nostri tempi; in questo, la tenuta delle famiglie e la ricchezza di umanità che viene dai nostri piccoli centri urbani (a dimensione di persona) costituiscono autentici tesori, oltre a quelli del mare e della entroterra, che devono essere innanzitutto conosciuti e quindi esportati.
Ma guai se i nostri ragazzi pensassero di potersi chiudere! Del resto il Salento, terra tra due mari e proiettata nel Mediterraneo, ha la vocazione allo scambio. In questo scambio e su questo scambio può costruirsi il futuro anche per i nostri giovani.
Se dovessero decidere di andare, per qualche tempo fuori o per motivi di studio o per motivi di lavoro, devono mantenere forte il legame con la loro terra e, nella logica dello scambio, esportare i loro sani valori e la loro voglia di realizzarsi per poi acquisire esperienze e riportarle qui da noi.
Quanti ragazzi usciti dai nostri Istituti si sono affermati in Italia e all’estero. Dobbiamo ora creare le condizioni per un loro ritorno e per favorire l’inserimento sin da subito qui da noi.
Le occasioni non mancano e la fantasia e la determinazione, tipiche di noi salentini, costituiscono preziosi ingredienti che possono aiutare i nostri ragazzi in questo percorso. Salento non ombelico del mondo, ma neppure un passo indietro rispetto al mondo.
Chiara Vantaggiato

Anna Lena Manca
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Ivano De Luca, Dirigente scolastico ad Andrano
Sono un dirigente scolastico nel cuore del Salento, un catalizzatore di cambiamento in un contesto che ha bisogno di evolversi. La mia missione è cercare di rompere le barriere del campanilismo e della didattica consolidata, aprendo la strada a un’educazione inclusiva e innovativa che rifletta le sfide del nostro tempo.
Inizio dalla consapevolezza delle barriere architettoniche e mentali che limitano la nostra crescita. Non solo parlo di muri fisici, ma di confini che restringono la mente. Voglio che la scuola salentina sia aperta a tutti, un luogo dove ogni studente trovi ispirazione, indipendentemente dalle radici geografiche anche con progetti basati su una didattica innovativa. In un mondo che cambia rapidamente, non possiamo permetterci di restare ancorati a metodi di insegnamento obsoleti.
Laboratori e approcci creativi sono le chiavi per preparare i nostri studenti alle sfide del futuro, rendendo la scuola un luogo dinamico e stimolante. Un’altra sfida è convincere la comunità sull’importanza di una scuola sempre aperta, anche quando il richiamo del mare nei mesi caldi sembra irresistibile, perché la scuola è un rifugio sicuro e formativo, che sfida l’idea che l’apprendimento debba fermarsi durante l’estate abbandonando i giovani alla nullafacenza, quando loro stessi dovrebbero essere i fautori della rinascita della nostra terra.
E infatti nel perseguire l’avanguardia, non dimentico le «radici ca tenimu». Il nostro patrimonio naturale e culturale è una risorsa inesauribile. Incentivare la passione verso l’agricoltura è la mia risposta. Non solo per trasmettere abilità pratiche, ma per alimentare il desiderio di investire nel nostro territorio.
Immagino una nuova generazione di imprenditori che puntano sulle tradizioni dei nonni, contribuendo così al possibile ripopolamento del territorio salentino.
La realtà è che la scuola in Salento deve diventare un’anteprima di opportunità, un trampolino di lancio per i nostri ragazzi verso il successo in metropoli e oltre. Analizzando attentamente le opportunità lavorative locali, possiamo offrire una prospettiva socio-economica che dia una svolta alla vita dei nostri giovani.
La Scuola nel Salento deve plasmare un futuro in cui l’educazione “salentina” sia competitiva, inclusiva e radicata nelle nostre tradizioni. La scuola deve essere il faro che illumina il cammino dei giovani, preparandoli a un viaggio che li porterà non solo nelle metropoli, ma anche a valorizzare e contribuire al rinascimento del Salento, un luogo che merita di essere riscoperto tutto l’anno.
Ivano De Luca
Attualità
Dopo The Voice Kids, Mattia di Calimera spopola sul web e i social
Mattia affetto da una malattia rara alla gambe, ha trascorso molto tempo della sua giovane vita all’ospedale Gaslini di Genova dove ora canta e trasmette per Radio per i bambini ricoverati…

Mattia emozione a The Voice Kids e spopola sul Web.
Il tredicenne di Calimera sta riscontrando un’enorme successo dopo la sua esibizione nel programma trasmesso su Rai 1, ieri sera, condotto da Antonella Clerici.
Mattia affetto da una malattia rara alla gambe, ha trascorso molto tempo della sua giovane vita all’ospedale Gaslini di Genova dove ora canta e trasmette per Radio per i bambini ricoverati.
Mattia è stato accompagnato alla terza puntata delle blind dalla sua famiglia e dal suo vocal coach Tony Frassanito. Non ha avuto la gioia di essere scelto da Gigi D’Alessio e Loredana Bertè che erano gli unici
alla ricerca di un concorrente visto che Clementino e Arisa avevano completato già la loro squadra.
Non fortunato ad essersi esibito alla fine delle selezioni, è un fan di Albano ed ha cantato “E’ la mia vita”, in modo impeccabile. Dopo l’esibizione il pubblico gli ha regalato una standing ovation e ha duettato con Gigi D’alessio con la canzone “U surdat’ innamuratu”.
il link dell’esibizione:
https://www.raiplay.it/video/2023/12/the-voice-kids-2-mattia-canta-la-mia-vita-08122023-274e97e1-9f96-4c3f-ba27-dee9bb3a8d88.html
Alezio
Casarano: oggi l’intitolazione di una piazzetta a don Antonio Minerba
«È stata una persona sempre disponibile verso il prossimo, in special modo verso i giovani e i più deboli», sottolinea il primo cittadino, «una testimonianza concreta del suo pieno sacerdozio, anche al di là della sua parrocchia».

Nonostante siano trascorsi soltanto tre anni dalla scomparsa dell’amato sacerdote don Antonio Minerba, l’amministrazione comunale di Casarano si è prodigata ad ottenere una deroga alle disposizioni di legge in materia di intitolazione di toponimi a personaggi deceduti.
«Sin dal primo momento di quel luttuoso evento del 22 ottobre 2020», ricorda il sindaco Ottavio De Nuzzo, «abbiamo sempre avuto in animo di porre in essere un’iniziativa mirata a far ricordare perennemente ai casaranesi la stupenda figura di don Antonio senza necessariamente attendere i dieci anni prescritti».
«È stata una persona sempre disponibile verso il prossimo, in special modo verso i giovani e i più deboli», sottolinea il primo cittadino, «una testimonianza concreta del suo pieno sacerdozio, anche al di là della sua parrocchia».
Infine l’annuncio: «La Prefettura di Lecce ha concesso la richiesta autorizzazione per l’intitolazione al nostro sacerdote di un sito cittadino, pertanto, sono lieto di invitare tutti alla cerimonia di intitolazione a suo nome».
Cerimonia che avrà luogo in via Corsica, in quella che diventerà “piazzetta don Antonio Minerba”, sabato 9 dicembre, a partire dalle ore 10.
Don Antonio fu ritrovato senza vita il 22 ottobre 2020, nella sua abitazione in via Garibaldi ad Alezio.
La scoperta nella tarda mattinata, mentre i genitori lo attendevano per pranzo ad Aradeo, suo paese d’origine.
Il sacerdote, in seguito ad un malore, un infarto, è caduto sbattendo il capo.
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