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Tricase, i furti e la società moderna: dal controllo al “dyscontrol”

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Salvatore Buffo, nostro lettore.





Sono allibito, sbigottito, sdegnato. Si legge sul il Gallo di domenica “Tricase depredata: sono 7 i furti nella notte … Il paese è stato depredato come fosse una città abbandonata … Un tour de force del furto .. portato a termine senza che nessuno vedesse o sentisse nulla”. Mi sono venute alla mente le immagini dei film postcatastrofe, dove le metropoli ormai cadenti e nel degrado generale sono nelle mani di bande armate ed i sopravvissuti si arrangiano per sopravvivere. Leggo poi sul Il Gallo di lunedì “Furti a Tricase: commercianti chiedono ronde di volontari …. L’associazione dei commercianti chiederà al sindaco l’istituzione di un tavolo tecnico e a Prefetto e Questore la possibilità di ronde pacifiche …”. Mi sono chiesto subito: chissà perché sindaco con la s minuscola e Questore e Prefetto con le iniziali maiuscole? A parte questa spigolatura, forse di poca importanza o forse significativa della considerazione che si ha per le diverse funzioni o forse indicativa delle aspettative, va detto che Prefetto e Questore sono autorità di pubblica sicurezza a livello provinciale ed il Sindaco, in qualità di ufficiale del Governo e in mancanza del Commissariato di Pubblica Sicurezza, è autorità locale di pubblica sicurezza e, quando opera come tale, dipende funzionalmente dal Prefetto e dal Questore.





Le competenze del’autorità locale di pubblica sicurezza sono definite nel T.U.L.P.S.: non sono previsti compiti di contrasto o di prevenzione della criminalità, ma quello di vegliare al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità ed alla tutela della proprietà.





Di fatto, da molto tempo si ripetono furti con scasso a carico di commercianti e abitazioni. Forse la mano non è la stessa: i primi sembrano l’obiettivo di delinquentelli dilettanti, radicati nel territorio, i quali non si rendono nemmeno conto che il gioco non vale la candela e cosa rischiano; le abitazioni sembrano invece essere l’obiettivo di banda/e più organizzate e professionali con basisti locali. E tutto questo accade sempre con maggiore frequenza, addirittura sette episodi delittuosi in una notte, quasi con arroganza e presunzione, una sfida al contesto sociale, una presa in giro delle forze di polizia. Stanno alzando il tiro, si stanno dopando. E andranno sempre oltre, fino alle estreme conseguenze, per loro o per le loro vittime.





Dalla parte delle vittime, reali e potenziali, e dei gruppi di appartenenza, il bisogno di sicurezza si rende più evidente. Il concetto di sicurezza sociale nasce come esigenza dell’uomo di vivere senza preoccupazioni, “sine cura”, affonda le sue radici alle origini di ogni forma di convivenza sociale e si articola e si concretizza in concetti e provvedimenti di previdenza sociale, welfare e sicurezza pubblica.  





Lo sviluppo umano può essere letto attraverso un modello motivazionale basato su una gerarchia dei bisogni (Maslow, 1954), cioè una serie di “bisogni” disposti gerarchicamente in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è la condizione per fare emergere i bisogni di ordine superiore.





Essi sono disposti come una piramide. Alla base della piramide ci sono i bisogni essenziali alla sopravvivenza, i bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, protezione dal freddo o dal caldo, ecc. Sono i bisogni connessi alla sopravvivenza fisica dell’individuo. Sono i primi a dover essere soddisfatti per istinto di autoconservazione.





Salendo verso il vertice della piramide si incontrano i bisogni più immateriali. Fra questi, subito il bisogno di sicurezza: protezione, tranquillità, prevedibilità, soppressione preoccupazioni e ansie, ecc. 





Seguono, fino alla cima della piramide, i bisogni di appartenenza, di stima e di autorealizzazione.





Il non soddisfacimento di un bisogno elementare farà perdere di importanza un bisogno superiore: chi non riesce a soddisfare il bisogno di alimentarsi, chi ha fame o vede la sua sopravvivenza in pericolo non sarà attratto da bisogni più immateriali. Il non soddisfacimento del bisogno di sicurezza farà regredire l’essere umano, spingendolo a perdere le motivazioni per il soddisfacimento di bisogni superiori, i bisogni di appartenenza, di stima e di autorealizzazione. 





Questo processo assume oggi maggiore rilevanza e velocità di reazione per gli effetti concomitanti legati alla pandemia in corso, il lockdown, il timore per la salute propria e dei propri affetti, la solitudine, la carenza di rapporti sociali, la paura ad uscire di casa, la crisi economica, la paura di non farcela, la sfiducia verso chi ci governa e verso la politica degli annunci, degli accordi salvo intese, delle conferenze stampa, delle spese folli, dei fallimenti nella gestione della sanità, ecc. ecc.. Una condizione di ansia, di angoscia pervade l’individuo. 





Ipotizziamo che queste due figure un giorno si incontrino: il maramaldo, sempre più borioso e dopato, magari anche più attrezzato in termini di strumenti di offesa, che in regime di coprifuoco si fa gioco dei controlli, e la vittima, sempre più esasperata e “bisognosa” di sopravvivere. A questo ritmo, prima o poi succederà. L’incontro sarebbe, per l’individuo in condizioni di ansia e angoscia profonda, un fattore scatenante. Si sentirebbe intrappolato: un pericolo imminente, una via di fuga limitata o che si sta per chiudere.





Se con il termine rischio si indica una “quantificazione del pericolo in termini di conseguenze attese” e con pericolo la “proprietà o qualità intrinseca di una determinata entità avente il potenziale di causare danni”, è l’interazione di questi due elementi con l’individuo a determinare il verificarsi di eventi le cui conseguenze possono essere più o meno gravi.





Faccio riferimento ad eventi oggettivamente pericolosi la cui imminenza e gravità, per quanto possano essere percepite da ogni individuo in maniera diversa, consentono di annoverarli tra gli stressor estremi.





La prima reazione ad uno stressor è un adattamento aspecifico dell’intero organismo che, superata una fase iniziale di shock, si pone nella condizione di fronteggiare il pericolo con un comportamento di attacco o fuga. Non è necessario che la credenza sia esatta, ma è sufficiente che questa sia la percezione per scatenare reazioni volte a garantire la propria sopravvivenza, anche a scapito degli altri, con i noti fenomeni della reazione non proporzionata. Così la chiama chi giudica da un salotto o dal proprio scanno senza responsabilità.





Il giudizio farebbe ricadere la responsabilità delle conseguenze sul cittadino terrorizzato o sul fuorilegge dissennato e senza autocontrollo, piuttosto che su aspetti preventivi e di gestione dell’emergenza criminale.





Ed allora, come possiamo prevenire e gestire? Controllo sociale e sicurezza.





Nel mondo anglosassone il termine “control” rimanda all’idea di dominio, potenza, autorità. Nelle lingue europee continentali invece, il termine controllo significa sorveglianza, ispezione, accertamento, cioè indica unicamente l’attività del controllare.





Nel lessico della sociologia il termine “controllo” è riferito a quell’insieme di processi e di istituzioni sociali (soprattutto religione, scuola, famiglia) con i quali il sistema sociale e i gruppi che ne fanno parte influenzano o costringono la condotta dei soggetti individuali o collettivi verso la conformità alle norme o alle regole dominanti della collettività.





Ogni comunità o aggregazione di individui, da quella primitiva a quella post-moderna, si è sempre dotata di meccanismi di controllo sociale finalizzati ad uniformare il comportamento dei singoli membri del gruppo al potere dominante.





Nelle società arcaiche il controllo sociale informale era centrato sul ruolo del capofamiglia o del capotribù. I ricordi da ragazzino mi dicono che il mio paese era un “villaggio”, dove il controllo sociale era svolto dalla comunità, che si incaricava di sorvegliare i comportamento di noi ragazzini e di riferire ai nostri genitori: “ho visto tuo figlio …”. E funzionava. E mia madre ringraziava. Il maestro rimproverava e bacchettava. Il premio andava guadagnato. Pensate invece oggi, nella nostra modernità, ai genitori che minacciano la maestra o alla imprudente signora che si affaccia all’uscio della vicina per segnalare di averne visto il figlio compiere qualcosa di riprovevole. E ci sono ancora oggi esempi di controllo sociale proprio del villaggio. Penso alle comunità di extracomunitari, indiani, pakistani, musulmani, .. che vivono in Italia e che riconoscono all’anziano della comunità un ruolo superiore di guida, disapprovazione e condanna. Ricordo che nel 2010 l’occupazione abusiva di un cantiere, in cima ad una grù, da parte di alcuni extracomunitari, in rappresentanza di una folla di pari che rivendicavano il permesso di soggiorno, fu risolta dall’intervento dell’anziano della comunità che intercesse per il proprio conterraneo e per telefono esortò/convinse/ordinò di scendere. 





In questo processo, le regole sociali, quelle religiose, morali e di costume, sono caratterizzate dal fatto che la loro osservanza non si fonda su una costrizione esterna, ma su una spontanea ed interiore adesione ai valori che esprimono. 




Questo ruolo di controllo sociale informale nella modernità si sposta sull’istituzione Stato, nata come punto di mediazione tra interessi diversi. Ma non dobbiamo pensare che le altre agenzie, la religione, la scuola, la famiglia, le associazioni, .. abbiano esaurito il loro ruolo o possano pensare di poter delegare. La famiglia, in particolare, deve svolgere il suo ruolo prioritario, essenziale e non sostituibile.





Ma siamo giunti fino alla postmodernità dove il controllo sociale si sviluppa in larga parte attraverso l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Peccato che sia solo un “dyscontrol”.





Nelle società del controllo postmoderno, l’essenziale è cifra nel senso di password o codice d’accesso. Il linguaggio digitale del controllo è fatto di cifre che segnano l’accesso all’informazione o il rifiuto. Non ci si trova più di fronte alla coppia massa/individuo. Gli individui sono diventati dei “dividui” e le masse dei campioni statistici, dei dati, a disposizione dei mercati, delle banche o dei gruppi politici. Nella società postmoderna, una società mediata, che continuamente oscilla tra virtuale e reale, chi ha la capacità di immettere nell’immaginario collettivo nuovi valori e punti di riferimento, di suggestionare ed affascinare, di sedurre e conquistare ed ha gli strumenti tecnici e materiali per farlo (cellulare, TV, internet), ha in mano uno degli strumenti cruciali per esercitare il nuovo controllo sociale. 





Navigando in rete ognuno fornisce continuamente e quotidianamente al sistema di sorveglianza il doppione di se (c.d. doppione elettronico). I principali oggetti al centro dell’attenzione dei sistemi di sorveglianza non sono le persone in carne e ossa, bensì i loro “doppi” elettronici, cioè i dati che li riguardano.





La nuova sorveglianza si propone di selezionare le persone per operarne una classificazione al fine di scegliere un trattamento differenziale per le diverse categorie di consumatori e cittadini. Il marketing valuta i “profili” di ognuno secondo i comportamenti di consumo. Ciò che più dobbiamo temere non è la fine della privacy e dell’anonimato, bensì un inquadramento in categorie in grado di determinare a priori il nostro futuro.





Le nuove forme di controllo e sorveglianza assumono le caratteristiche tipiche del consumo e dello svago. Esporsi alla sorveglianza è oggi divenuto un gesto spontaneo, se non addirittura gratificante (C’è posta per te, Grande fratello, Tik Tok, Instagram, ecc.). Se il sorvegliato del Panopticon, il famoso modello di carcere con le celle su una circonferenza ed il sorvegliante al centro, era ossessionato dall’incubo di non essere mai solo, il nostro incubo è diventato quello di non essere notati da nessuno; quello che vogliamo è non sentirci mai soli. La costruzione di questa macchina infernale procede con la collaborazione spontanea, se non gioiosa, delle sue vittime.





Il controllo sociale formale, invece, viene affidato ad istituzioni “imparziali” che sorvegliano la condotta dell’individuo, pronti a sanzionarla qualora dovesse trasgredire o deviare. A questo fine la società si è dotata di istituti correttivi, norme penali e sanzioni per dissuadere e punire i devianti, ma anche per far interiorizzare delle norme e dei modelli di comportamento.





Le misure adottate sono relative alla prevenzione ed alla protezione, di tipo attivo, passivo, strutturale, impiantistico, amministrativo o disciplinare. E queste misure vanno gestite e mantenute in vita, con studi, aggiornamenti, formazione, informazione, manutenzione, verifiche, esercitazioni, piani di sicurezza e adeguamenti.





Una implementazione del controllo sociale informale richiede anzitutto un riconoscimento della necessità, poi progetti, risorse e tempi non brevi. Invece, sul controllo formale qualcosa si può e si deve fare subito.





Chi lo può fare sono le forze di polizia e la magistratura. Non conosco lo stato delle indagini o se ci sono procedimenti giudiziari avviati e potrei fare delle affermazioni non corrette.





Qualcuno pare sia stato colto in flagrante, fermato e subito a piede libero. Forse il magistrato avrà giudicato che non era socialmente pericoloso o capace di reiterare il reato. Ma la sorveglianza può essere certamente più mirata e più intensificata. Non si può certo accusare chi circola la notte e perseguitare i nottambuli, ma, se si hanno sospetti, li si può tenere sotto pressione (una volta un noto maresciallo lo faceva), li si può sommergere di sanzioni pecuniarie per violazione del coprifuoco e scoraggiare ad uscire da casa. 





Dobbiamo invece constatare che non c’è visibilità della vigilanza. Non è visibile una presenza sul territorio che tenga i contatti con chi sa e che possa raccogliere i rumors. Non si vede una pattuglia circolare. Non si vede una divisa. Non si vedono i fari lampeggiare. I cittadini hanno bisogno di sentirsi rassicurati vedendo fari, divise e pattuglie. I malintenzionati devono preoccuparsi vedendo fari, divise e pattuglie.





Un comandante di forze di polizia direbbe “siamo pochi, facciamo già il massimo possibile”. O direbbe, come riporta l’appello dell’associazione dei commercianti, “abbiamo le mani legate da norme e da un sistema giudiziario troppo farraginoso e garantista nei confronti dei delinquenti (e solo dei delinquenti perché se capita dentro un cittadino per bene invece viene stritolato e rovinato a vita)”. E sono d’accordo. Ma Tricase è sede di compagnia dei CC e il Commissariato di PS di Taurisano ha competenza anche su Tricase, che è oggi l’obiettivo consolidato delle azioni malavitose. Le stazioni dipendenti dei CC potrebbero contribuire alle attività di sorveglianza su Tricase. L’autorità provinciale di pubblica sicurezza potrebbe integrare l’attività locale con pattugliamenti di forze di polizia diverse, in particolare polizia di stato e finanza. I pattugliamenti potrebbero essere fatti in divisa ed in borghese, con auto di servizio ed auto anonime. Gli istituti di vigilanza, che svolgono la propria attività sotto la vigilanza del questore, potrebbero essere sensibilizzate a che nei loro giri di ronda attenzionino il problema e segnalino alle forze di polizia situazioni ed eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana.





Alla stessa polizia locale può essere attribuita ad personam la qualifica di agente di pubblica sicurezza, con compiti ausiliari alle forze di polizia, mediante decreto del prefetto, su richiesta del sindaco. Preferirei vedere la polizia locale pattugliare di notte il territorio con i fari accesi, piuttosto che distribuire di giorno con zelo e diligenza tante multe. Ora siamo in emergenza. Per le multe c’è tempo e non ci sono soldi.





Purtroppo, è facile dirlo. Difficile passare dalle parole ai fatti. Lo abbiamo visto nell’insufficiente controllo anti Covid degli assembramenti e del corretto uso delle mascherine.





I sistemi di video sorveglianza li hanno inventati da tempo e adottati diffusamente in tante città. Spero che nel programma dell’amministrazione cittadina ci sia spazio per tale predisposizione.





L’appello dell’associazione commercianti è un grido di protesta, di sconforto e di aiuto ed è bene che si sia fatto sentire, è bene che non si rimanga passivi ad aspettare la provvidenza. Ben venga un “tavolo tecnico che chiarisca cosa è stato fatto e con quale esito, cosa si sta facendo e cosa si ha intenzione di fare per risolvere definitivamente il problema» e che possa sollevare l’interesse e appellarsi alla responsabilità di questore e prefetto.  Si potrebbe dire che un tavolo tecnico, un verbale e un po’ di visibilità non si negano a nessuno, ma sottolineo che il tavolo tecnico ha anche un altro scopo, ha la grande funzione di permettere la “comunicazione” che finora è mancata. Non è sufficiente che qualcosa si faccia, occorre assicurare gli spettatori che qualcosa si sta facendo, che le istituzioni stanno svolgendo il proprio ruolo, che si sta lavorando ad una soluzione, che la via di uscita non si sta chiudendo, che non è necessario sostituirsi alle istituzioni e cercare scorciatoie.





E a proposito di scorciatoie e della proposta di “ronde pacifiche” promosse e gestite dall’associazione dei commercianti, “lo Stato è assente, ci pensiamo noi” non mi trova d’accordo. Nessuno deve sostituirsi alle istituzioni, ma possono essere le stesse istituzioni a valutare la necessità ed i modi del contributo di quelli che leggi e regolamenti chiamano “osservatori volontari”.





Ci sono altri due attori in questa triste rappresentazione: i media e la magistratura. 





I primi si devono chiedere quale è il loro ruolo. Si devono chiedere se vale sempre la regola “bad news, good news” o se si può fare qualcosa di più in termini di educazione, di richiamo delle agenzie sociali, di stimolo delle funzioni istituzionali interessate. Non mi pare finora di aver letto un’intervista agli organi di polizia, alla procura della repubblica, alle autorità di pubblica sicurezza.





E la magistratura? Un terreno minato. Anche se non si andrà in televisione per una custodia cautelare agli individui di una banda socialmente pericolosa, “facis de necessitate virtutem” fai di necessità virtù. La microcriminalità diffusa, in particolare in questo periodo di grande difficoltà economica, crea allarme sociale più di una rapina alle Poste.


Attualità

«Tiggiano non è il paradiso terrestre»

Riceviamo e pubblichiamo: «Che questa narrazione da racconto fantastico cessi di confondere e distrarre: Tiggiano potrà diventare il paese che oggi viene raccontato solo quando farà i conti con sé stesso»

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Risalgono agli anni della scuola primaria i ricordi di lezioni durante le quali ci veniva spiegata la differenza tra un racconto fantastico e un testo informativo; ricordo anche lo sforzo che mi costava, da bambina, scrivere di un’esperienza, di una persona, di un fenomeno, evitando di ricorrere al mio immaginario, sempre ben fornito.

E ricordo che per rendermi chiara la struttura e le caratteristiche di un testo informativo, l’insegnante ricorreva all’esempio di un articolo di giornale: restare nel reale, non perdere di vista il vero, non alterare tratti, funzioni e accadimenti, fornire una descrizione autentica del contesto in questione.

L’esempio dell’articolo di giornale ha continuato, lungo gli anni a venire, a essere il campanello d’allarme quando, lavorando a un testo informativo, rischiavo di cedere alla tentazione di metterci qualcosa frutto della mia fantasia e della mia visione delle cose.

In questo modo ho imparato a scrivere e in questo modo ho imparato a leggere. Credo sia giustificato, quindi, il mio sconcerto davanti ad articoli di giornale che descrivono Tiggiano come se fosse il paradiso terrestre, un Eden in mezzo a realtà degradate e arretrate: Tiggiano è un paese come tutti gli altri, come tutti i paesi meridionali, del Salento, come tutti i contesti piccoli e composti da una popolazione conforme alle possibilità del territorio.

Leggo con turbamento articoli che raccontano Tiggiano con gli occhi delle persone ricche e famose come Helen Mirren.

Non credo di svelare chissà quale segreto escatologico e non mi stancherò mai di ribadire questo dato di fatto: con tutto il rispetto per Mirren, la persona ricca sta bene ovunque, non è il posto a fare la differenza; sono le possibilità; utilizzare la testimonianza di una persona celebre per raccattare voti durante la campagna elettorale, come è accaduto lo scorso anno, oltre che consistere in una caduta di stile, rappresenta anche il fulcro di una narrazione borghese che pone al centro l’amministrazione comunale, dimenticando che una comunità è composta da persone che scelgono di essere accoglienti, e lo sono da sempre.

A rendere davvero vivibile un paese, sono le possibilità che esso offre e Tiggiano, come diverse altre realtà salentine, in questo scarseggia: Tiggiano è vuota e immobile.

A muoversi, e con uno stile abbastanza sinuoso, sono le chiacchiere di chi da questo racconto alterato ci guadagna: è la fantasia di chissà che vede o vuole vedere, di chi negli anni ha scelto di negare l’evidenza che sta nelle difficoltà che tante persone incontrano nel vivere a Tiggiano.

Costruire una maschera sul reale volto di un paese, significa celare quelle che sono le sue mancanze e impedire che vengano colmate: significa non fare il bene di un posto né di chi lo vive, o lo vivrebbe se fosse possibile.

Le persone che risultano trasferite a Tiggiano, e di cui non è ancora stato accertato il numero poiché, nel periodo in cui questo articolo è stato scritto, è aumentato da un post su Facebook a un articolo di giornale, non compensano sicuramente il numero di tutte quelle che sono andate via non facendo più ritorno (ma continuando a risultare residenti a Tiggiano per diversi motivi: chi si è trasferito, chi ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione, li conosce).

Dove sono le occasioni di aggregazione, di incontro, di pratica politica, a Tiggiano?

Dove sono le esperienze culturali, di scambio, di crescita?

Dove finisce l’attenzione nei confronti dei giovani così accesa durante la campagna elettorale?

Dove si nascondono tutti quei pregi e tutte quelle eccezionali caratteristiche attribuite a Tiggiano e che lo distinguono così tanto dagli altri luoghi vicini?

Sono classe ‘86 e, come tanti della mia generazione, sono andata via da questo paese intrappolato nel vecchio, affezionato a quel fare politica in maniera banale e senza alcun senso critico.

Palchi dai quali vengono pronunciate promesse nei confronti dei giovani, salvo poi scoraggiare ogni loro tentativo di fare esperienza, di contribuire alla crescita e al benessere della comunità.

Tiggiano non è l’Eden: qui succedono le stesse cose che accadono negli altri paesi; il resto è solo frutto di un’attitudine ben allenata al racconto fantastico.

Sono assente da Tiggiano da anni, non ho intenzione di tornarci né ci ho provato: queste mie parole non sono la conseguenza di mancate promesse o questioni simili.

Desidero solo che sia detta un po’ di verità, oltre a tutta la fantasiosa ricostruzione da social e da slogan di partito.

Desidero solo che Tiggiano non ceda a questa sceneggiata e sappia ritrovare vivacità e lucidità, impegnandosi realmente per il proprio sviluppo.

Che questa narrazione da racconto fantastico cessi di confondere e distrarre perché, se non esiste il problema, non occorre nemmeno adoperarsi per risolverlo.

Basta descrivere una situazione di irreale benessere, priva di quella creatività e di quell’impegno necessari per creare occasioni e opportunità, per favorirlo davvero quel benessere.

Fino ad allora, auspico che si faccia informazione in maniera autentica: il giornalismo è rispettabile solo se è onesto.

Tiggiano potrà diventare il paese che oggi viene raccontato solo quando farà i conti con sé stesso.

Questo è l’augurio da parte di una tiggianese che non ha imparato granché, oltre alla differenza tra realtà e finzione.

Deborah Biasco

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Donne, lavoro e inclusione: premio di merito al Salento

No gender gap: il progetto della consigliera di parità della Provincia di Lecce Antonella Pappadà premiato tra le best practice regionali

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Il progetto Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione”, ideato e promosso dalla consigliera di Parità della Provincia di Lecce Antonella Pappadà, ha conquistato il Premio di merito, nella categoria Comunicazione, alla Call for best practice #nogendergapedizione 2025 della Regione Puglia.

Il progetto è tra i 10 vincitori, su 41 candidati all’iniziativa regionale, pensata per conoscere e valorizzare le migliori pratiche promosse dai sistemi territoriali per contrastare e prevenire ogni forma di divario e discriminazione di genere nel lavoro e per promuovere l’occupazione femminile.

La cerimonia di consegna dell’importante riconoscimento si è svolta, a Bari, presso la Fiera del Levante, nell’ambito dell’incontro di approfondimento dedicato al tema Donne e lavoro”, in cui è stato anche sottoscritto il Protocollo tra Regione e Partenariato socioeconomico per la promozione del lavoro femminile in Puglia.

La consigliera di Parità provinciale Antonella Pappadà, che ha anche firmato il Protocollo d’intesa, è stata premiata dall’assessora regionale alle Politiche di genere Serena Triggiani, con la consigliera delegata all’Agenda di genere, Titti De Simone e la consigliera regionale di Parità, Lella Ruccia.

«Sono felice e onorata di aver ricevuto questo riconoscimento dalla Regione Puglia, assessorato alle Politiche di genere», commenta la consigliera di Parità Antonella Pappadà, «perché ripaga l’impegno profuso nell’ultimo anno insieme a tutta la rete, che ringrazio fortemente. Sono ancor più felice per il grande interesse dimostrato dalle studentesse e degli studenti, che ho incontrato personalmente, riguardo ai temi affrontati in questo primo anno di formazione, segno che la strada intrapresa è quella giusta: far riconoscere e superare stereotipi e pregiudizi, promuovere la consapevolezza di sé e delle proprie capacità, incoraggiarli nella ricerca dei loro interessi e al rispetto per le diversità».

Questa la motivazione del Premio di merito: “Per aver promosso un progetto innovativo e continuativo di orientamento e sensibilizzazione che affronta con efficacia i temi della parità di genere, dell’inclusione e dell’empowerment femminile, supportando le studentesse e gli studenti nella scelta consapevole del proprio percorso formativo e professionale. L’iniziativa contribuisce concretamente al superamento degli stereotipi, alla riduzione del divario di genere e al miglioramento dell’occupazione femminile e delle persone con disabilità, con un impatto positivo e duraturo sul tessuto sociale ed economico del territorio”.

Il Progetto di orientamento integrato Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione” è un percorso formativo triennale, avviato in via sperimentale in 4 Istituti scolastici superiori del Salento (Ites Olivetti di Lecce, Liceo Da Vinci di Maglie, IISS Meucci di Casarano, IISS Giannelli di Parabita), nell’ambito dei PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento).

Il primo modulo, intitolato Oltre gli stereotipi”, si è snodato da dicembre 2024 a maggio 2025, attraverso 16 incontri, pari a 48 ore di formazione, con esperte e testimonial d’eccezione.

Il coordinamento e la realizzazione del Progetto sono curati dall’Ufficio pari opportunità – Servizio Risorse umane e Pari opportunità della Provincia di Lecce, diretto da Pantaleo Isceri, con il supporto del Gruppo operativo formato nell’ambito del Tavolo tecnico permanente “Donne, lavoro e inclusione”, costituito dalla stessa consigliera di Parità.

Nel prossimo anno scolastico 2025-2026 sarà sviluppato, in continuità con le classi già coinvolte, il secondo modulo, Il mercato del lavoro”, rivolto a studenti e studentesse del quarto anno.

Il percorso di concluderà nell’anno scolastico 2026-2027, con il terzo ed ultimo modulo Il lavoro tra diritti e doveri: soggetti di diritti e di doveri, dedicato agli studenti di quinta.

Un modo valido per fornire agli studenti gli strumenti per comprendere e contrastare le discriminazioni di genere, incoraggiando un pensiero libero e inclusivo anche attraverso atteggiamenti e comportamenti.

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Nuove tappe per il Camper del Lavoro

Arpal Puglia: 685 posizioni aperte nel leccese, nuove tappe per il Camper del Lavoro, recruiting con Mc Donald’s a Galatina e concorso per categorie protette

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Dopo i primi giorni nel nord Salento, da questa settimana il Camper del Lavoro di ARPAL Puglia porta il suo sportello itinerante anche nei Comuni del Capo di Leuca, nella Grecìa Salentina, a Veglie, Porto Cesareo e a Nardò, presso la Foresteria Boncuri che ospita i lavoratori migranti impegnati nella raccolta stagionale di frutta e ortaggi.

L’iniziativa, finanziata con fondi PNRR e realizzata in collaborazione con gli enti del Terzo Settore Cefas, Consorzio Mestieri Puglia e Sale della Terra, nasce per avvicinare le politiche attive del lavoro anche alle comunità più isolate, garantendo un contatto diretto con gli operatori dei Centri per l’Impiego.

Il mezzo attrezzato, trasformato in un vero e proprio sportello mobile, fornisce orientamento personalizzato, supporto nella scrittura e aggiornamento di CV e lettere di presentazione, assistenza sulle offerte di lavoro e sui percorsi formativi, accesso ai servizi digitali e informazione dedicata alle imprese.

L’azione si inserisce, inoltre, nel quadro delle misure di contrasto al caporalato, offrendo tutele e opportunità laddove più necessario.

Parallelamente, proseguono le attività presso i centri per l’impiego. Il Recruiting Day “Last Call for Summer”, che si è svolto lo scorso 12 giugno, ha visto una partecipazione ampia e diffusa: sono state raccolte 386 candidature e sono stati svolti 348 colloqui in un’unica giornata. Anche in questo caso, la strategia #mareAsinistra ha consentito l’estensione della partecipazione oltre i confini regionali, con candidature provenienti anche da Sicilia e Spagna, a conferma dell’efficacia di un modello che integra colloqui in presenza e da remoto.

RECRUITING DAY CON MCDONALD’S A GALATINA

Domani (martedì 24 giugno)è in calendario un nuovo importante appuntamento: presso il Centro per l’Impiego di Galatina si terrà il Recruiting Day per la nuova apertura del ristorante fast food McDonald’s.

Per l’occasione, i recruiter di Arpal e della società Ristosì srl terranno i colloqui di lavoro per la selezione di quaranta risorse, tra addetti alla sala e addetti alla cucina, da assumere con contratto part time a tempo determinato con possibilità di stabilizzazione.

Possono candidarsi giovani tra i 18 e i 35 anni, preferibilmente domiciliati entro 30 km da Galatina.

Per l’invio della candidatura e maggiori dettagli, si può consultare il portale “Lavoro per te Puglia”

Solo per chi vive fuori regione, è possibile prenotare un colloquio da remoto grazie alla strategia #mareAsinistra, compilando l’apposito form

IL CONCORSO ARPAL

Si segnala l’avvio di un concorso pubblico, su base territoriale, per l’assunzione a tempo pieno e indeterminato di quaranta Istruttori del Mercato del Lavoro da inquadrare nell’Area degli Istruttori (ex categoria C) presso l’Agenzia Regionale per le Politiche Attive del Lavoro – ARPAL Puglia.

La procedura è interamente riservata a persone iscritte negli elenchi della legge 68/99: trentasei posti sono destinati a persone con disabilità, come da art. 1 della legge 68/99, e quattro a categorie tutelate ai sensi dell’art. 18, comma 2 della stessa legge e delle norme equivalenti.

Le domande dovranno essere presentate esclusivamente online attraverso il portale www.inPA.gov.it entro il 27 giugno.

Il bando completo e tutti i dettagli sono consultabili nella sezione “Albo Pretorio” del portale ARPAL Puglia, all’indirizzo https://arpal.regione.puglia.it/.

I DATI DEL 20° REPORT

Il 20° Report settimanale di ARPAL Puglia dipinge un quadro vivace e dinamico del mercato del lavoro nell’Ambito di Lecce, con un totale di 685 posizioni aperte distribuite in 221 annunci.

Le opportunità sono variegate e coprono numerosi comparti produttivi. Il settore del turismo si conferma il motore principale, raccogliendo 166 posizioni.

Subito dopo, il settore delle costruzioni mostra una forte crescita con 151 offerte, seguito dal commercio che attesta 91 opportunità.

La sanità e i servizi alla persona propongono 64 inserimenti lavorativi, dimostrando una costante domanda di professionalità in questi ambiti.

Proseguendo nell’analisi, il settore dei trasporti e riparazione veicoli conta 40 posti, mentre il comparto Tessile, Abbigliamento e Calzature (TAC) registra 34 posizioni. Le pulizie e le telecomunicazioni presentano entrambe 27 posizioni attive.

Il settore agroalimentare offre 18 opportunità, e quello metalmeccanico 13.

Anche se più contenuta, l’offerta nel settore bellezza e benessere è comunque significativa con nove opportunità.

Chiudono la lista i comparti pedagogico con sette posizioni attive, amministrativo-informatico con cinque e spettacolo – organizzazione eventi con due posizioni.

A completare il panorama occupazionale vi sono 16 posizioni riservate agli iscritti alle categorie protette secondo la legge 68/99 e altre 13 destinate a persone con disabilità.

Il report segnala inoltre otto tirocini formativi attivi e una serie di proposte di lavoro e formazione all’estero, promosse attraverso la rete EURES, che sostiene la mobilità professionale a livello europeo.

Si ricorda che le offerte, parimenti rivolte ad entrambi i sessi, sono pubblicate quotidianamente sul portale lavoroperte.regione.puglia.it, dal quale ci si può candidare direttamente tramite Spid.

Si consiglia di consultare costantemente la pagina Facebook “Centri Impiego Lecce e Provincia“, il portale Sintesi Lecce e i profili Google di ogni centro per l’impiego.

Gli uffici sono aperti al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 11,30, il martedì anche nel pomeriggio dalle 15 alle 16,30 e il giovedì pomeriggio su appuntamento.

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