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Cronaca

È morto Silvio Berlusconi

Si è spento in ospedale questa mattina alle 9,30. Aveva 86 anni

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Silvio Berlusconi, fondatore di Mediaset e del partito di Forza Italia, protagonista assoluto tra imprenditoria e politica degli ultimi 50 di storia italiana, è morto questa mattina.


Aveva 86 anni.


Il leader di Forza Italia è deceduto stamattina alle 9,30.

Era all’ospedale San Raffaele di Milano dove era stato ricoverato nuovamente per un aggravarsi dei valori relativi alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da tempo.


Cronaca

Nuovamente aggredito don Antonio Coluccia

Un uomo ha puntato il prete antispaccio salentino e voleva lanciargli una bomboletta d’acciaio addosso. Aggressione sventata solo dalla prontezza degli uomini della sua scorta. Sparato anche un colpo in aria. L’aggressore è riuscito a fuggire aiutato dalla folla scesa in strada

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Nuovo tentativo di aggressione ai danni di don Antonio Coluccia a Roma.

Teatro ancora una volta il Quarticciolo, quartiere alla periferia della Capitale.

Un uomo, riuscito poi a sfuggire alle forze dell’ordine, si è avventato sul sacerdote con una bomboletta d’acciaio durante una passeggiata della legalità.

L’aggressore ha puntato il prete antispaccio originario di Specchia e voleva lanciargli una bomboletta d’acciaio addosso. Aggressione sventata solo dalla prontezza degli uomini della sua scorta.

Bloccato dalla polizia presente e dal servizio di sicurezza, l’aggressore non è riuscito nel suo intento ma ha cominciato a urlare frasi del tipo “aiutateme, me stanno a carcerà”, che hanno fatto arrivare in strada una sessantina di persone. Attimi di panico, in cui un uomo ha cercato di aizzare un pitbull contro i poliziotti, mentre altri hanno preso a calci gli agenti, due dei quali hanno riportato lesioni guaribili in sette giorni. Secondo quanto riportato da un poliziotto, è stato sparato anche un colpo di pistola in aria, “per mettere in sicurezza Don Coluccia” e “guadagnare terreno“.

Nel trambusto è stato fermato un uomo di 41 anni (non quello che ha cercato di colpire don Coluccia, riuscito a fuggire con l’aiuto della folla scesa in strada) – arrestato con l’accusa di resistenza aggravata. Processato questa mattina per direttissima, che è stato condannato all’obbligo di firma. HA dichiarato di non c’entrare nulla con l’agressione e che era in piazza solo per cercare i figli. La sua versione non è stata ritenuta attendibile dai giudici che gli hanno imposto l’obbligo di firma.

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Cronaca

Musica a tutto volume durante la notte, e fuga in auto senza patente: intervengono i carabinieri

È accaduto in una location per cerimonie a Maglie svuotata delle 250 persone presenti ad uno spettacolo di danza. A Scorrano invece, segnalato 22enne per guida senza patente e per essersi rifiutato di sottoporsi ai previsti accertamenti tossicologici. Lo stesso alla vista dei carabinieri ha tentato di darsi alla fuga e si è schiantato contro un albero

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I carabinieri della Compagnia di Maglie, coadiuvati dai militari del Nucleo Antisofisticazione e Sanità di Lecce e dal personale A.R.P.A. Puglia (Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente) hanno proceduto al controllo di diverse attività commerciali dislocate nella cittadina.

Sono stati passati al setaccio bar, ristoranti e locali di intrattenimento all’aperto ed il servizio è stato prevalentemente rivolto, ma non solo, a contrastare le condotte che arrecano disturbo alle persone.

Le normative di riferimento sono state la Legge Regionale 24/2015 che regola il Codice del Commercio ed i regolamenti contenuti nel T.U.L.P.S. (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza).

Nel corso dei controlli i carabinieri hanno riscontrato diverse irregolarità presso un’attività commerciale, location di cerimonie ed eventi, dove era in corso uno spettacolo danzante in totale assenza di titolo autorizzativo da parte dell’autorità di Pubblica Sicurezza e con diffusione di musica ad intensità superiore ai limiti consentiti.

I militari hanno proceduto all’interruzione della manifestazione facendo così defluire gli oltre 250 presenti.

Al titolare è stata contestata anche l’omessa compilazione delle schede relative alla sanificazione e al controllo della temperatura degli alimenti.

Sono state quindi comminate sanzioni amministrative per un totale di circa 7mila euro, con conseguente segnalazione alle competenti autorità.

Sempre nell’ambito dei servizi di controllo del territorio, nella stessa nottata, i carabinieri della Stazione di Scorrano, hanno segnalato alla competente autorità, un ventiduenne per guida senza patente (perché mai conseguita) e per essersi rifiutato di sottoporsi ai previsti accertamenti tossicologici. Il giovane che si trovava alla guida di una vettura di grossa cilindrata, nel tentativo di eludere i controlli, non si è fermato all’alt dei carabinieri e, nel tentativo di darsi alla fuga, si è schiantato contro un albero. A seguito dell’impatto ha riportato lesioni che hanno reso necessario l’intervento dei sanitari del 118 che lo hanno trasportato presso l’ospedale di Casarano.

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Approfondimenti

Xylella: Il fuoco invisibile

Lo scrittore del libro tra i 12 finalisti del Premio Strega 2024, Daniele Relli: «Necessario ricostruire la fiducia fra mondo scientifico, istituzioni e popolazione Con un po’ più di fiducia nei ricercatori, forse, non saremmo arrivati a questo punto»

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Un dramma ecologico e sociale raccontato in un incalzante romanzo a più voci.

È quello che fa Daniele Rielli in “Il fuoco invisibile” (tra i 12 finalisti del Premio Strega 2024), cercando di capire cosa è accaduto agli ulivi della sua famiglia originaria di Calimera, ricostruendo le vicende legate all’arrivo della Xylella, il batterio che ha causato la più grave epidemia delle piante al mondo.

Tutto inizia a Gallipoli, quando gli ulivi cominciano a seccare e morire in un modo mai visto prima. Si mette in moto un vortice di avvenimenti che prende velocità fino a diventare inarrestabile.

Almeno 21 milioni di ulivi, tra cui molti alberi secolari e millenari, un patrimonio insostituibile, sono morti.

È come se l’intero Salento fosse stato bruciato da un gigantesco fuoco invisibile.

Daniele Rielli

Nell’incipit della nostra intervista Daniele Rielli racconta come è nata l’esigenza di scrivere “Il fuoco invisibile”: «Mio nonno a Calimera era un olivicoltore. All’arrivo della Xylella mio padre, anche se di mestiere ha fatto altro dopo essersi traferito al nord ed aver conosciuto mia madre, ne è rimasto assai turbato. Così il dramma che ha colpito tutto il Salento è stato vissuto anche nella nostra casa su al nord».

Ecco spiegato cosa ha spinto lo scrittore, nato a Bolzano e residente a Roma, ad occuparsi di quanto avveniva nel Salento.

Quali sono i temi de “Il fuoco invisibile”?

«Il libro racconta la storia di quello che è successo attraverso, in primis, la nostra vicenda familiare. Poi il racconto si espande ai vari protagonisti della vicenda. Quindi ai ricercatori, che hanno scoperto la malattia e sono stati ingiustamente accusati per alcuni anni di averla diffusa. Accusa pesante e, ovviamente, non vera ma che, sulle loro vite, ha avuto un effetto molto, molto grave. Lo racconto perché sono persone che ho conosciuto in questi anni: persone per bene ed anche molto brave nel loro lavoro. Questa è una pagina nera della giustizia in Italia. Ho conosciuto anche tante persone che hanno cercato di fare qualcosa per contrastare l’emergenza. Penso, ad esempio, a Giovanni Melcarne, di Gagliano del Capo, uno dei produttori d’eccellenza del Salento che ha sempre cercato di portare l’opinione pubblica su posizioni un po’ più vicine alla scienza. Questo, quando, all’inizio, sia tra la popolazione che tre le istituzioni, si sosteneva che la malattia non fosse così grave o che, addirittura, non esistesse affatto, che fosse un complotto. Giovanni è una di quelle persone che, invece, ha sempre tenuto la barra dritta e ha cercato di trovare soluzioni concrete. Melcarne è uno dei protagonisti del libro così come tanti altri. Ho cercato di fare un po’ la geografia umana di questo disastro, dando voce a tanti che non avevano avuto occasione di parlare. Tanto hanno, invece, parlato i politici, che spesso, però, non hanno detto le cose giuste. Mentre persone più capaci non hanno avuto voce in capitolo».

Hai parlato di processo alle streghe… 

«Una delle reazioni tipiche nella storia dell’uomo è quella di cercare qualcuno a cui dare la colpa di fronte alle epidemie, alle malattie inaspettate. Questo è quello che nel Salento è successo con gli scienziati a livello collettivo prima che giudiziario. Tali credenze, diffuse prima sui social e poi tra la popolazione, hanno ricordato un po’ la caccia alle streghe. Alla fine, per fortuna, è stato dimostrato che i ricercatori avevano fatto solo il loro lavoro ed anche bene».

Dopo aver ascoltato le parti in causa, gli addetti ai lavori, che idea ti sei fatto personalmente di tutta questa vicenda? 

«Sicuramente è stata un’occasione persa. Ora esiste un programma di contenimento che costa anche tanti soldi, ma è giusto che ci sia. Il fatto è che, ormai, su un territorio talmente diffuso diventa difficile pensare di contenere l’epidemia in maniera efficace mentre, all’inizio, si trattava di un territorio molto ristretto, tra l’altro circondato su tre lati dal mare, e si poteva tentare seriamente di contenere e di debellare la malattia. Questo non è stato fatto per una serie di errori umani ed è un peccato perchè l’Italia avrà che fare nei prossimi decenni con questo batterio che ha causato tanti danni e continuerà a causarne. Cosa che si poteva evitare».

Come pensi finirà tutta questa storia? 

«Per il Salento è già finita e bisogna pensare al capitolo successivo: piantare delle varietà resistenti e ricostruire, almeno in parte, l’agricoltura. Poi diversificare perché la monocoltura, dal punto di vista ambientale, non è il massimo e, soprattutto, espone a dei rischi. Aver avuto due sole cultivar, la “Cellina” di Nardò e la “Ogliarola Salentina”, sul 60% del territorio, ha posto un problema di biodiversità e l’arrivo di un patogeno, che ha attaccato quelle due varietà, ha messo in ginocchio tutto il Salento. Non sarebbe accaduto se ci fossero state coltivazioni diverse. Ora si dovrà recuperare una parte di olivicoltura per mantenere viva una tradizione secolare, al contempo, cercare nuove culture da affiancare all’ulivo. Questo per quanto riguarda il Salento.  Per il resto della Puglia e, in prospettiva, il resto d’Italia, bisogna cercare di contenere seriamente, nella speranza che arrivi al più presto una cura definitiva contro questo batterio. Prima o poi si arriverà, bisogna solo capire quando».

Oggi si discute del fatto che il Leccino, la varietà resistente alla Xylella su cui si sta puntando, a differenza degli ulivi nostri di una volta, necessiti di tanta acqua, che noi non abbiamo…

«Con le coltivazioni storiche d’ulivo salentine, era problematico fare un olio di qualità perché erano alti e molto grandi. Quindi era difficile raccogliere le olive dall’albero o, meglio, era molto costoso. Quindi si tendeva a produrre un olio lampante, aspettando che le olive cadessero, a discapito della qualità dell’olio. Con quegli alberi era difficile fare diversamente. Ora, con delle piante più piccole, con delle coltivazioni impostate in maniera diversa, sarà più facile produrre olio di qualità anche se, effettivamente, consumano più acqua… Si guadagna da un lato, si perde dall’altro. Da considerare anche che se per la produzione precedente occorrevano 90mila ettari, oggi con delle piante giovani si può arrivare alla stessa produzione e di qualità migliore con 20-25mila ettari».

Daniele Rielli si congeda con un auspicio per il futuro: «L’eredità di questa storia dovrebbe essere un rapporto migliore tra opinione pubblica e comunità scientifica. Spero si sia capito, ad esempio, che quello che può dire un ricercatore in pensione, non è necessariamente l’opinione dell’intera comunità scientifica. Bisogna andare a vedere qual è il consenso diffuso su un argomento. Quello sulla Xylella è sempre stato lo stesso, sin dall’inizio.  Purtroppo, sono stati molti amplificati i pareri di pochissime persone che davano delle false speranze, sostenendo tesi non fondate. E questo ha avuto un costo importante. A mio avviso è necessario ricostruire la fiducia fra mondo scientifico, istituzioni e popolazione. Con un po’ più di fiducia nei ricercatori, forse, non saremmo arrivati a questo punto».

Giuseppe Cerfeda

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