Connect with us

Casarano

La LILT Lecce contro la Centrale a Biomasse a Casarano. La risposta dell’Italgest

Pubblicato

il

La notizia della convocazione di una conferenza dei servizi da parte della Regione Puglia, il prossimo 13 aprile, presso il Servizio Energia, Reti e Infrastrutture materiali per lo sviluppo dell’Assessorato allo Sviluppo Economico, per l’eventuale autorizzazione alla costruzione a Casarano da parte della Società Italgest Energia s.r.l. di una centrale a biomasse da 25 MW denominata “Heliantos 2”, riapre  una questione che si credeva superata, poiché sembrava che, grazie al concorso di tanti, fosse stata definitivamente fatta chiarezza e fosse divenuta senso comune la non opportunità di tali insediamenti nel territorio.


Già tre anni fa, come LILT di Lecce, prendemmo posizione in merito e facemmo conoscere pubblicamente la pericolosità per la salute di questo, come di tanti altri progetti similari in cantiere. La vasta mobilitazione di cittadini, associazioni ed esperti che ne seguì, portò le Pubbliche Amministrazioni ad assumere decisioni più responsabili, nell’esclusivo interesse della salute pubblica, peraltro già molto compromessa. Nessun impianto a biomasse, in quel periodo e a tutt’oggi, venne realizzato e le decine di progetti presentati sono stati fermati sulla base di considerazioni attinenti le politiche energetiche e di sviluppo del territorio, le ripercussioni estremamente negative sulla salute dei cittadini e la salvaguardia ambientale. Ora, vogliamo una volta di più porre all’attenzione di quanti istituzionalmente sono chiamati ad esprimersi nel merito di questi impianti alcune considerazioni “elementari” che dovrebbero essere ormai patrimonio acquisito, senso comune (e lo sono, almeno per una larga fetta di pubblica opinione), ma che stentano a far breccia nel muro degli interessi politico-economici, cui sembra far difetto, nel loro agire, quella “Responsabilità Sociale per la Salute”, tanto raccomandata ai massimi livelli istituzionali della Comunità Europea.


Come presidente provinciale di un’associazione come la LILT, da sempre attenta alla salute e protesa a divulgare le buone regole della prevenzione, e come oncologo, impegnato a far fronte ad una malattia drammaticamente in crescita, non posso esimermi dal sottolineare il fatto, ormai assodato, che la vera lotta ai tumori è la lotta all’incidenza. Non bastano i successi delle cure – i nuovi interventi e i nuovi farmaci, che pure salvano vite umane – se tante e tante persone si ammalano ogni giorno, anche quelle più giovani, un tempo pressoché risparmiate. La realtà è che l’aumento dell’incidenza vanifica ogni conquista ottenuta sul fronte delle terapie e il bilancio, va detto senza mistificazioni, è sempre più sfavorevole. Perché succede tutto questo? Perché questa malattia colpisce sempre di più nonostante i progressi della scienza? La risposta non può che andare alla ricerca delle cause e, su quelle vanno diretti gli sforzi maggiori, allo scopo di eliminarle o, perlomeno, di ridurle sensibilmente.


Val la pena ripensare alle acute parole dell’epidemiologo inglese, Sir Geoffrey Rose, che nel suo rigoroso libro “The strategy of preventive medicine”, ammoniva: “…le decisioni che più condizionano la salute di un Paese non sono prese nelle stanze del Ministero della Salute, ma in quelle dell’Ambiente, dell’Industria, dell’Istruzione, del Lavoro e, specialmente, del Tesoro”. Oltre il 90% dei casi di cancro infatti è dovuto all’azione di fattori di rischio presenti nei luoghi di vita e di lavoro; fattori coi quali quotidianamente e spesso per lungo tempo si viene in contatto, e che, col passare dell’età, traducono il danno in malattia conclamata. Alla luce di queste evidenze, è ovvio come sia poco efficace, in termini di vite umane da salvare, affaticarsi oltre misura a creare grandi strutture di cura. Risulta invece più utile che le Istituzioni mirino a garantire una ricerca libera e indipendente, la sola in grado di studiare le cause di malattia, da cui far discendere poi azioni atte a rimuoverle (norme, educazione, modelli di sviluppo, ecc.), proteggendo così tante persone. Come accadde per le malattie infettive nei secoli scorsi, che furono drasticamente ridotte, non tanto per i rimedi della medicina, ma per gli interventi di salute pubblica (acqua in casa, rete fognaria). Queste azioni sollevarono la qualità di vita delle persone e, al contempo, allontanarono le cause scatenanti le infezioni. Serve allora investire le risorse solo e soprattutto nella direzione della cura e della diagnosi precoce dei tumori? E’ come immettere sempre più acqua in un contenitore che invece continua a perderla dal fondo.


E’ tempo, pertanto, che dai governanti, dagli amministratori e dagli operatori economici venga un’assunzione di responsabilità ed una volontà unanime di adoperarsi per la riduzione dell’incidenza del cancro, l’unica strada seria per assicurare meno malattia e per garantire vivibilità e futuro, come già da qualche anno sta avvenendo nei paesi nord-europei e negli USA, dove la mortalità diminuisce in funzione della riduzione dell’incidenza. Ciò vale ancor più per il Salento, un’area fino a 20-30 anni fa relativamente risparmiata dal cancro (con un 25-30% in meno di mortalità rispetto al Centro-Nord del Paese). Nel nostro territorio, attualmente, si registra invece un preoccupante trend di aumento dei casi e dei morti per malattia neoplastica, tanto da vedere ormai annullato quel gap virtuoso che ci differenziava dal Nord. Addirittura, tra tutte le province pugliesi, i dati dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale della Puglia registrano, inspiegabilmente, per la provincia di Lecce un picco per alcune tipologie tumorali (polmone, vescica, leucemie) : un dato che andrebbe, con urgenza, indagato e approfondito. Se in questo territorio, fino a pochi anni fa, il tumore era più raro che al Nord, qualcosa deve averci protetto; ma se ora i casi sono in aumento, qualcosa di nuovo deve essere subentrato. In quest’ottica va letto l’ultimo rapporto regionale dell’ARPA Puglia, redatto sulla base dei dati INES: la concentrazione di inquinanti industriali nell’atmosfera della nostra regione è la più alta a livello nazionale; inoltre, il territorio leccese subisce, almeno in parte, gli effetti di un grave inquinamento a distanza, oltre ad essere, esso stesso, portatore di alcune criticità ambientali. Di fronte a questi dati, molti cittadini ed associazioni hanno scelto di assumere un ruolo attivo e partecipe.


Le conoscenze scientifiche, uscite dal mondo accademico, sono divenute patrimonio comune, perché in ballo ci sono questioni cruciali come la Vita, la Salute e l’Ambiente. Su questi temi il dibattito nel Salento è tuttora molto acceso, seguito e partecipato. La LILT di Lecce ha già sostenuto pubblicamente che qualunque scelta rilevante per lo sviluppo del territorio deve tener conto dei costi umani e ambientali che comporta. Progresso e sviluppo debbono pensarsi ed essere perseguiti nel rispetto dei luoghi e delle persone che li abitano, dove gli utili siano guadagni di salute collettiva e non profitti dell’oggi, con conseguenze nefaste e irrimediabili nel domani. Proprio come accade nel caso delle centrali a biomasse, una scelta non sostenibile che disattende queste necessità e questi criteri e, inoltre, solleva nuovi pericoli e nuovi problemi. Cosa vale il profitto ad ogni costo a fronte di una popolazione sempre più malata? Progresso e Sviluppo sono tali se si mantiene integra la vivibilità di un territorio, la si tutela o la  si migliora. Altro è solo danno, quasi sempre irreparabile.

Dr Giuseppe Serravezza – Presidente LILT – Sez. Prov. di Lecce


Il comunicato stampa dell’Italgest


Con riferimento agli articoli apparsi a firma della Dr.ssa Flavia Serravezza, nonché alle dichiarazioni del padre Dr. Giuseppe Serravezza, sull’impianto a biomasse di Casarano, Italgest, l’azienda interessata, precisa quanto segue.


“Ancora una volta riscontriamo gravi falsità riportate su un’intera pagina ed illustrate a bella posta solo per denigrare il progetto Italgest. Per la precisione, ci riferiamo innanzitutto alla potenza dell’impianto. Non 33 MW, come riportato a caratteri cubitali dal titolo dell’articolo, ma 25 MW. Vale a dire che è stata erroneamente sommata l’energia elettrica con quella termica. Gli 8 MW di differenza non sono altro che l’energia termica prodotta dall’impianto, che, invece di essere dispersa nell’ambiente, viene messa a disposizione delle industrie e degli artigiani della zona industriale, per produrre “freddo” o per teleriscaldare le aziende confinanti. La seconda grave inesattezza riguarda le immagini utilizzate, ossia un accostamento che diffonde mala informazione e induce la pubblica opinione a considerare il nostro impianto un “mostro”. Così non è! L’immagine riportata erroneamente dal giornale non corrisponde al nostro tipo di  centrale. Viene infatti affiancata l’immagine di un impianto totalmente diverso sia in termini di potenza (si tratta di un impianto molto più grosso), sia in termini di specifiche tecniche, trattandosi di un impianto a biomasse legnose e non a biomasse liquide, com’è quello di Italgest. Ve ne è uno simile già realizzato a Monopoli, (anche se sei volte più grande!). Perché non è stata utilizzata quell’immagine? Quanto al convocando referendum consultivo per i cittadini di Casarano, ci limitiamo ad osservare che la Conferenza di servizi convocata dai competenti uffici regionali nulla ha a che vedere con il Referendum: si tratta di due percorsi amministrativi separati e distinti e che la Conferenza non vincolerà nessun cittadino nella libera espressione del proprio pensiero. Quanto, infine, all’affermazione del dott. Serravezza sulla riapertura di “una questione che si credeva superata, poiché sembrava che fosse stata definitivamente fatta chiarezza” sulla presunta “pericolosità” degli impianti a biomasse, ci dispiace: ma anche noi pensavamo che chiarezza fosse stata fatta una volta per tutte, con gli interventi dei maggiori luminari a livello nazionale (prof. Umberto Veronesi e prof. Massimo Federico) . Ci limitiamo, per brevità, a riportare il parere scientifico “pro veritate” rilasciato sul nostro specifico impianto a biomasse liquide, dal prof. Vito Foà, Ordinario di Medicina del Lavoro presso l’Università degli Studi di Milano, già componente della Commissione Tossicologica Nazionale. Il professore afferma: considerando il tipo di combustibile utilizzato (oli vegetali grezzi) e le tecnologie di abbattimento delle emissioni previste dal progetto dell’impianto, sono da escludersi possibili effetti sulla salute delle popolazioni residenti intorno ad esso e nei comuni limitrofi, anche considerando che a ulteriore tutela della popolazione è previsto un continuo monitoraggio degli effluenti gassosi, che escludono qualunque tipo di ripercussione negativa degli impianti a biomasse sulla salute dei cittadini, tanto meno sulla formazione di tumori. E vogliamo ancora una volta parlare degli scienziati e delle Comunità politiche mondiali? All’unisono, si sono espresse a favore delle energie da biomasse e non hanno invece riconosciuto la caratteristica del “rinnovabile” agli inceneritori dei rifiuti. Le biomasse, insieme alle energie da fonte eolica e solare, sono i nostri baluardi contro i cambiamenti climatici. Con i nostri progetti possiamo dare un contributo significativo al problema del surriscaldamento del pianeta e insieme a Coldiretti  riconvertire le coltivazioni senza più mercato”. Altro che ripercussioni negative sulla salute dei cittadini e sulla salvaguardia ambientale! E’ questa la vera “Responsabilità sociale per la salute” dei cittadini ed è questa la strada per lo sviluppo del territorio”. Il resto è solo ingiustificato allarme sociale!… Ed è mortificante per la serietà e per la professionalità di chi se ne fa portavoce”.


Casarano

Him Co, 73 lavoratori salentini col fiato sospeso

Sono quelli dello stabilimento di Casarano. L’azienda, che produce suole anche per grandi marchi, è rimasta senza commesse. Nessun accordo su ammortizzatori sociali e incentivo all’esodo. I sindacati: “Proposte insufficienti e che penalizzano i lavoratori salentini”

Pubblicato

il

 Segui il canale il Gallo  Live News su WhatsApp: clicca qui

Tutto rinviato al Ministero del Lavoro.

Su incentivo all’esodo e ricorso al contratto di solidarietà, salta al momento l’accordo tra organizzazioni sindacali e Him Co Industry.

Fumata nera dunque dopo l’incontro di ieri, che si è tenuto nella sede principale di Fossò (Venezia) ed in collegamento con lo stabilimento di Casarano.

L’azienda calzaturiera produce suole per grandi marchi e che occupa complessivamente 277 persone,  73 dei quali nel Salento.

Nel periodo compreso tra maggio e luglio ha perso una grossa commessa: da qui la necessità di garantire la sopravvivenza della società, dal punto di vista aziendale, attraverso il ricorso all’incentivo all’esodo ed agli ammortizzatori sociali.

LA CRISI

L’azienda ha avviato la procedura di licenziamento collettivo già da qualche settimana, una procedura che mette a rischio complessivamente 63 posti di lavoro.

Effetto, secondo l’azienda, tanto del contesto economico internazionale quanto dell’affermarsi di nuovi modelli di business.

Nel primo caso è stata la guerra tra Russia e Ucraina a dare un brutto colpo al settore del lusso (segmento all’interno del quale opera l’azienda calzaturiera): 20mila paia di scarpe solo per la perdita di quei due mercati.

Al momento le previsioni, molto aleatorie, prevedono una ripresa del comparto nella seconda metà del 2025.

Le vendite da tre anni seguono un andamento negativo: 50 per cento dei volumi di produzione da 400mila paia di scarpe a 190mila paia nel giro di pochi anni.

Il mutamento del modello di business mette poi in crisi le aziende complete come Him Co (in grado di gestire integralmente il business calzature): oggi è sempre più richiesta una specializzazione industriale, visto che i marchi sempre di più vogliono gestire direttamente la distribuzione e controllare il mercato.

CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ

Azienda e sindacati hanno trovato un punto di incontro nella necessità di azzerare le espulsioni di personale, ricorrendo al contratto di solidarietà (per effetto del quale tutti i dipendenti rinunciano a quote di stipendio per evitare i licenziamenti collettivi).

L’accordo proposto dall’azienda prevedeva una perdita oraria mensile pari al 24% a tutti i lavoratori (full-time e part-time) per almeno un anno. Ci sarebbe stato poco o nulla da contestare se non fosse per un dettaglio: il peso maggiore del sacrificio richiesto ai dipendenti dello stabilimento di Casarano, rispetto a quelli di Fassò.

Una solidarietà differenziata” che mal si concilia con lo spirito del contratto collettivo aziendale proposto.

«Inoltre abbiamo chiesto di conoscere prima il piano industriale, per capire dove porterà questa crisi, dichiarata come strutturale e non congiunturale, alla fine del percorso», spiegano  Franco Giancane (Filctem Cgil Lecce), Sergio Calò (Femca Cisl Lecce) e Fabiana Signore (Uiltec Uil Lecce), «abbiamo rilevato, inoltre, che appare quanto mai strano che si rinnovino ai primi di aprile i contratti a tempo determinato (mentre allo stesso tempo si chiudono i contratti con scadenza a dicembre) e poche settimane dopo si arriva addirittura a parlare di esuberi ed ammortizzatori sociali».

La riunione si è perciò conclusa con il mancato accordo e con la richiesta d’incontro al Ministero.

INCENTIVO ALL’ESODO

Him Co ha già avviato la procedura di licenziamento collettivo.

La proposta di accesso all’incentivo all’esodo, inteso come non opposizione al licenziamento, è ritenuta dai sindacati «non soddisfacente e non performante»: appena 4 mensilità a chi accetterà il licenziamento entro il 31 luglio; solo 3 stipendi in caso di firma del licenziamento al 30 settembre; due mensilità a quei dipendenti che dovessero accettare il licenziamento entro novembre; una sola mensilità ai lavoratori che dovessero restare in azienda fino al 31 gennaio.

A chi dovesse maturare i requisiti di accesso alla pensione entro marzo 2026, è stato proposto un incentivo di tre mesi se manifesteranno la volontà di essere licenziati entro marzo 2025.

Tutti accordi tombali, ossia che faranno cessare qualsivoglia diritto o pretesa nel rapporto tra azienda e lavoratori all’atto della firma. L’ipotesi di accordo è stata dunque rigettata dai sindacati.

Continua a Leggere

Attualità

Le offerte di lavoro della settimana

Il 14° Report settimanale di Arpal Puglia, Ambito Territoriale di Lecce. In provincia 569 posti di lavoro disponibili. Ecco come candidarsi

Pubblicato

il

 Segui il canale il Gallo  Live News su WhatsApp: clicca qui

Nel quattordicesimo Report settimanale delle offerte di lavoro, che precede la celebrazione della festa dei lavoratori del primo maggio, si contano 185 annunci, per un totale di 569 posti disponibili.

In cima il settore turistico con 271 posizioni aperte: in testa vi è la costa ionica (95 posti disponibili), seguita da quella adriatica (75), dal Capo di Leuca (69), dall’entroterra (27) e da Lecce e nord Salento (5).

Nel comparto edile, i posti a disposizione sono 111; tre in quello delle pulizie e multiservizi.

Si trovano 12 posizioni nel settore trasporti e riparazione veicoli; 35 nel commercio; 16 nel settore amministrativo e informatico e 4 in quello pedagogico.
Nella sanità privata e nei servizi alla persona, sono 25 le figure richieste.

Si prosegue con 20 offerte nel settore agricolo, agroalimentare e ambiente; 10 nelle telecomunicazioni; 10 nel settore bellezza e benessere; 32 nel tessile-abbigliamento-calzaturiero; 4 nell’industria del legno e 16 nel metalmeccanico.
Sono numerose anche le opportunità di lavoro diffuse dalla rete europea dei servizi per l’impiego Eures.
Le offerte, parimenti rivolte ad entrambi i sessi, sono pubblicate quotidianamente sul portale lavoroperte.regione.puglia.it e sono diffuse anche sulla pagina FacebookCentri Impiego Lecce e Provincia“, sul portale Sintesi Lecce e sui profili Google di ogni centro per l’impiego.
Le candidature possono essere trasmesse tramite Spid direttamente sul portale lavoroperte.regione.puglia.it.

In alternativa, possono essere accolte via mail o allo sportello presso gli uffici, aperti dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 11,30, il martedì anche nel pomeriggio dalle 15 alle 16,30 e il giovedì pomeriggio su appuntamento.

PER LEGGERE IL 14° REPORT ARPAL PER LA PROVINCIA DI LECCE NELLA SUA VERSIONE INTEGRALE CLICCA QUI

Continua a Leggere

Casarano

Calcio, Casarano: ora si fa dura!

Rossoazzurri sconfitti a Manfredonia e ora sesti in classifica e fuori dai play off. Si decide tutto all’ultima con le Serpi che dovranno battere il Bitonto in lotta per la salvezza e sperare in buone notizie da Altamura – Matera

Pubblicato

il

 Segui il canale il Gallo  Live News su WhatsApp: clicca qui

MANFREDONIA-CASARANO 2-1

Reti: st 85′ Gjonaj (C), 90′ Babaj (M), 90’+5′ Giacobbe (M)

“In cauda venenum” per il Casarano, sconfitto dal Manfredonia nei minuti di recupero, dopo aver giocato in dieci (Cerutti espulso al 9′ st per doppia ammonizione).

Era addirittura passato in vantaggio con Gjonaj a cinque minuti dal termine, per l’entusiasmo, di lì a poco svanito, del manipolo di tifosi rossoazzurri, giunti dal lontano Salento.

Per due domeniche consecutive gli uomini di mister Laterza escono dal terreno di gioco battuti da imperdonabili distrazioni nella coda dell’incontro, fatale riedizione della zona Cesarini.

Doveva essere il rush finale verso la migliore posizione per i play-off, con partite neanche tanto proibitive, e invece le Serpi si sono intorpidite nonostante i primi tepori.

Domenica è atteso al Capozza il Bitonto che spera nei play-out, mentre il Matera ha inserito la freccia del sorpasso e preso il quinto posto utile in griglia.

Potrà il Casarano riguadagnarlo vincendo nell’ultima giornata?

Stavolta non dipenderà solo dalla propria volontà, ma anche dal risultato di (udite, udite!) Altamura-Matera.

Quest’anno il girone H si è rivelato degno di un film di Hitchcock, ma il Casarano ci ha molto messo del suo come protagonista.

Giuseppe Lagna

*nella foto (Antenna Sud), l’illusoria rete del vantaggio di Gjonaj
Continua a Leggere
Pubblicità

Più Letti

Copyright © 2019 Gieffeplus