di Hervè Cavallera

Ha suscitato un interessante dibattito l’inchiesta svoltasi su questo giornale sul campanile non completato della Chiesa Matrice di Tricase.

E non si tratta effettivamente dell’unico caso. Non completati, ad esempio, in quanto manca la cuspide, sono i campanili della Chiesa Matrice di San Nicola a Corigliano d’Otranto e della Chiesa Matrice di Copertino, la famosa Basilica della Madonna della Neve.

Non è questa la sede per soffermarci su una indagine su tutte le chiese salentine non completate e sulle ragioni che hanno impedito il termine dei lavori. Va detto che la loro bellezza e il loro valore storico non è per questo inficiato e tuttavia il “non finito” assume oggi un significato che va al di là delle ragioni contingenti che ne impedirono la realizzazione.

In un gioco dell’immaginario, il “non finito” assume un ruolo significativo nel momento storico di secolarizzazione che stiamo attraversando, per cui una generale attenzione allo status dei nostri edifici religiosi, di là dalle logiche economiche e turistiche, potrebbe servire a verificare la sensibilità spirituale della popolazione, sempre più attenta all’immediato e alle comunicazioni tecnologiche, alla frenesia di un presente che per tanti aspetti rischia di cancellare le proprie identità nella asetticità del “politicamente corretto”.

E ciò si collega con altre storie di “campanili”.

Come è noto, tra il 14 e il 15 maggio si vota in tredici Comuni del Salento e in essi prevalgono le liste civiche, senza una chiara connotazione partitica. Naturalmente si comprendono bene le tattiche trasversali proprie delle amministrative, ma, sempre rispettando tutte le scelte, non si può che registrare come l’impegno partitico esplicito diluisce sempre di più.

Anche in questo caso le identità vengono meno all’interno di un processo che risale ormai a vari decenni orsono, con la cosiddetta crisi delle ideologie che dominarono gran parte del secolo XX.

Si ha in tal modo l’impressione, per non voler dire in questa sede la certezza, di non saper più pensare in grande, di non saper dare un reale impulso innovativo. Si capisce bene che non ci si trova di fronte ad un fenomeno puramente leccese, ma che investe invece l’intero Occidente, ma ognuno deve fare la propria parte e riconsiderare i propri impegni e i propri ideali.

Se questo non dovesse accadere, si rischierebbe di svanire in una globalizzazione indifferenziata, mentre dall’Oriente emergono pericolosi bagliori imperialistici.