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Attualità

Io, Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz

Nel maggio del ’44 Nedo Fiano, ebreo italiano, arrivò con suo padre sulla banchina di Auschwitz. Tutta la sua famiglia fu deportata e sterminata

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«Cio’ che ha connotato tutta la mia vita è stata la mia deportazione nei campi di sterminio nazisti. Con me ad Auschwitz finì tutta la mia famiglia, vennero sterminati tutti. A diciotto anni sono rimasto orfano e quest’esperienza così devastante ha fatto di me un uomo diverso, un testimone per tutta la vita». Nedo Fiano al momento della promulgazione delle leggi razziali viveva a Firenze. Venne arrestato da italiani il 6 febbraio del 1944, fu rinchiuso nel carcere di Firenze, da lì condotto al campo di Fossoli. Deportato ad  Auschwitz il 16 maggio del 1944, matricola A 5405, liberato a  Buchenvald.

Mi puo’ descrivere la comunità ebraica di Firenze, prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali?

«La presenza della famiglia Fiano a Firenze risale al 1400. La comunità ebraica fiorentina contava circa 1500 persone, 39mila in tutta Italia. Eravamo più italiani degli italiani, la maggior parte degli ebrei italiani erano ben integrati, seppur con una loro specificità. Quella di Firenze era una comunità composita: commercianti, insegnanti, industriali tutte le categorie della media borghesia. Mia mamma aveva una deliziosa pensioncina, con sette camere da letto. Una pensione dove venivano dirigenti e anche turisti. Facevamo una vita normalissima. Non c’era razzismo. Ogni tanto ci scappava la scazzottata, l’ebreaccio, ma insomma era normale. A Firenze a quel tempo i ragazzi ci dicevano Cucchina Lanai, cercando di riprodurre la parola ebraica adonai, che significa Dio. Insomma scaramucce, niente di più».


Tutto cambiò nel 1938, con la promulgazione e l’entrata in vigore delle leggi razziali. Cosa accadde a Nedo Fiano?

«Io venni cacciato da scuola perché ebreo. Ero un ragazzo, molto legato alla sua classe, ai suoi compagni. Ne avevo 32, di cui conservo ancora la fotografia. A 13 anni mi sembrò di essere davanti ad un baratro. Quando venni cacciato da scuola non c’era da affrontare i soldati armati, mi sarebbe bastata una stretta di mano e una consolazione “Nedo non ti preoccupare giocheremo ancora insieme, noi siamo gli amici di sempre, non ti preoccupare non piangere“. Questo non è avvenuto. Li ho rincontrati nel 1996 su mia iniziativa, ho detto loro che volevo vederli tutti. C’è forse un’attenuante per molti di loro: il fatto che i genitori gli avevano detto di evitarmi perché ebreo, per non avere guai. Pero’ finita la guerra qualcuno doveva venire a dirmi qualche cosa. Niente prima, niente durante, niente dopo».


Che cosa è successo in quell’incontro?

«Mi chiesero di dire qualche cosa. Io mi ero preparato un discorso, non lo faccio mai. Ma non l’ho letto. Li ho guardati e mi sono messo a piangere. “Quello che io dovrei dire non lo dico, vedo che siamo più o meno tutti arrivati, mi siete mancati molto“. Non li ho messi sotto accusa, il più sincero degli amici mi disse “non credere è costata anche a noi“».


Dopo la cacciata da scuola cosa fece?

«In quell’occasione mia madre, che nel frattempo a causa delle leggi razziali aveva dovuto chiudere la pensione, è stata grande, mi disse che la vita era fatta anche di queste cose, che erano le prove della vita. Da lì a poco la comunità ebraica si organizzò e venne istituita una piccolissima scuola, dove le classi avevano cinque, sei ragazzi al massimo e da sbarazzino e monello come ero, diventai un secchione. Il 50 per cento dei nostri insegnanti erano professori universitari cacciati a loro volta a causa delle leggi razziali. Nei giorni scorsi ho scoperto che la famosa scienziata Margherita Hack è stata allieva della professoressa Calabresi, che era stata mia insegnante in quel periodo. Da quella scuola improvvisata sono venuti fuori ambasciatori, banchieri, personaggi di altissimo livello. Studiavamo come pazzi, poi con quegli insegnanti straordinari. Ogni anno avevamo gli esami perché la nostra scuola non era riconosciuta. Il primo anno il preside della scuola dove eravamo andati a fare gli esami di fine anno aveva messo una bacheca per gli alunni ebrei e una per gli ariani. Noi ebrei avevamo tutti gli otto decimi, il massimo della media, e gli altri no. L’anno dopo, quando siamo tornati a fare l’esame per la seconda volta, il preside ci mise tutti insieme, per non far vedere che eravamo migliori degli ariani. Noi avevamo capito la motivazione della scuola, perché si doveva studiare».


In che periodo venne deportato ad Auschwitz?

«Fui catturato insieme a mio padre e nel maggio del 1944 deportato con lui ad Auschwitz. Arrivammo a destinazione il 23 maggio. Quando io e papà siamo arrivati, appena scesi dal convoglio, siamo passati subito dalla selezione: da una parte la camera gas e il forno, dall’altra il campo. Noi non siamo andati nella parte del forno. Papà era un uomo splendido, sembrava un ambasciatore. Aveva 54 anni, ma lui ha dichiarato di averne dieci di meno per potersi salvare. Siamo entrati nella quarantena, che era comunque un luogo di morte, le razioni erano dimezzate rispetto al campo, durava circa tre settimane e quando i prigionieri uscivano erano ridotti malissimo. Mi ricordo che siamo entrati in una baracca, dove era il momento della distribuzione della zuppa. Ad Auschwitz non c’erano né forchette, né coltelli, né cucchiai. Dovevamo mangiare mettendo la testa dentro nella ciotola, come del resto non c’era la carta igienica e la mattina ci si doveva pulire con le mani».


Cosa accadde dopo la quarantena?

«Quando fummo dentro la baracca entrò subito dopo un sergente maggiore delle SS, il quale disse: “achtung”, tutti scattarono in piedi, era un ordine. Incominciò a guardarci. Io so cos’è uno sguardo nazista, uno sguardo vitreo, freddo. I nazisti ci guardavano come fossimo stati degli scarafaggi. E come per gli scarafaggi, nessuno prova ritegno a schiacciarli, così era per noi. Il nazista disse che aveva bisogno di qualche interprete. “Chi parla tedesco?” chiese. Ero impietrito, immobile. E proprio quando pensavo che questo esame fosse finito, ho sentito una spinta sulla schiena, una mano che mi mandava avanti a offrire la mia disponibilità d’interprete. Mi sono trovato davanti alla SS, che continuava a fissarmi con lo stesso sguardo. A un certo punto mi chiese “dove sei nato? “. Io risposi “in Italia”, senza guardarlo, con gli occhi verso un punto infinito. “Sì ma dove?”, insistette lui. ” A Firenze“. Non finii neppure di pronunciare Florence, che mi disse: “caro amico, la tua città è bellissima“. Dopo un monologo di dieci minuti mi ha selezionato per il corpo interpreti. Eravamo dei privilegiati, e se io sono qui a parlare forse è anche per questo. Gli interpreti lavoravano sulla banchina d’arrivo della stazione di Auschwitz -Birkenau».


Suo nonno era stato deportato con voi?

«No. So che è difficile da credere, perché mio nonno morì nel ’36 quando io avevo 11 anni. Però ne sono sicuro: lui mi sospinse. E’ a lui che devo la mia sopravvivenza. Mio nonno paterno parlava tre lingue, tra cui anche il tedesco. Era cieco, un gran affabulatore. Lui mi parlava di Salgari, quando in genere a quel tempo i ragazzi si occupavano del Libro cuore, o al massimo diPinocchio. Io ero un bambino di otto anni, frequentavo la terza elementare. Un giorno mi disse: “Nedo tu devi imparare il tedesco e ricordati che le lingue rappresentano le chiavi per aprire le vie del mondo “. In quei tre quattro anni di insegnamento mi ha aperto la via alla vita».


Voi avevate consapevolezza di quello che vi aspettava ad Auschwitz?

«I convogli ferroviari, i trasporti che portavano gli ebrei allo sterminio si chiamavano “trasporti notte e nebbia”. Pensate a questa definizione poetico letteraria, la definizione più precisa e puntuale e anche la più drammatica. Che cosa puoi immaginare di un tale convoglio? Niente. Un trasporto che non sai dove va. Sulla banchina di Auschwitz abbiamo visto arrivare per mesi ebrei greci, polacchi, ungheresi, italiani. Io ero sulla banchina quando con un convoglio è arrivata anche mia nonna. Era sorda, si guardava in giro senza riuscire a capire dove fosse finita. Io l’ho riconosciuta subito e sono andato ad abbracciarla, cosa peraltro rischiosissima e sono svenuto dall’emozione. I miei compagni allora mi hanno preso e mi hanno messo da una parte, coprendomi con delle foglie. Mi sono ripreso quattro minuti dopo, mia nonna era già finita nella camera a gas».


Che spiegazione si dà per quanto è accaduto. C’è chi ha detto che dopo Auschwitz è cambiato persino il concetto e l’idea di Dio?

«Molti, come me, non riescono a spiegare questa cosa. Per quello che è accaduto agli ebrei in questa ultima guerra, con la shoah c’è da chiedersi, con tutta franchezza, se è possibile che un Dio buono, onnipotente, onnipresente lasci ammazzare sei milioni di persone, anche se fossero stati sei milioni di delinquenti, che poi non erano. Mio nipote aveva solo 18 mesi, che colpe aveva? Io me la sono spiegata in questo modo. Per me il grande miracolo su questa terra è la nascita, la procreazione. L’uomo cresce con un’intelligenza, una coscienza. Iddio, questa entità, è all’origine della nascita, poi l’uomo se la vede da sé, non possiamo credere che Dio intervenga nelle cose dell’uomo, perché allora dovremmo ammettere che su alcune interviene e su altre no. L’uomo è responsabile delle sue scelte, l’uomo ha il libero arbitrio. L’uomo ha la capacità e il potere di fare il bene e il male».


Quindi l’uomo rimane il principale responsabile.

«Certo. Se io penso che i tremilacinquecento uomini, che costituivano la guarnigione di Auschwitz, scrivevano a casa lettere affettuose alle mogli, mandavano ai propri figli fotografie, scrivevano parole buone, devo pensare anche che è presente questa dualità , e che è sempre in agguato. L’uomo è il responsabile, non Iddio. L’umanità è responsabile della Shoah, come dello stermino dei Curdi e degli Armeni. L’uomo è responsabile. Io ho lavorato sulla banchina della stazione di arrivo ad Auschwitz fino all’ottobre del 1944, guardavo Josef Mengele, simile ad un attore americano, vestito sempre elegante, come ad un galà, che avvicinava ai bambini dava loro carezze e caramelle, quando vedeva due gemellini se li portava via per i suoi esperimenti. Era un uomo. Noi eravamo dei candidati alla morte e lui sceglieva».


Quando ha iniziato a testimoniare la sua esperienza? Molti sopravvissuti ai campi di sterminio hanno avuto difficoltà.

«Quando si dice che uno è sopravvissuto ad Auschwitz per testimoniare, si dice una balla. Chi è sopravvissuto, lo ha fatto per istinto. Non è stato facile testimoniare ciò che è stato. Se si andava solo quindici anni fa in una scuola e si chiedeva ad un preside di parlare dell’esperienza di Auschwitz la risposta tipica era “ma non rientra nei programmi”, “sa non vorrei turbare i ragazzi…”. Insomma nelle scuole non si entrava. Poche erano quelle disposte ad ascoltarci, ed era grazie a pochi illuminati. Il fenomeno delle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio si è avuto all’inizio degli anni Novanta, quando c’è stata una vera apertura delle scuole. La gente della nostra generazione ha un senso di colpa perché tutto quello che è accaduto non sarebbe accaduto se ci fosse stata la solidarietà e la mancanza di questa  è stato ciò che ha alimentato la strage. Per capire bisogna parlare del 1938 e delle leggi razziali. Il paese di Dante, di Michelangelo e di Leonardo, ha prodotto anche gli scienziati che hanno avallato la menzogna della razza, affermando che esisteva una razza ariana, e gli ebrei, non essendo ariani, era giusto che venissero estromessi dalla vita civile, dalla società, nonché avviati allo sterminio. Quello era il tempo in cui il signor Levi direttore di banca veniva cacciato e i colleghi, anziché indignarsi, si fregavano le mani perché si liberava un posto. E così successe nelle università, nelle scuole, nelle aziende. Questo è il punto, in Italia non c’è stato un movimento di opposizione alle leggi razziali, come ad esempio in Olanda dove hanno fatto anche degli scioperi».


Oggi si assiste ad un rigurgito antisemita e ad un revisionismo storico esasperato, a cosa è dovuto?

«È dovuto principalmente alla destra, che legittima certe posizioni. Io direi che la shoah è stata molto metabolizzata e purtroppo nel modo peggiore. Se io penso che un paese come questo, che tra l’altro ha avuto un forno crematorio, quello di Trieste, la Risiera di San Sabba, oltre a vari campi di concentramento da Merano a Fossoli, ha faticato non poco per ottenere un giorno dedicato alla Memoria, ho detto tutto. Sul revisionismo possiamo solo dire che per sei milioni di morti massacrati in quel modo non ci puo’ essere né una giustificazione storica, né ideologica, pertanto l’unica difesa, l’estrema ratio è la negazione. E’ un processo pericoloso che intacca la conoscenza. La recente edizione di una famosa enciclopedia riporta alla voce Auschwitz questa definizione: “Luogo di detenzione dove vennero internati gli ebrei per tutta la guerra”. 2milioni e mezzo di morti finiti così. Se questo è il risultato, ci vorrebbe una seconda resistenza, ma non siamo capaci di farla».


Michele Mancino


Appuntamenti

A Vaste (di Poggiardo) ricordano Alfio, Filadelfio e Cirino

Entrambi i genitori furono barbaramente martirizzati. I tre fanciulli vennero educati dapprima da Evodio da Bisanzio e, successivamente, dal Sacerdote cristiano Onesimo. I loro nomi, le cui radici presentano…

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Aria di festa a Vaste (frazione di Poggiardo) per i Santi patroni Alfio, Filadelfio e Cirino, i tre Martiri vissuti nel III secolo.

I tre fratelli nacquero nella Città dei Prefetti, nel III secolo. Dai nobili natali, discendevano da Benedetta di Locuste e dal principe Vitale (o Vitalio), padre di quattro figli (la primogenita fu madre del martire Erasmo).

Entrambi i genitori furono barbaramente martirizzati. I tre fanciulli vennero educati dapprima da Evodio da Bisanzio e, successivamente, dal Sacerdote cristiano Onesimo. I loro nomi, le cui radici presentano eminentemente una derivazione ellenistica, evidenziano tre significati ben precisi: Alfio (di carnagione chiara), Filadelfo (amico del fratello), Cirino (piccolo signore). La breve vita terrena dei tre Santi si concluse in modo tragico: furono martirizzati per la loro fede Cristiana a Lentini, in Sicilia, nel 253 d.C.

La Novena in onore dei Santi Martiri, quest’anno è titolata “La Vita è un Viaggio”, (avviata il 1° maggio con l’intronizzazione dei Santi e seguita, il giorno dopo, da “Il Miracolo della vita” che si concretizza nelle braccia di una madre con la dott.ssa Adriana Carluccio che si racconta…) prosegue sabato 3 maggio con “Un Cuore che ha R-imparato a battere”: nei corridoi degli ospedali comprendi che la vita non è una gara ma una benedizione. Il dott. Stefano Primitivo si racconta…

Domenica 4, “Lungo la via che percorsero i Martiri”: alle 18,30: Pellegrinaggio e Santa Messa al Pozzo dei Martiri.

Lunedì 5, “Se ognuno di noi vedesse nel prossimo il riflesso di Dio, pensate che ci sarebbe ancora bisogno di barconi?”: la Dott.ssa Katia Botrugno si racconta…

Martedì 6, “Chiusi dentro”: viaggio nelle carceri italiane. La prof.ssa Alba Monti si racconta…

Mercoledì 7, “Vite spezzate: la tua morte è per me, per noi la più grande ingiustizia». L’avv.ssa Maria Cristina Rizzo si racconta…

Giovedì 8, “Non sono stati mamma e papà ad adottare me, ma sono stata io con il passare dei giorni, dei mesi e deglianni ad adottare loro”. Mina Monteduro si racconta…
Si entra nel vivo delle celebrazioni venerdì 9 maggio: alle 8,30: Santa Messa della vigilia; alle 19,30, la processione per le vie del paese.
Al termine, lo spettacolo itinerante della Salento Street Band, Artisti di Strada e il Dj Nico Monteduro.

Sabato 10, solennità dei Santi Patroni Alfio, Filadelfio e Cirino, Sante Messe alle 8, 11 e 19 (in piazza, celebrata da don Antonio Tondi, parroco di Collepasso).
Nel corso della giornata presterà servizio la Grande Orchestra di Fiati Lirica Sinfonica di Terra d’Otranto Città di Lecce, diretta dal Maestro Giancarlo Perrone.

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Attualità

Taurisano e la Festa del SS Crocifisso ed il grande spettacolo

Oggi, 3 maggio, il concerto degli Audio 2, noti al grande pubblico anche per la loro stretta somiglianza al compianto Lucio Battisti. Sul palco, un altro grande esponente della musica partenopea: il percussionista Tony Esposito…

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Taurisano rinnova l’appuntamento con la tanto attesa Festa del Santissimo Crocifisso: un’occasione di fede, cultura e anche grande spettacolo che unisce la comunità in un’atmosfera unica.

Quella di quest’anno, promette di essere un’edizione speciale che anuncia emozioni forti.

Sabato 3, presso la Cappella del SS. Crocifisso, Sante Messe alle 8 e alle 10. Alle 11 traslazione della venerata immagine del SS. Crocifisso nella Chiesa SS. Apostoli San Pietro e Paolo dove sarà celebrata la Santa Messa alle 18,30.

Alle 19, la processione per le vie del paese.

Nel corso della giornata presterà servizio il Gran Concerto Bandistico Associazione “G. Verdi” di Taurisano.

In cartellone, per sabato 3 maggio, il concerto degli Audio 2, alla ribalta negli anni ’90 e duemila e noti al grande pubblico anche per la loro stretta somiglianza al compianto Lucio Battisti. Sul palco, con i due artisti napoletani,un altro grande esponente della musica partenopea: il percussionista Tony Esposito con la sua inconfondibile energia.

Dopo il concerto, nell’Area So What, street food, birra artigianale e DJ set con Manuele Arhgirò.

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Attualità

Casarano Calcio: voce ai commericanti ed alla gente

Le voci, i commenti, la gioia dei tifosi e dei commercianti di Casarano per la Serie C

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ESCLUSIVA

INSERTO CASARANO IN SERIE C, scaricalo cliccando sul link a seguire:

https://www.ilgallo.it/wp-content/uploads/2025/04/Inserto-Maggio_Casarano-Serie-C.pdf

di Giuseppe Lagna

Gianni Toma (Toma Orologi)

«Felice della grande stagione e del ritorno del Casarano tra i professionisti, sarà volano economico per l’intera città. Gioisco anche per aver contribuito al rilancio della squadra alcuni anni fa».

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Annalisa Giorgino (Civico 16 Abbigliamento)

«Sono molto contenta per la vittoria del campionato, che porterà notorietà alla città e incremento alle attività commerciali».

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Agostino Malorgio (Enjoy Pizza Restaurant)

«Sono sicuro che la promozione del Casarano in serie C darà lustro anche all’economia e alla socialità nella città, con vantaggi anche nelle attività di ristorazione».

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Alessandro Venneri (Libreria Dante Alighieri)

«Sicuramente la risalita del Casarano nei professionisti apporterà ampi riflessi in tutte le attività del territorio, comprese quelle sportive e culturali».

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Paolo Mele (Bar Betitaly)

«Con il ritorno del Casarano nel professionismo tutta la città deve essere soddisfatta, perché è noto che il calcio può rappresentare occasione di ripresa in ogni ambito sociale».

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Aldino Antonaci (Trattoria La Pergola)

«Dopo quasi un trentennio di alti e bassi, siamo riconoscenti all’impegno del presidente Antonio Filograna Sergio per aver riportato il Casarano in serie C, questo avrà certamente ripercussioni positive in ogni settore dell’economia cittadina».

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Alessandra Costa (Costa Confezioni)

«Per me che son cresciuta al seguito del Casarano con mio padre Gigi è stata una grande gioia e spero che la serie C riporti la città agli splendori sociali ed economici di un tempo».

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Leonardo Scorrano (Buffetti Computer Store)

«Come recita lo striscione apposto al mio negozio, si è trattato di una continuità tra l’epoca di Mesciu Ucciu Filograna e suo nipote Antonio. Tutto questo non potrà che assicurare vantaggi all’economia della Città e del comprensorio».

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Giovanna D’Agnello Crazy Tabacchi e Servizi online)

«Finalmente! La Serie C è un’altra cosa. Il salto di categoria ce lo siamo meritato tutti. In particolare, noi tifosi. Dico “noi” perché, oltre ad occuparmi della rivendita dei biglietti per le partite nella mia tabaccheria, sono un’assidua frequentatrice della curva. Quando abbiamo potuto cantare “ce ne andremo in Serie C”, in curva erano tanti gli occhi gonfi. La terza serie darà lustro alla città e, ne sono sicura, anche l’economia casaranese se ne gioverà. Sono felice anche per i calciatori, ne ho conosciuti molti e sono tutti bravi ragazzi. Così come sono felice per il presidente, se lo merita. Domenica 4 maggio al Capozza ci sarà il pienone e sarà gremita anche la Curva Sud.
Faremo una grande festa, questo è sicuro!».

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