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Il mondo che non va

Il declino del Sud: è ancora terra di turismo, destinata ad una ricchezza stagionale ed esposta al variare dei gusti

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di Hervé Cavallera


Chi non è tanto giovane ricorda molto bene, per averla vissuta, come nel secondo Novecento si è avuto nel Mezzogiorno d’Italia una spinta costruttiva che ha condotto ad una trasformazione radicale dei costumi anche attraverso quella che si può grosso modo definire la scolarizzazione di massa. L’Italia nel suo complesso è cresciuta e fa parte dei G7, ossia dei Sette maggiori Stati economicamente avanzati del pianeta (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti). Però la parte veramente trainante della Stato italiano è da sempre il Nord Italia.


È una vecchia faccenda testimoniata, ai tempi della appena conseguita unità nazionale (1861), dalla cosiddetta questione meridionale, cioè della presenza di un pesante arretramento economico, registrato peraltro dalle inchieste del secondo Ottocento e su cui esiste una vasta letteratura critica (basti qui ricordare gli studi ormai classici di Pasquale Villari e di Giustino Fortunato).


Il Sud evidenziava, infatti, un altissimo tasso di analfabetismo (90% in Calabria e Sicilia) e una grave carenza in campo imprenditoriale.


Di là dalle successive incentivazioni, la situazione è continuata nel tempo e nel secondo dopoguerra si istituì, con legge 10 agosto 1950 nº 646, la Cassa per il Mezzogiorno, un ente volto a fornire programmi, finanziamenti ed esecuzione di opere straordinarie dirette allo sviluppo economico e sociale dell’Italia meridionale.


E tuttavia il divario, in ambito di produzione e ricchezza economica, tra Nord e Sud, non è stato mai risolto.


Verosimilmente molto è anche dipeso da una politica più “continentale” che “mediterranea”, la quale non ha agevolato il ruolo espansivo in termini di politica commerciale del Meridione d’Italia, materialmente aperto sul mare e quindi volto, per scambi economici, agli Stati che si affacciano sul Mediterraneo.


Così, nonostante le lodevoli presenze industriali che pure ci sono nel Sud della Penisola, la percezione del Mezzogiorno è ancora quella della terra del turismo, quindi di una realtà destinata ad una ricchezza stagionale ed esposta al variare dei gusti, mentre il costo della vita rimane ancora alto e quindi non è competitivo rispetto ad altre aree turistiche del Mediterraneo.


Che non si tratti di una mera impressione è confermato dal Rapporto SVIMEZ 2023 (presentato il 5 dicembre 2023), in cui tra l’altro si registra che, mentre nel Mezzogiorno si è costruito il 18,9% contro l’11,9% del Centro-Nord, la crescita dell’industria si è fermata a 10 punti, contro i 24,5 del Centro-Nord. Nel Rapporto si legge inoltre, sempre limitandoci al campo economico, che dal 2007 al 2022 la quota di investimenti industriali realizzati nel Meridione è calata dal 18,3 al 13,8% sull’insieme nazionale.


Ciò spiega come l’occupazione nel terziario sia maggiore nel Sud che nel Nord e come, sempre per la Svimez (Associazione per lo SViluppo dell’Industria nel MEZzogiorno, costituita nel 1946) nel Mezzogiorno i lavoratori sottoutilizzati si attestano ancora intorno ai 3 milioni. Vi è poi la presenza di una minore partecipazione di donne al lavoro e alla vita professionale.


Un quadro che certamente non tranquillizza e ad esso è da aggiungere, ad ulteriore conferma, il Rapporto del CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali, istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964 e quindi diventato una Fondazione riconosciuta con DPR n. 712 dell’11 ottobre 1973) nel quale, in data 1 dicembre 2023, si dichiara che nel 2021 più di 158.000 italiani hanno lasciato l’Italia per l’estero, tra cui moltissimi i meridionali, e che è notevole nelle retribuzioni il divario di genere. Inoltre si calcola che nel 2050 l’Italia dovrebbe aver perso complessivamente 4,5 milioni di residenti e la flessione demografica dovrebbe constatare una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni. Vi dovrebbe essere invece un aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre, tra le quali più di 1,6 milioni con 85 anni e oltre.


Così, mentre è soddisfacente l’aumento della speranza di vita, non può che preoccupare il calo demografico.

Secondo alcuni studi, per quanto riguarda la Puglia il calo demografico maggiore si ha in provincia di Lecce e si prevede che nel 2031 morirà più del doppio dei nati.


Ora, senza voler essere apocalittici, è evidente che è opportuno cercare di porre rimedio sia allo svantaggio di natura economica sia al calo demografico. Il che significa resistere nella propria terra e investire in essa.


La fuga, pur umanamente e individualmente comprensibile, verso mete attrattive lontane, non giova al bene collettivo e impoverisce il territorio che diventa sempre più popolato da anziani.


Una comunità che non ha giovani e che economicamente non cresce è inevitabilmente destinata ad uno sfaldamento inesorabile.


Affinché questo non sia, occorrono certamente la buona volontà e il coraggio dei singoli, ma ci vuole soprattutto una pianificazione regionale (supportata da quella nazionale) che punti sulla valorizzazione delle tradizioni e dei mestieri, sull’incentivazione della natalità e dell’occupazione giovanile.


Come da tempo immemorabile sappiamo o dovremmo sapere, l’innovazione deve partire da chi presiede la res publica.


Bisogna che la classe politica non sia limitata nella mera gestione dell’esistente (non sapremmo che farcene se fosse solo questo), ma sia permeata da quella che alla fine degli anni ’60 si diceva immaginazione al potere, una immaginazione questa volta capace di prospettare soluzioni propulsive senza trascurare i risultati migliori di una storia più che millenaria.


Una delle carenze del Sud è stata non la creatività individuale, che i meridionali hanno invece sempre avuto, ma la coesione civica.


Essa, ora come non mai, diventa la premessa necessaria per una rinascita collettiva che sia insieme spirituale e materiale, laddove invece sembra aumentare la solitudine esistenziale pur nella diffusa comunicazione digitale.


Ed è problema di riprendere.


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Certezze ed incertezze del presente

Lo spettro della guerra, malavita, femminicidi, violenza dilagante nel mondo adolescenziale e giovanile. E il Salento? Terra di anziani residenti o fugaci vacanzieri…

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di Hervé Cavallera

di Hervé Cavallera

La Pasqua da poco trascorsa dovrebbe aver ricordato ai Cristiani che essa, per il tramite della passione, morte e resurrezione di Gesù, è l’invito al passaggio ad una vita migliore.

Le feste del Cristianesimo, infatti, possono essere considerate come una sollecitazione per un futuro che sia, per i singoli e per la collettività, più buono e sereno rispetto al passato.

Ma l’immagine del presente non è così.

In campo internazionale permangono almeno due conflitti e i rischi che i campi di battaglia si allarghino non sono da sottovalutare.

E non è un problema dappoco.

Poi, per quanto riguarda l’Italia (ma il fenomeno non è solo italiano) si può constatare un aumento della violenza.

E non ci si riferisce solo ai casi più eclatanti, ossia ai delitti legati al mondo della malavita e alla crisi delle relazioni sentimentali (basti ricordare i femminicidi).

Ci si riferisce particolarmente alla violenza diffusa nel mondo adolescenziale e giovanile con i tumulti nelle università volti ad impedire la libertà di parola a conferenzieri non graditi, alle dimostrazioni pacifiste che generano saccheggi e vandalismi di vario genere, alle conflittualità che serpeggiano in certe scuole in una contrapposizione tra docenti ed allievi, con la partecipazione talvolta dei genitori.

Si ha l’impressione di trovarci in un mondo in cui non si riesce più a controllare gli impulsi.

Così accade che le frustrazioni, che sicuramente la maggior parte di noi ha pure conosciuto nel corso della propria esistenza, non vengano superate rafforzando il carattere e abituando a saper affrontare le difficoltà, ma producano comportamenti aggressivi che si propagano con facilità.

Ciò significa che gli adulti, i genitori in particolar modo, devono ben essere attenti oggi più che mai alle dinamiche dell’età evolutiva dei giovani.

Per fortuna sembrerebbe un fenomeno che non riguarda in modo preoccupante il nostro Salento.

Non che manchino i fatti di cronaca nera, ma fenomeni di scontri di piazza da parte di minorenni sono assai pochi.

E qui allora emerge un’altra considerazione: quello dello spopolamento.

Le nascite sono da tempo in netto calo nella Penisola.

Secondo i dati dell’ISTAT in Italia nascono 6 bambini ogni mille abitanti.

Nel Salento al calo demografico si aggiunge poi il fatto che molti giovani compiono gli studi universitari in altre regioni d’Italia e non tornano più nel paese nativo.

Certo, vi sono anche coloro che tornano e con coraggio, come si è scritto su questo giornale, ma sono pochi.

Il Salento diventa la terra di anziani residenti o di fugaci vacanzieri.

E allora l’invito alla gioia che proviene dal suono delle campane pasquali si spegne in una triste rassegna.

Conflitti sempre più minacciosi tanto da spingere qualcuno a sostenere il ritorno alla leva obbligatoria, sviluppo della criminalità organizzata, violenze e tragedie domestiche, violenza giovanile, fragilità nell’affrontare le difficoltà connesse al quotidiano, spopolamento, stagnazione produttiva…

Occorre precisare che non si nega che esistano casi positivi, anzi di eccellenza nella imprenditoria, nei giovani, nella vita coniugale e così via, ma l’ombra del negativo è sempre più visibile e preoccupante.

LA COMUNICAZIONE DELL’EFFIMERO

Vi è poi la sensazione di una crescita dell’individua- lismo accentuato dai social, dalla facilità di esprimere pareri su tutto e su tutti.

Al tempo stesso la comunicazione digitale isola fisicamente l’utente pur avendo egli un contatto online con centinaia se non migliaia di persone.

È la comunicazione dell’effimero, mentre si continua a rimanere soli.

Come diceva l’antico filosofo, l’uomo è un animale sociale; ha bisogno di vivere concretamente, fisicamente col prossimo, non di limitarsi a parole diffuse con mezzi artificiali.

Ed è questo l’aspetto che è il lascito ideale delle recenti celebrazioni pasquali: quello di tornare ad essere una comunità.

Una comunità di persone che si incontrano e dialogano ed elaborano progetti che permettano una crescita economica e spirituale.

Tutto questo richiede buona volontà e competenza, richiede il mettere da parte l’attrazione per il proprio tornaconto, per il proprio particulare come diceva Guicciardini.

È un compito che devono tornare ad assumere quelle istituzioni ad esso preposte quali la famiglia e la scuola.

In un momento storico in cui i legami familiari diventano sempre più fluidi, bisogna che la scuola diventi davvero un centro di formazione di responsabilità oltre che di conoscenze e competenze.

Un futuro migliore è affidato da sempre ad una buona educazione e di ciò dobbiamo tornare a prendere consapevolezza.

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Il fallimento della democrazia

Astensionismo: nelle regionali del 2023 raggiunse il 60% in Lombardia e Lazio; nel 2014 in Emilia-Romagna votò solo il 37,7%. Nel 2020 l’affluenza alle regionali pugliesi è stata del 56,43%…

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di Hervé Cavallera

Il prof. Hervé Cavallera

Il 25 febbraio si è votato per la Regione in Sardegna.

I candidati alla Presidenza della Regione erano 4 e le liste presenti 25.

Ora, quello che particolarmente colpisce, a prescindere da vinti e vincitori e dalle stesse modalità di votazione (voto disgiunto, ad esempio), è l’affluenza degli elettori.

Poco al di sopra del 52%, quindi ancor meno dell’affluenza avuta nelle precedenti elezioni regionali.

Né si tratta di un fenomeno meramente sardo.

L’affluenza elettorale è effettivamente bassa e, come si suole dire, l’astensionismo è in assoluto il maggior partito in Italia (ma la situazione non è dissimile anche in altri Paesi europei).

Nelle regionali del 2023 l’astensionismo raggiunse il 60% in Lombardia e nel Lazio e nel 2014 in Emilia-Romagna per l’elezione del presidente della Regione votò solo il 37,7% degli elettori.

Nel 2020 l’affluenza alle regionali in Puglia è stata del 56,43%. Ciò non può lasciare indifferenti in quanto, se democrazia significa partecipazione, il “successo” dell’astensionismo significa fallimento della democrazia.

Esiste ormai nella realtà uno scollamento tra cittadini e politica.

È un dato inequivocabile che non può essere risolto con la diffusione del cosiddetto “civismo” ossia con la nascita di movimenti localistici.

Invero nel 1946 l’Assemblea Costituente introdusse il principio della obbligatorietà del voto che però all’art. 48 della Costituzione italiana risulta solo un dovere civico.

Nel 1957, col D. P. R. n.361, si rendeva obbligatorio il voto nelle elezioni politiche, dichiarando che occorreva fare un elenco degli astenuti.

Il tutto poi venne meno nel 1993 (D. L. 20 dicembre 1993, n . 534).

Il che è anche corretto poiché il concetto di liberta implica anche l’astensione. E tuttavia quando l’astensione raggiunge livelli elevatissimi sì da quasi superare il numero dei votanti, è chiaro che è in atto una crisi della sensibilità politica dei cittadini.

Si tratta di un processo che in Italia si può far risalire alla cosiddetta fine della prima Repubblica (1994) ossia con la fine dei partiti che esistevano nella Penisola dal 1946.

In realtà, il fenomeno rientra nel collo delle grandi ideologie e, di conseguenza, in una semplificazione della vita politica tra due schieramenti, etichettati come moderati o conservatori da una parte e progressisti dall’altra.

Non per nulla negli Stati Uniti d’America dove esistono praticamente solo due partiti, il repubblicano e il democratico, l’astensionismo tocca spesso punte del 70% a cui peraltro ci si è abituati.

Di qui un altro aspetto che va considerato: il ruolo decisivo del candidato alla presidenza.

Sostanzialmente si vota la persona più che le idee.

D’altronde tutti possiamo constatare che nei nostri Comuni sono pressoché inesistenti le tradizionali sezioni dei partiti, ove una volta i tesserati potevano discutere vari temi politici.

Di qui un ulteriore paradosso. Si ritiene che in una società democratica chi “comanda” o, per essere più corretti, chi ha la gestione della cosa pubblica sia la maggioranza.

Nei fatti, invece, proprio grazie all’astensionismo, la gestione del potere è comunque affidata ad una minoranza, mentre la maggioranza dei cittadini assiste con apatia, rassegnazione o altro, a quello che la minoranza decide.

Negli anni ’80 del secolo scorso il sottoscritto scrisse un libro sull’importanza dell’educazione politica, intesa non come educazione partitica, ma come educazione alla partecipazione responsabile alla vita pubblica.

Al presente, di fronte a fenomeni come l’astensionismo, la cancel culture, l’improvvisazione demagogica che talvolta si fa sentire per il tramite dei social, una riflessione articolata, ponderata e di largo respiro sulla necessità di una rifondazione della vita civile, in modo che non sia soggetta alle pulsioni del momento, sarebbe opportuna.

Naturalmente tutto riesce difficile ed è inutile evocare il ricordo della vecchia Educazione civica, anche se dal settembre del 2020 l’Educazione civica è considerata una disciplina trasversale che riguarda tutti i gradi scolastici.

In una società ove predomina il relativismo individualistico, mancano i grandi valori che danno davvero lo slancio vitale all’impegno civile che investa la collettività e tutto si risolve nel gioco degli interessi di piccoli gruppi o dei singoli.

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Galatina, il Liceo Vallone si mobilita “fa rumore” per le Donne

Sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

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In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della donna, il Liceo A. Vallone, di Galatina, sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Previsto in mattinata, alle ore 11.45, un corteo che partirà dalla sede centrale del Liceo, in viale don Tonino Bello, e si muoverà verso Piazza San Pietro dove si terrà un flash mob di riflessione chiuso con la lettura di Knocking on Heaven’s door, profondo monologo in voce maschile tratto da Ferite a morte, di Serena Dandini. 

“L’ignominia continua da Giulia…1,2,3…12 vittime” è il messaggio che gli studenti e le studentesse del Liceo porteranno in corteo, ribadendo che “Nessun delitto ha una giustificazione”!

Tutti gli studenti e le studentesse del Liceo, accompagnati dal personale scolastico, attraverseranno le strade principali della città (viale don Tonino Bello – via Ugo Lisi – C.so porta Luce – Piazza San Pietro) con l’obiettivo di fare un silenzioso rumore sull’inefficacia di questa ricorrenza, dipanando un drappo rosso lungo 30 metri, simbolo del dolore e delle violenze che le donne ancora subiscono, visto il perdurante divario di genere.

“Non si ha nulla da celebrare se non vi è uguaglianza. Non si celebra la Donna se non La si rispetta” Queste le parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Angela Venneri, che ha fortemente promosso e sostenuto l’iniziativa, in un’ottica di sensibilizzazione e condivisione d’intenti.

Non un’occasione per festeggiare, dunque, ma solo per riflettere e tenere alta l’attenzione, con l’auspicio che l’educazione culturale possa riaffermare un ineludibile principio di civiltà.

Da qui l’augurio conclusivo dei nostri studenti e studentesse a tutte le donne con i dolcissimi versi della poesia di Alda Merini, Sorridi donna.

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