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Cronaca

Legge di cittadinanza e diritti negati: l’Arci in prima linea per una riforma immediata

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Era il 5 febbraio 1992 quando l’attuale legge sulla cittadinanza entrò in vigore. Oggi, a trent’anni da quel giorno, l’Arci rinnova il suo impegno per una immediata riforma dell’attuale normativa, cieca dinanzi alle necessità ed ai diritti di migliaia di bambini e persone che, spesso, si vedono costretti ad abbandonare l’Italia, pur sentendo di appartenervi pienamente.





Con la collaborazione delle associazioni studentesche Link Lecce ed Udu Lecce, la cooperativa sociale Arci Lecce Solidarietà ha aderito alla sensibilizzazione che ha unito numerose città in tutta Italia, promovendo una costruttiva riflessione sul tema dello “ius soli” nelle scuole.





Dinanzi alle sedi del “Liceo Banzi” e del “Liceo Palmieri” ed all’ingresso dell’Ateneo e dello “Studium 2000” dell’Università del Salento, gli studenti di Lecce hanno partecipato all’attività distribuendo dei volantini con una vignetta di Mauro Biani, noto per le sue raffigurazioni collegate a tematiche quali i diritti umani, la legalità ed il pacifismo. Un’illustrazione, quella realizzata da Biani sullo ius soli, che smaschera le reali motivazioni di quanti, ancora oggi, si oppongono alla riforma della cittadinanza: paura infondata, crisi d’identità e, soprattutto, disinformazione.









Elementi, questi, che fanno dell’Italia uno dei Paesi d’Europa meno all’avanguardia sul tema. Nonché uno degli stati in cui è necessario attendere più tempo per diventare Italiani.
Per la legge n.91 del 1992, un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se, fino a quel momento, ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Una legge che esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia.





Non bastasse, dopo il compimento dei 18 anni, si ha solo un anno di tempo per richiedere la cittadinanza. E, dal momento della domanda, possono trascorrere anche quattro anni prima che si ottenga una risposta. In altre parole, per chi nasce e cresce in Italia è quasi impossibile diventare cittadino italiano prima dei 22 anni.





E se in 30 anni di storia politica nulla è cambiato, è anche perché tante, troppe volte, il tema è stato derubricato a questione di secondaria importanza”, scrivono dalla cooperativa sociale Arci Lecce Solidarietà. “Sempre dopo un’altra urgenza, sempre in coda a nuove impellenze.
Responsabilità in merito, a livello politico, ce l’hanno anche quanti, nel tempo, hanno sposato solo superficialmente la causa, senza mai andare sino in fondo verso l’obiettivo. In 30 anni si sono susseguite dozzine di proposte di legge, diverse l’una dall’altra nell’interpretazione della riforma, nel suo contenuto e nelle modalità suggerite. Proposte finite su binari morti o, addirittura, approdate in aule parlamentari deserte. Dinanzi ad un’Italia che vive un calo demografico ed una emorragia di ragazze e ragazzi figli di immigrati, costretti nuovamente ad emigrare, non c’è più tempo per tergiversare”.




La proposta di legge





La proposta supportata dall’Arci e presentata, nel 2015, con la campagna “L’Italia sono anch’io” consentirebbe di essere italiano a chi nasce in Italia da genitori stranieri residenti stabilmente; permetterebbe a chi è arrivato in Italia da bambino di scegliere, dopo un ciclo scolastico, di diventare italiano; sottrarrebbe alla discrezionalità della pubblica amministrazione l’accesso alla cittadinanza per gli adulti.





“La riforma della cittadinanza non ha nulla a che vedere con quanto sbandierato dagli schieramenti politici che, strumentalizzandola, vi si oppongono”, ha sottolineato Anna Caputo, presidente di Arci Lecce Solidarietà. “Non si tratta di liberalizzare la cittadinanza italiana. Piuttosto, è una scelta di civiltà, sin troppe volte rimandata, che tutela i diritti di minori che già vivono sul territorio italiano e sono figli di genitori regolarmente soggiornanti”.














Cronaca

Le raccomandate a Ruffano… vanno di fretta

Disagio comune. «Lasciano avvisi di giacenza senza citofonare. Ritirare la busta verde diventa un’impresa ed una corsa contro la decorrenza dei termini»

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Cinema e letteratura del secolo scorso ci hanno insegnato che “il postino suona sempre due volte”. Non a Ruffano.

Oggi riavvolgiamo il nastro delle diverse segnalazioni assonanti, arrivateci in merito ad un disagio non da poco che riguarda la (mancata) consegna di lettere raccomandate.

La storia, nei racconti dei cittadini, è quasi sempre la stessa.

Quello che quindi inizialmente appariva un episodio (singolo o fortuito) diventa, alla quinta testimonianza raccolta, prassi. Fa notizia.

Torniamo sui nostri passi. Ricontattiamo quanti ci avevano nel tempo lanciato le singole segnalazioni.

Chiediamo in giro. Rimettiamo assieme. Ed ecco il puzzle che si compone.

«Mi è capitato più volte, recentemente, di ritrovarmi con degli avvisi di giacenza di raccomandate di varia natura. Ma dato che di rado in casa nostra non c’è nessuno», racconta una nostra lettrice che abita in zona Grotta, «ho iniziato a fare attenzione a questa cosa, per poi scoprire che l’addetto alla consegna va via senza nemmeno citofonare».

«Ogni volta la stessa storia», spiega un altro cittadino, «non provano nemmeno a suonare al campanello, ho imparato a riconoscere il suono del motore, per correre alla porta prima che vadano via».

Il disagio non è da poco. Lo si evince chiaramente dalla testimonianza di un’altra nostra lettrice, che ha difficoltà nel recuperare le buste verdi che non le vengono consegnate brevi manu: «È una costante. Lasciano ogni volta una ricevuta di mancata consegna nella buca delle lettere. A quel punto si è costretti ad andare in ufficio postale a ritirare la comunicazione. Ma diventa un’impresa: qui a Ruffano le Poste sono chiuse nel pomeriggio e la mattina ci sono dozzine di persone in fila. Da quando l’ufficio postale è stato trasferito nella sede provvisoria (NdR, a seguito della dichiarata inagibilità del vecchio ufficio di piazza IV Novembre) le code sono all’ordine del giorno. In pratica, per ritirare una raccomandata si perde una mattinata intera».

Stessa situazione per una vicina di casa della signora di prima: «Io ho beccato la responsabile mentre stampava la ricevuta di mancata consegna senza nemmeno avvicinarsi a casa. Non era la prima volta e gliene ho cantate quattro», ammette, «ma ha mentito spudoratamente, negando quanto stava facendo».

Un altro testimone, un pensionato che abita in centro, spiega che «è una storia vecchia. Con più persone parlerete, più gente troverete a raccontarvi la stessa cosa».

Le ragioni per cui tutto questo accade non sono note, ma forse non sono difficili da ipotizzare. Più d’uno dei nostri intervistati concorda nel dire che «è un modo per guadagnare tempo: stampare una ricevuta di mancata consegna è molto più rapido che suonare un campanello ed attendere che il destinatario si palesi ed apponga una firma».

Le conseguenze sono invece ben chiare: ritrovarsi un avviso di giacenza fa decorrere una serie di termini. La famosa busta verde, che può contenere importanti comunicazioni così come atti giudiziari o amministrativi, se non ritirata entro i giorni stabiliti dalla legge torna al mittente, ma gli effetti del suo contenuto non decadono.

Al contrario, vi possono essere ricadute legali che il destinatario ignorerà.

La fotografia di questa situazione è tutta nella narrazione di uno dei testimoni precedentemente intervenuti: «È una situazione inverosimile. Una beffa. All’orario in cui passano per le consegne nella mia zona, nel primo pomeriggio, io sono in casa, ormai rientrato dal lavoro. Invece negli orari di apertura dell’ufficio postale non sono quasi mai a Ruffano, ed ho sempre difficoltà a ritirare le raccomandate».

Lorenzo Zito

 

 

 

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Casarano

Con un drone tentano di calare droga e telefoni in carcere. Intercettati

Il drone, ancora acceso e munito di videocamera frontale, era collegato mediante fili di nylon a involucri contenenti sostanza verosimilmente stupefacente e numerosi dispositivi elettronici….

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Prosegue l’azione di contrasto dei Carabinieri al fenomeno dell’introduzione illecita di sostanze stupefacenti e oggetti proibiti all’interno degli istituti penitenziari, fenomeno che si avvale sempre più spesso dell’utilizzo di droni tecnologicamente sofisticati.

Nella serata di ieri, è stato intercettato un drone in volo nelle immediate vicinanze di un noto esercizio commerciale, in un’area compatibile con una possibile rotta diretta verso il carcere di Borgo San Nicola.

L’intervento dei militari del NORM di Lecce ha consentito di bloccare il velivolo e recuperare il carico trasportato, evitando che il materiale illecito potesse raggiungere il carcere.

Il drone, ancora acceso e munito di videocamera frontale, era collegato mediante fili di nylon a involucri contenenti sostanza verosimilmente stupefacente e numerosi dispositivi elettronici.

I Carabinieri hanno proceduto al sequestro di un ingente quantitativo di sostanze verosimilmente stupefacenti, tra cui cocaina e hashish, per un peso complessivo di circa 150 grammi, abilmente occultate anche all’interno di confezioni di chewing gum, bilancini di precisione, telefoni cellulari di varie tipologie (compresi mini-telefoni), cavi, auricolari e caricabatteria, materiale destinato a supportare attività illecite all’interno del carcere.

Il sequestro è stato effettuato in via d’urgenza, considerata l’assenza, in quel momento, della direzione delle indagini da parte dell’AG e il concreto pericolo di dispersione o alterazione delle prove.

Il materiale sequestrato è stato posto a disposizione della Procura di Lecce mentre sono in corso indagini dei Carabinieri volte a individuare i responsabili e a ricostruire l’intera filiera organizzativa.

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Casarano

Che fine ha fatto il gatto Cesare?

A Casarano scompare gatto di quartiere, la comunità sgomenta chiede chiarezza e tutele

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Sta suscitando profonda emozione e sgomento, a Casarano, la scomparsa di Cesare, un gatto di quartiere molto conosciuto e amato dai residenti di via Montesanto, nel centro cittadino.

Del gatto non si hanno più notizie dal pomeriggio di martedì 9 dicembre, intorno alle 16,20.

Cesare viveva da anni nella zona ed era diventato una presenza familiare per molti abitanti del quartiere, che nel tempo si erano presi cura di lui garantendogli cibo, attenzioni e assistenza.

Negli ultimi giorni il gatto non stava bene ed era seguito da un veterinario, con un controllo programmato il giorno successivo.

Proprio per proteggerlo dal freddo e offrirgli un luogo riparato e caldo in attesa della visita veterinaria, nei giorni precedenti alcuni volontari avevano realizzato e posizionato una cuccia impermeabile, collocata sotto il porticato della via.

Secondo le testimonianze raccolte, Cesare si trovava all’interno di questa sistemazione poco prima dell’orario indicato.

In una finestra temporale di circa dieci minuti, il gatto e la cuccia sono scomparsi, senza che vi siano stati avvistamenti successivi o segnalazioni utili a chiarirne la sorte.

«Cesare non era un randagio nel senso comune del termine», spiega un volontario che da tempo si occupava di lui, «ma un gatto seguito, curato e amato da tante persone. Negli ultimi giorni stavamo facendo il possibile per proteggerlo dal freddo, trovargli una sistemazione più sicura e accompagnarlo alle cure veterinarie. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto enorme e ci ricorda quanto sia importante riconoscere e tutelare ufficialmente i gatti liberi, per evitare che situazioni simili possano ripetersi».

La notizia si è rapidamente diffusa in città e sui social network, dove in molti hanno condiviso appelli e messaggi di solidarietà. Cesare non era soltanto un gatto di quartiere: nel tempo era diventato amico di passanti, bambini e negozianti, che gli riservavano quotidianamente carezze, giochi e cibo, rendendolo una presenza rassicurante e familiare nella vita di via Montesanto.

La vicenda ha riacceso il dibattito sul tema della tutela dei gatti liberi e sulla necessità di strumenti chiari e condivisi per la loro protezione.

In diverse città italiane, infatti, le colonie feline sono riconosciute ufficialmente e gestite in collaborazione tra cittadini, Comuni e servizi veterinari, al fine di garantire benessere animale e convivenza civile.

L’episodio richiama inoltre l’attenzione sul quadro normativo italiano, che riconosce e tutela gli animali in quanto esseri senzienti e prevede specifiche responsabilità per chiunque compia atti di maltrattamento o violenza nei loro confronti.

Un impianto giuridico che affida anche alle istituzioni locali un ruolo centrale nella prevenzione, nella tutela e nella promozione di una convivenza rispettosa tra cittadini e animali.

Al momento non sono emersi elementi certi sulla sorte di Cesare.

Le autorità competenti sono state informate dei fatti e stanno svolgendo gli accertamenti necessari per ricostruire quanto accaduto.

Nel frattempo, i residenti chiedono soprattutto chiarezza e auspicano che episodi come questo possano diventare occasione per una maggiore sensibilizzazione e per politiche di tutela più strutturate sul territorio.

La storia di Cesare resta oggi il simbolo di un legame profondo tra una comunità e un animale che, pur senza padrone, era diventato parte integrante della vita quotidiana di tutti.

Salvatore Primiceri

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