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Scuole: ai primi posti Tricase, Maglie, Gallipoli e Nardò

Le scuole del capoluogo salentino non riescono a confermarsi al vertice della classifica

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Le scuole del capoluogo salentino non riescono a confermarsi al vertice della speciale classifica di Eduscopio, elaborata dalla Fondazione Giovanni Agnelli. Quest’anno al primo posto dell’indirizzo Classico, troviamo il “Liceo Capece” di Maglie, seguito dal “Colonna” di Galatina e dal “Palmieri” di Lecce.


Il Liceo scientifico “Stampacchia” di Tricase, precede due scuole leccesi, il “De Giorgi” e il “Banzi Bazoli”. Al vertice dell’indirizzo Linguistico il “Quinto Ennio” di Gallipoli, seguito dal “Capece” di Maglie e dal “Vanini” di Casarano.


Tra gli istituti tecnici invece primeggia il “Vanoni” di Nardò nell’indirizzo Tecnologico e il “Vespucci” di Gallipoli per quello Economico.


Tra le diverse prese di posizione registriamo quella della dirigente Gabriella Margiotta, del Liceo Capece di Maglie che pubblichiamo integralmente.


La lettera


“Il risultato eccellente attestato dalla classifica di EDUSCOPIO che colloca al primo posto il Liceo Classico “Francesca Capece” di Maglie e sul podio anche l’Indirizzo Linguistico dello stesso Liceo sicuramente gratifica tutti noi che con massimo senso di responsabilità ed amore  abbiamo scelto la scuola come missione di vita.


In particolare, poi, in questo momento storico di estrema difficoltà diviene cruciale  favorire la consapevolezza dell’importanza di valori di riferimento  per un coinvolgimento individuale verso obiettivi comuni.


Certamente la scuola, insieme con la famiglia, ha notevole responsabilità nel favorire lo sviluppo di una coscienza civica nei giovani, per cui ogni educatore ha il dovere di interrogarsi sulle azioni finalizzate a temi di legalità, cittadinanza e impegno civile.


Il rispetto della persona, i diritti inalienabili dell’uomo, la responsabilità individuale e collettiva, il senso civico, i valori di libertà e di giustizia rappresentano solo alcuni temi di una cultura civico-sociale, che trova riscontro già nel messaggio della tradizione greco-latina, trasmesso a gran parte della tradizione europea e non solo.

E appunto questo che coniuga la più squisita tradizione della cultura e delle lingue antiche con la modernità delle culture e delle lingue europee e internazionali attuali.


Pertanto essenziali risultano la curiosità e la capacità di relazione con l’altro (inteso come persona, contesto, cultura, diversità), affiancate alla capacità di pensiero critico e alla resilienza.


E promuovere la resilienza è ciò che rende attuale la scuola.


Resilienza è appunto la capacità di perseguire obiettivi sfidanti affrontando con efficacia ogni sorta di difficoltà ed eventi negativi.


E’ bello ricordare, però, che già Senofonte in tempi remoti sembra anticipare il concetto di resilienza nel monito “ Gli dei non concedono nulla agli uomini senza fatica”.


Educare, pertanto, a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come minaccia ed infondere coraggio ed ottimismo nei nostri ragazzi, spesso fragili e disorientati, è forse l’obiettivo più importante che può prefiggersi la scuola, soprattutto nell’incertezza di un presente che può creare sgomento.”


Gabriella Margiotta


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Scuola: “Lasciate il cellulare voi ch’entrate…”

Alla luce di tutto questo bisogna intendere la Circolare del Ministero che vieta l’uso dello smartphone anche nella secondaria superiore. In altri termini, proibisce l’uso del telefonino a scuola

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di Hervé Cavallera

Nel nostro tempo, ove predomina lo sviluppo tecnologico, la comunicazione digitale è la realtà di ogni momento, in una mescolanza assordante di notizie importanti e inutili, vere e false, necessarie e superflue.
A tutto questo si aggiunge il crescente successo della Intelligenza artificiale, destinata ad incidere risolutamente sulla nostra vita. Ebbene, questa ingombrante presenza non è in sé stessa un male; al contrario, la produzione tecnologica è in sé positiva.
Occorre solo usarla al momento giusto e nei giusti limiti.
Il che non è facile, anzi pressoché impossibile se si considera il quotidiano. E che siamo sudditi della tecnica è appunto attestato ogni giorno dall’uso frequentissimo che facciamo del cellulare o, meglio, dello smartphone.
Mentre una volta il cellulare era un utilissimo telefono portatile, lo smartphone è molto di più: è un vero e proprio computer che consente l’accesso a internet e permette di installare app.

Attraverso il suo uso non soltanto possiamo comunicare,  bensì trovare ogni tipo di risposta, compiere delle traduzioni e così via.

Alla luce di tutto questo bisogna intendere la Circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito del 16 giugno 2025 che vieta, per l’anno scolastico 2025/26, l’uso dello smartphone anche nella secondaria superiore.
In altri termini, il Ministero proibisce l’uso dello smartphone a scuola, a partire dalla scuola dell’infanzia, a meno che il suo utilizzo non sia previsto dal “Piano educativo individualizzato” e dal “Piano didattico individualizzato”.

Ora, come per ogni intervento restrittivo, è stata sollevata qualche critica e non solo per il fatto che ogni scuola dovrà dotarsi di apposite “cassettiere” ove vengano depositati e custoditi gli smartphone degli alunni prima che essi entrino in classe, ma perché si tratterrebbe dell’impedimento di godere di uno strumento privato.

Ad avviso dello scrivente l’intervento ministeriale è invece opportuno, anche perché eventuali, impellenti e necessarie comunicazioni tra familiari e alunni possono sempre avvenire per il tramite delle segreterie scolastiche. Quindi non si escludono comunicazioni ufficiali interpersonali, come del resto l’uso di internet e dei computer può benissimo rientrare in una accorta progettualità didattica.

Quello che invece va detto è che l’andare a scuola serve, per gli alunni di ogni ordine e grado, ad acquisire conoscenze e competenze che giovino alla crescita intellettuale, morale e sociale.
Il che importa che i professori stimolino, attraverso il loro insegnamento, l’interesse degli alunni e che questi si sforzino a far propri i frutti di quanto appreso e di svilupparli da parte loro.
Si tratta, pertanto, di un rapporto apparentemente chiaro, ma nei fatti difficile e complesso che richiede impegno continuo, anche quando è gradevole.
In altri termini, semplificando, nella scuola ci si pone continuamente di fronte a delle novità e di fronte a dei problemi e occorre accogliere le prime adeguatamente e risolvere i secondi.
Ciò implica, ovviamente, la personalizzazione dell’apprendimento, sicché ogni alunno fa proprio ciò che riceve e sviluppa gradualmente i suoi interessi che decideranno il suo futuro professionale e civile, sempre nell’accettazione di una morale condivisa che rispetti leggi e regole sociali.
Se le cose stanno così e se l’apprendimento richiede sforzo, è chiaro che in classe strumenti come lo smartphone sono non dirò inutili, ma nocivi in quanto favoriscono sia la distrazione quando, celatamente, lo studente è portato a chattare sia il non apprendere quando lo studente ricorre a tale mezzo per rispondere a dei quesiti, per tradurre delle versioni o risolvere delle equazioni e così via.
La scuola, come già nel secolo XIX disse il pedagogista Aristide Gabelli (1830-1891), deve formare lo “strumento testa”, mentre un uso non corretto dello smartphone blocca appunto l’utilizzazione della ricerca personale e, quindi, della propria crescita.
E non si tratta di un problema astratto.
Vi è da chiedersi, infatti, quanti oggi affidano la soluzione di ogni dubbio allo strumento, rendendo obsoleta ogni tipo di ricerca personale e indebolendo la stessa memoria.
Molto verosimilmente lo sviluppo dell’intelligenza artificiale condurrà, in una società peraltro con una forte decrescita di natalità, alla fine di tanti mestieri e professioni, con ulteriore diminuzione di lavoratori.
Inoltre, ci si deve preoccupare non poco di come gli studenti gestiranno i compiti a casa, potendosi essi affidare in ogni trattazione alla intelligenza artificiale e quindi rinunciando ad un impegno faticoso forse, ma intellettualmente positivo.
In questo contesto molto preoccupante, è importante che la scuola continui ad essere ciò che da sempre è considerata essere: un centro formativo in cui bambini, ragazzi, adolescenti acquisiscano conoscenze, imparino a convivere serenamente, sviluppino capacità di ragionare e competenze.
In tale sede il limite dello smartphone è quello di sostituirsi al cervello pensante e di risolvere tutto velocemente, trascinando di fatto il fruitore in una reale dipendenza.
Il che non vuol dire – giova ripeterlo – che lo strumento sia in sé negativo e  in vari casi è giusto, anzi opportuno, adoperarlo.
Ma non soggettivamente nella scuola.
Il processo di apprendimento vuole che ci si sforzi nel percorso formativo e non che mezzi automatici risolvano ogni cosa, evitando lo sforzo del pensare e impigrendo il cervello.
Chi scrive ha cominciato il suo cursus scolastico scrivendo con penna, inchiostro e calamaio e ha assistito nel corso degli anni ad uno sviluppo eccezionale della tecnica e, come tanti suoi coetanei e più giovani di lui, sa bene i vantaggi che può offrire la tecnologia, ma sa pure che essa non può mai sostituire la nostra attività pensante perché, se così fosse, perderemmo ogni autonomia personale e saremmo asserviti ad oscuri poteri.
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Elezioni Regionali, Giuseppe Negro: “Io ci sono”

«Possiamo invertire la tendenza in maniera tale che tutto ciò che si decide da Bari in su tenga effettivamente conto della vita reale delle nostre comunità»…

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di Giuseppe Cerfeda

«Ho deciso di candidarmi come consigliere regionale perché credo che ci siano momenti nella vita in cui ci è chiesto un impegno maggiore a favore del bene di tutti. Momenti nei quali non basta più “stare alla finestra”, chiedendo alle istituzioni di introdurre o di cambiare leggi e regolamenti con cui migliorare il nostro vivere civile. Occorre provare a farlo direttamente, mettendoci la faccia e spendendosi in prima persona per la propria comunità».

Si presenta così Giuseppe Negro , 56 anni, imprenditore di Tiggiano, sposato con Anna Rita e papà di Benedetta e Clemente. Sarà uno dei candidati al consiglio regionale tra le fila del centrodestra.

Quali sono le esperienze e competenze che la qualificano per questo ruolo?

«Da più di 25 anni opero, attraverso l’ente formativo ASCLA, nel settore dell’educazione, della formazione e dell’inserimento nel mondo del lavoro. Questo mi ha portato a incontrare migliaia di persone – giovani, ma non solo – in cerca di occupazione, nonché numerosissimi imprenditori desiderosi di crescere e di migliorarsi. L’esperienza maturata svolgendo la mia attività è sempre andata di pari passo con una necessaria propensione all’ascolto, alla conciliazione dei bisogni tra chi cerca un lavoro e chi lo offre, alla mitigazione dei conflitti che spesso caratterizzano le diverse parti sociali a favore di soluzioni concrete che soddisfino gli interessi di tutti. In altre parole, mi sono sempre occupato indirettamente di politica secondo la definizione di Pio XI – di recente ricordata da Papa Leone XIV – che afferma la politica essere “la forma più alta di carità”. Adesso è giunto il momento di farlo direttamente».

LE PRIORITA’

Quali sono le priorità che intende affrontare pensando al territorio (spesso bistrattato e dimenticato) che rappresenta?

«Ritengo che il legame con il territorio rappresenti un plus. Il nostro territorio è sempre più ai margini, si sta lentamente “desertificando” e isolando.
La politica, anche regionale, ha in questo momento la grande responsabilità di fare bene e responsabilmente la sua parte per favorire e sostenere il rilancio di un territorio dalle enormi potenzialità. Anche con lungimiranza e “visione”.
Sento addosso la responsabilità di impegnarmi in politica per veicolare gli interessi del nostro territorio, ma con uno sguardo che non si limiti alla recriminazione spicciola.
Bisogna pensare in grande.
Per fare un esempio, Leuca e il Sud Salento da sempre sono un crocevia di incontri per il Mediterraneo. Di questa posizione strategica oggi noi sfruttiamo solo alcuni aspetti, legati soprattutto ai flussi turistici, mentre siamo chiamati a un nuovo protagonismo che ci ponga al centro dello scacchiere mediorientale».

Che cosa significa questo concretamente?

«Significa che possiamo fare sentire la nostra voce su temi che oggi ci vengono “calati dall’alto”.
Possiamo invertire questa tendenza in maniera tale che quello che si decide da Bari in su tenga conto effettivamente della vita reale delle nostre comunità.
In questo modo si può arginare quel fenomeno distorsivo che tuttora penalizza i cittadini del Sud Salento, chiamati ad applicare sulla propria pelle leggi talvolta avulse da una reale esperienza o dall’interesse specifico di un luogo».

ECONOMIA E LAVORO

Proviamo a scendere nei dettagli. Sviluppo economico e lavoro: come promuovere lo sviluppo economico e l’occupazione?

«Anzitutto va detto che la politica, a tutti i livelli, non può e non deve sfornare ricette, quasi fosse il toccasana di tutti i mali. Può però favorire dei meccanismi virtuosi, innescare dei processi che possono fare da volano allo sviluppo economico. Servono infrastrutture e competenze.
Le prime aiutano a semplificare la logistica delle aziende (e non solo), le seconde mettono in mano quel bagaglio di conoscenze necessarie nel mercato del lavoro».

Quali settori economici ritiene più importanti per la nostra regione e dove spingerebbe sull’acceleratore?

«Sull’impulso da dare al turismo di qualità, siamo tutti d’accordo.
Si deve dare anche sostegno forte alla manifattura, al commercio, ai servizi. Bisogna passare dalle parole ai fatti, dai buoni propositi ad azioni concrete. Con coraggio, realismo e lungimiranza».

CULTURA E TURISMO

Cultura e turismo restano snodi vitali per la Puglia: quest’anno, soprattutto a luglio, si è registrato un calo delle presenze nel Salento e qualcuno già recita il de profundis. Lei che idea si è fatta e, soprattutto, cosa propone?

«Se non si destagionalizza, è normale che le persone cerchino luoghi di vacanza più economici per soggiorni mordi e fuggi. D’altra parte, l’enfasi sul turismo come attività primaria può essere miope, perché turismo e cultura da soli non bastano. C’è un tessuto produttivo diffuso dalle nostre parti, fatto di artigiani ma anche di aziende molto note che esportano i loro prodotti all’estero. Questo tessuto ha bisogno di essere sostenuto, ad esempio semplificando tutta l’impalcatura autorizzativa da una parte e attingendo all’innovazione digitale dall’altra.  Pena il rischio di non essere più in grado di competere sul mercato.

Un pensiero va anche all’agricoltura, che in questi anni ha visto il ritorno di molti giovani ad attività che rischiavano di scomparire.

La stessa innovazione che la Regione può mettere a disposizione di artigiani e aziende deve innestarsi in chi dalle nostre parti intende dedicarsi ad una nuova agricoltura.
Anche questo, fra l’altro, può collegarsi a un modo diverso di abitare i luoghi e di ospitare chi viene da fuori. Se non vogliamo un turismo mordi e fuggi, dobbiamo essere i primi a far fiorire spazi in cui è bello sostare in qualsiasi stagione, non soltanto in estate».

SANITA’ E SALUTE

Qual è la sua posizione sulla sanità pubblica pugliese?

«Sulla sanità pugliese c’è ancora molta strada da fare, anche in un dialogo sempre più stretto tra pubblico e privato. Abbiamo tanti esempi di eccellenza, anche di aziende sanitarie non statali che svolgono un enorme servizio pubblico. Compito della vera politica è quello di sostenere e valorizzare tutti, e alla pari, purché svolgano un reale ed eccellente servizio a favore di tutti i cittadini. La Regione ha in questo un ruolo decisivo e fondamentale».

GIOVANI E FUTURO

La nostra è una terra che va svuotandosi, soprattutto della popolazione più giovane. Cosa si può fare per bloccare l’emorragia?

«Bisogna partire dal lavoro (e prima ancora dalla formazione). Senza formazione, non ci può essere lavoro dignitoso, qualificato, remunerativo. La nostra terra, come gran parte del Sud, si sta svuotando perché ai nostri giovani non riusciamo ad offrire vere e adeguate “occasioni”. Non sarà facile, ma è il momento della responsabilità condivisa. Su certi temi legati alla sopravvivenza reale di un territorio non è più possibile improvvisare. Bisogna smetterla di parlare “genericamente” di questi temi, ma è urgente passare a fatti e azioni concrete, ridando alla politica il suo ruolo. Senza un vero impegno sui temi del lavoro e senza amore verso i giovani non si può parlare di futuro».

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Il turismo di una volta e l’overtourism e turismo cafonal di oggi

Come erano le vacanze di una volta? Come è cambiata la nostra società salentina? Lampi di ricordi dal dopoguerra ad oggi…

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di Hervé Cavallera

Tra i mesi estivi agosto rappresenta più degli altri il mese delle vacanze, che per i Salentini si potrebbe esprimere con lo slogan “tutti al mare!”, mentre i turisti sono ovunque presenti nelle nostre cittadine oltre che sui litorali.
E si parla di overtourism e di turismo cafonal.
Prescindendo da situazioni limite e sempre riconoscendo l’importanza del turismo sostenibile in un contesto sociale in cui le valutazioni affidate ai social media si sostituiscono ai diretti contatti interpersonali, il ricordo, ovviamente per i più anziani, non può che andare alle vacanze del passato e rendersi conto di come tanto siano mutate.
Innanzitutto, per i bambini, ragazzi, adolescenti di una volta, ossia di ottanta-sessanta anni fa, il concetto di vacanza era collegato, particolarmente per la classe medio-alta, al non andare a scuola.
Certo, dalla metà di giugno a settembre, soprattutto per coloro la cui cittadina non era distante dal mare, come per Tricase, vacanza significava anche andare al mare.
Andare fuori, spostarsi era difficile per i più. Perché poi farlo?  Col caldo non era comodo spostarsi in altre città e la villeggiatura in montagna era pressoché impensabile, sia per la spesa economica, sia per la distanza, sia perché si aveva il ristoro per così dire a quattro passi.
Pertanto, accadeva che le famiglie benestanti non esitassero a farsi costruire la casa al mare. Né mancava chi le affittava.
Ci si spostava, insomma di quattro chilometri – tale è la distanza da Tricase centro dalle sue marine – e ciò valeva in realtà per tutti gli abitanti dei paesi del Capo di Leuca.
Anche questo – penso agli anni Cinquanta del secolo scorso – non era facile ai più, essendo ben poche le automobili.
Di qui, per la maggioranza, il ricorrere alla corriera che dal centro della città portava al mare.
Rammento corriere strapiene, dal giorno alla sera, come non mancavano coloro – pochi in verità – che ricorrevano al calesse o al più tradizionale carro.
Va inoltre ricordato che di solito si andava al mare con il costume da bagno già indossato, sì da poi togliere ciò che si aveva sopra, buttarsi in acqua, asciugarsi al sole e quindi tornare a casa.
Una volta, invece – e ve ne sono ancora a Leuca –, esistevano le bagnarole, delle eleganti strutture in pietra che consentivano, in specie nei primi anni Venti, alle nobildonne di godere, nel loro interno, delle acque marine lontano da sguardi indiscreti.
Le famiglie più ricche usufruivano altresì di barche di varia tipologia che consentivano di spostarsi in alto mare e di poter prendere il bagno separate dalla folla ammassata lungo il litorale.
Insomma, la vera vacanza, con possibilità di spostamenti e di feste notturne, era riservata alle famiglie di alto livello economico e sociale.  Per coloro che beneficiavano di una casa al mare senza alte pretese, dopo il bagno mattutino e il riposo pomeridiano, la serata spesso era allegramente trascorsa a cena con amici. Poi cominciarono ad aprirsi i primi locali notturni con il conseguente richiamo giovanile.
Per la maggior parte dei cittadini, comunque, la giornata al mare era riservata nello spazio del mattino, mentre erano ancora presenti delle colonie estive, assai diffuse ai tempi del fascismo, che raccoglievano, con intenti educativi e di svago, bambini di famiglie disagiate.
Accadeva così che, dopo il tramonto, permanendo il calore nelle case, molte famiglie si radunavano fuori casa.

DALLA RADIO ALLA TV

Gli adulti chiacchieravano tra loro, le donne anziane narravano favole ai più piccoli, mentre i ragazzi giocavano a pallone e i più grandi cercavano diversi modi di trascorrere il tempo.

Altre forme di aggregazione erano fornite dall’ascolto della radio e soprattutto, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, dalla televisione.
Ricordo anche che per qualche tempo fu realizzato a Tricase il cinema all’aperto.  A ben considerare, si trattava nel Salento di un’estate abbastanza tranquilla, se non proprio modesta, che rifletteva lo stato sociale dei cittadini.
Limitata, quindi, per la maggior parte e con pochi divertimenti e soprattutto volta a ripararsi dalle spossanti ondate di calore. Tenendo conto che, ancora negli anni Cinquanta, vi erano case prive di acquedotto (e in taluni casi anche della luce elettrica), le persone prendevano l’acqua dalle pubbliche fontane, acqua destinata a tutti gli usi possibili.  Lo scarso numero di auto consentiva inoltre ai bambini di occupare gioiosamente gli spazi pubblici e giocare.
Assai diffusi, tra i giochi, il nascondino, la campana, il salto della corda, la palla, il calcio e la mosca cieca.
Così, dopo la mattinata al mare e il silenzio del pomeriggio, a tarda serata i paesi sembravano prendere vita e tutte le età davano il loro contributo.
Nonostante i divertimenti fossero piuttosto pochi, la comunità riusciva a conservare il senso della propria identità e si dialogava.
Pettegolezzi tra adulti anche, narrazioni di oscuri e coinvolgenti avvenimenti per i piccoli pure: ma si riusciva a stare insieme e lo spirito comunitario era senza dubbio forte, di là dalle immancabili contrapposizioni.
Inoltre, in cittadine scarsamente illuminate, vi era il grande spettacolo del cielo stellato con la Via Lattea in evidenza e i ragazzi più acculturati erano intenti ad individuare la Stella polare.

La maggiore circolazione delle donne favoriva la nascita dei desideri sentimentali e si sognavano viaggi e avventure in terre lontane anche su sollecitazioni dei fumetti, dei film, dei romanzi.

 

Un piccolo mondo ancora a misura d’uomo con pregi e difetti, ma con una maggiore umanità che si manifestava nell’atten-zione per il prossimo.

Un “piccolo mondo antico”, per dirla con Fogazzaro, e di cui non resta che un lontano e forse nostalgico ricordo.

*foto in alto di Maurizio Buttazzo
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