Attualità
Donatucciu, l’ultimo ciabattino
L’intervista al quasi 90enne di Miggiano che ha incarnato la memoria storica di un mondo ormai lontano e atavico, ma ancora vivo e palpitante di energie vitali

di Alberto Scalfari
Avevo necessità di praticare alcuni fori sulla cintura di cuoio di mio figlio.
Non sapevo davvero come fare perché non ero fornito di lesina o punteruolo, di quella particolare pinza denominata “fustellatrice” che utilizzano i calzolai.
Anzi, che utilizzavano i calzolai, dal momento che, il mestiere sta andando man mano scomparendo.
Come quelli dell’orologiaio, dell’ombrellaio, del fabbro ferraio, dello stagnaro. Figure che hanno rappresentato nel passato una cospicua fetta di economia locale. Un supporto di produttività legato indissolubilmente alle modeste esigenze della gente.
Una cultura di prossimità, ormai sovrastata da un’economia consumistica, incentrata quasi esclusivamente sull’usa e getta. Quegli artigiani, con la loro maestria, la loro bravura e il loro estro erano capaci di creazioni ed opere artigianali di grande attrazione, oltre all’uso funzionale a loro addebitato. Senza parlare poi dell’approccio umano sempre cortese e gentile che intercorreva tra queste figure e la gente del paese.
Dovendo quindi risolvere il piccolo dilemma dei fori alla cintura, ricordai il vecchio ciabattino cui mi recavo, tanti anni fa, per la riparazione delle calzature laddove l’esigenza lo richiedeva.
Percorrendo via Giuseppe Mazzini, a Miggiano, e sapendo che la parallela alla via Mazzini era via Giuseppe Garibaldi, dove abitava il vecchio calzolaio Donato, meglio conosciuto nel paese come “U Dunatucciu ca’ giusta li scarpi” , e decido lì per lì di passare dalla via dove abita proprio Donato.
Giunto all’altezza della sua casa vedo lo stesso sull’uscio della sua abitazione, assieme alla moglie, all’entrata del garage. Sbigottito mi dico: quale migliore occasione?
Mi fermo con la mia auto a pochi metri da casa sua e scendo per salutarlo: «Ciao Donato! Come stai? È da tanto tempo che non ti vedo…».
Nel suo volto leggo la sorpresa, non mi riconosce immediatamente, ha un attimo di esitazione poi aguzza la vista e mi accoglie con un sorriso: «Ciao! Non ti avevo riconosciuto sul momento. Mi eri sembrato un’altra persona… Io sto bene. Grazie!».
Saluto con garbo sua moglie, la quale mi identifica con subitanea lucidità, associandomi a mia suocera, parente di Donato.
«Come mai da queste parti?», mi chiede Donato.
Gli rispondo schiettamente: «Per la verità dovevo fare due fori a questa cintura ma non sapevo come districarmi visto che ormai non c’è più nessun ciabattino. Tu sei stato l’ultimo ciabattino del paese e, forse, anche il primo ciabattino di Miggiano!».
«Sì, è vero. Ma vieni in casa… Entra che beviamo qualcosa».
Lieto del suo invito, lo seguo al tavolo posto al centro della stanza e incominciamo a parlare.
“Dunatucciu” come lo chiamano in paese, in realtà si chiama Donato Antonio Meli, nato a Miggiano nella seconda metà degli anni ’30. È vicino ai 90anni. I suoi genitori erano originari di Parabita: il papà per ragion di lavoro si trasferì a Miggiano nella giovinezza.
Il suo volto è sereno, schietto, socievole e accogliente. I suoi capelli bianchi, lisci e ondulati, portano ancora una sfumatura di grigio. Il suo fisico è rimasto quello che ricordavo: gracile, di costituzione fisica snella, che gli anni hanno ulteriormente affinato.
Gli domando: Donato, quando hai incominciato a fare il ciabattino?
Dopo un attimo di esitazione mi risponde: «Ho iniziato a fare questo lavoro dall’età di dieci anni. Andavo dalli “mesci” (gli artigiani di quel tempo lontano presso cui andavano tutti i ragazzini ad imparare il mestiere) e con pazienza e costanza imparai lentamente il mestiere e iniziai a lavorare».
Com’erano quegli anni e chi veniva da te, dal ciabattino?
«Erano gli anni della ripresa economica, si cominciava a vedere un po’ di luce. Chi veniva a farsi aggiustare le scarpe, soprattutto i proprietari terrieri, anziché pagarmi in denaro mi portavano alimenti: olio, pomodori, farina, agrumi ed altri frutti della terra. Questo solo per i primi tempi poi presero coscienza del fatto ch’era giusto pagarmi in denaro e così fu nel corso del tempo successivo».
Da chi era composta la clientela?
«C’erano un po’ tutti. Le persone umili, le maestre della Scuola Elementare, le quali davano commissione a Pascalinu, il bidello di quegli anni (parla di Pasquale Esposito, molto conosciuto nel paese, anche per la sua disponibilità con il prossimo e ora passato a miglior vita, NdA) che mi portava le calzature per ripararle. Anche le nostre beneamate “Suore figlie di Santa Maria di Leuca”, anche a loro ho aggiustato le scarpe».
Erano tutti del posto? Pagavano tutti?
«Per la verità c’era chi veniva da fuori (Castiglione, Ruffano, Montesano…) per farsi riparare le scarpe rotte. Riguardo al pagamento, di alcune persone mi accorgevo che non potevano e, sapendo che non se la passavano propriamente bene, cercavo di essere comprensivo e lasciavo correre. Quando andai in pensione la gente mi diceva: come faremo ora senza di te; ci siamo trovati così bene; sei stato molto bravo nel tuo lavoro… Insomma mi lusingavano e mi facevano i complimenti. Ho molto gradito apprezzamento considerazione».
Quella con Donato è stata una bella chiacchierata., una conversazione amichevole e cordiale che si è chiusa con un sorriso ed un saluto riverente e rispettoso.
Sua moglie Brigida, molto gentile ed affine al carattere di Donatucciu, si è allontanata all’inizio della conversazione, rimanendo in disparte.
Un atteggiamento pudico, discreto. Forse per non sentirsi di troppo.
Sebbene ella custodisca tutti i segreti del marito, compresi quelli legati al lavoro.
La figura di Donato è cara a molte persone, molti miggianesi, per la generosità dimostrata e l’impegno profuso nel suo lavoro.
Il suo percorso esistenziale pare venir fuori da uno di quei racconti di Piero Chiara, lo scrittore di Luino; quelle storie romanzate dalle tinte ricche di squisita umanità e tradizione.
Dalle quali fuoriusciva tutta la bellezza del racconto.
Così Dunatucciu, ha incarnato la memoria storica di un mondo ormai lontano e atavico, ma ancora vivo e palpitante di energie vitali.
Egli rimane il depositario ed anche il custode dell’anima antica della tradizione e dei valori veri e autentici della persona, in tutta la sua natura umana e spirituale.
Appuntamenti
#TAURISANOSVAPO, nuova apertura dopo Maglie e Tricase
“Abbiamo sempre lavorato per fornire il miglior servizio possibile, anche esponendoci di persona per cercare di diventare trend setter in questo settore”…

Nuova apertura a Taurisano per Svapo già presente a Tricase e Maglie.
«Già presenti sul territorio leccese con due negozi», spiega Dario Surano, «abbiamo deciso di arricchire il sud Salento con un terzo punto vendita. Lo scopo cardine è di espandere la nostra rete di negozi per avvicinare sempre più persone alla nostra visione».
Infatti, prosegue, «operando nel settore svapo dal 2015, abbiamo affinato esperienza e coltivato la clientela con un rapporto che va oltre il mero aspetto lavorativo. Vogliamo mettere a disposizione, tutta l’esperienza maturata in questo tempo per creare luoghi dove passione e professionalità incontrano il meglio che il mercato della sigaretta elettronica possa offrire. Al centro dell’attenzione mettiamo sempre le esigenze e le richieste di tutti coloro che negli anni si sono approcciati o che si vogliono avvicinare alla sigaretta elettronica».
Come si è arrivati alla nuova apertura?
«Insieme a tutti i nostri collaboratori», premette Surano, «abbiamo sempre lavorato per fornire il miglior servizio possibile, anche esponendoci di persona per cercare di diventare trend setter in questo settore che amiamo e in cui mettiamo tutti noi stessi. Con l’apertura di #TAURISANOSVAPO ci rimettiamo in gioco ma siamo sicuri che riusciremo a vincere anche questa una sfida con l’aiuto e anche l’apprezzamento di tutti i consumatori che si affidano a noi con fiducia».
«Vogliamo che ogni cliente di senta parte del nostro progetto», insiste, «offrire il meglio nel mondo dello svapo, con prodotti di qualità e un servizio che faccia sentire ogni persona importante grazie alla professionalità dei nostri collaboratori.
Tutti insieme ci divertiamo, certamente, ma non dobbiamo mai dimenticare che lo svapo è prima di tutto salute, ovvero uno strumento per abbandonare il vizio del fumo. Se riusciremo a trasmettere questo messaggio in allegria e con il sorriso sulle labbra, secondo me, avremo ancora più successo».
Attualità
Maria Antonietta I di Puglia
È in primo luogo necessario elaborare una strategia di massima che riguarda, per così dire, una più profonda capacità di comprendere, anticipare e soddisfare le attese e le potenzialità del territorio e un aumento del numero dei corsi di laurea e dei dipartimenti, ossia di quelle che una volta (sino al 2010) si chiamavano facoltà….

Unisalento, ecco la prima rettrice
Maria Antonietta Aiello: «Per me motivo di orgoglio diventare la prima rettrice: non ho dubbi che altre ce ne saranno, perché non c’è alternativa a un futuro di reali pari opportunità»
La professoressa sarà rettrice per il sessennio 2025-2031.
Al primo turno il voto pesato per ciascuno dei tre candidati ammessi alla procedura elettorale era stato: Maria Antonietta Aiello, 338,269; Luigi Melica, 278,944; Salvatore Rizzello, 138,239.
Dopo il ritiro degli altri due candidati, ovvero il direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche Luigi Melica e il direttore della Scuola superiore ISUFI Salvatore Rizzello, i voti della comunità accademica si sono indirizzati in blocco, infatti, sull’attuale prorettrice vicaria e ordinaria di Tecnica delle Costruzioni al Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione. Di Marzi (Cosenza), sarà dal prossimo 1° novembre, a prendere il testimone dal rettore Fabio Pollice.
La vera sfida del futuro
di Hervé Cavallera
Il 2025 è un anno importante per l’Università del Salento. Da non molto sono trascorsi i festeggiamenti per il suo 70° anno di vita ed è stato appena eletto, nella persona della prof.ssa Maria Antonietta Aiello, il suo 11° rettore, anzi la prima Rettrice di Unisalento.
Il primo rettore, e inoltre fondatore dell’Università, fu Giuseppe-Codacci-Pisanelli (nel 1955 rettore del Consorzio Universitario Salentino, dal 1956 al 1976 rettore dell’Università di Lecce), quindi Saverio Mongelli (1976-1979), Mario Marti (1979-1981), Alberto Sobrero (1981-1983), Donato Valli (1983-1992), Angelo Rizzo (1992-2001), Oronzo Limone (2001-2007) che mutò (2007) il nome da Università di Lecce in Università del Salento, Domenico Laforgia (2007-2013), Vincenzo Zara (2013-2019), Fabio Pollice (2019-2025).
In 70 anni, ovviamente, non solo è cresciuta l’offerta formativa dell’Università salentina (sorta con la Facoltà di Magistero a cui seguì quella di Lettere e Filosofia), ma è cambiato l’intero panorama nazionale.
L’Università di Lecce fu la terza ad esistere, dopo Napoli e Bari, nell’Italia meridionale continentale.
Oggi numerose sono le università statali nelle diverse regioni del Sud, a cui devono aggiungersi quelle non statali legalmente riconosciute e quelle telematiche. Il che, si capisce, comporta una serie di problemi di natura economica, che crescono ulteriormente pensando al numero consistente di studenti del Sud che preferiscono recarsi in università del Centro-Nord e, non ultimo, alla denatalità che riduce il numero dei giovani.
Mantenere al meglio l’esistente è ciò che diventa immediatamente evidente per chi assurge alla carica rettorale.
Ma “mantenere”, in una realtà sempre più complessa, concorrenziale e globalizzata, non è invero sufficiente. Nel mondo della flessibilità, non si mantiene: si sviluppa. Occorre crescere ulteriormente e divenire sempre più concorrenziali.
Sotto tale profilo il compito che attende la Rettrice, non è affatto facile.
È in primo luogo necessario elaborare una strategia di massima che riguarda, per così dire, una più profonda capacità di comprendere, anticipare e soddisfare le attese e le potenzialità del territorio e un aumento del numero dei corsi di laurea e dei dipartimenti, ossia di quelle che una volta (sino al 2010) si chiamavano facoltà.
Al tempo stesso è opportuno migliorare la qualità dell’assistenza studentesca, dei servizi che si offrono.
Basti pensare agli alloggi, ai collegamenti, alla viabilità, alle mense universitarie.
Si tratta di una serie di obiettivi che – una volta raggiunti – farebbero risaltare l’immagine di una università dinamica, accorta ai bisogni del presente e del territorio, volta all’innovazione.
E’ opportuno che per raggiungere tutto questo la Rettrice sia coadiuvata da uno staff efficiente e coeso.
Certo, quello che si è indicato pare necessario e tuttavia non facile da conseguire in quanto comporta in primo luogo una serie di interazioni con il mondo politico ed economico abbastanza complesse. Soprattutto non sono trascurabili, ad avviso di chi scrive, i dati già rilevati connessi alla denatalità e alla volontà giovanile di spostarsi altrove, anche fuori d’Italia, in vista di una più proficua occupazione dopo aver conseguito la laurea.
Alla luce di quanto sopra il problema diventa allora quello di rendere appetibile – mi si passi il termine – Unisalento.
Affinché questo sia, bisogna tornare ad essere quello che l’università ha voluto essere nel suo significato pieno, come del resto è attestato dalla storia.
Certo, è il luogo ove studiare le discipline che consentono di acquisire le conoscenze e le competenze di base della propria professione per il bene personale e del prossimo, ma in primo luogo è un centro di ricerca di alta cultura.
Solo puntando alla realizzazione di uno stimolante centro di ricerca è possibile dare veramente vita ad una università.
Si tratta, insomma, di mettere totalmente da parte sia l’idea di un mero titolificio sia quella di un’azienda che offre pure velleitarie illusioni.
Un centro di ricerca, con docenti scientificamente qualificati, sarebbe certamente in grado di diventare punto di riferimento dell’utenza studentesca e quindi motore di crescita territoriale proprio perché in sé garante della serietà e della qualità degli studi.
In un momento storico in cui prevale l’innovazione è evidente che solo un serio approfondimento nei diversi campi dello scibile umano può diventare forza attrattiva e positivamente propulsiva.
Come scrive Dante nel Canto VI del Paradiso, grande merito dell’imperatore Giustiniano fu quello di aver tolto dalle leggi, nel suo Corpus iuris, «il troppo e ‘l vano».
Ecco: il compito della Rettrice Maria Antonietta Aiello (e ciò in realtà vale per ogni università) è di snellire le lungaggini burocratiche e di puntare sull’essenziale, ossia sull’apporto di docenti veramente all’altezza del presente, che siano in grado di contribuire, ognuno per il proprio settore scientifico-disciplinare, allo sviluppo della ricerca nazionale e internazionale. Infatti, solamente rendendo ancor di più l’Università del Salento un polo di eccellenza scientifica non soltanto i giovani sarebbero indotti ad iscriversi, ma essa diventerebbe un notevole centro di promozione dell’intero territorio.
Tutto questo, si comprende bene, non si realizza in un batter d’ali e richiede lungimiranza e capacità di costituire un corpo docente di rilievo. È ciò che si augura alla Rettrice neoeletta in un momento storico in cui l’Occidente sembra scivolare nei vaniloqui e nell’asservimento alla tecnologia.
Attualità
Albaservice: Risanamento e tutela dell’occupazione le parole d’ordine
Il percorso di rilancio è stato reso possibile grazie all’impegno del Consiglio Provinciale e alla piena collaborazione dei dirigenti e funzionari dell’Ente….

Dopo oltre un decennio segnato da difficoltà economiche, ammortizzatori sociali e incertezza occupazionale, Albaservice spa, società interamente partecipata dalla Provincia di Lecce, volta finalmente pagina.
Grazie a un lavoro sinergico e determinato, guidato dal presidente della Provincia Stefano Minerva e dall’amministratore unico Marco Miceli, è stato raggiunto un risultato straordinario: dal 2025 nessun lavoratore sarà lasciato indietro. Tutti i dipendenti torneranno all’orario pieno di 40 ore settimanali, senza più ricorso alla cassa integrazione o altri strumenti di sostegno al reddito.
Un traguardo impensabile fino a pochi mesi fa, ottenuto attraverso un’azione politica e amministrativa forte, che ha visto la rimodulazione delle convenzioni quadro tra Provincia e partecipata, relative alla gestione degli edifici scolastici e alla manutenzione della rete viaria, e l’affidamento di nuovi servizi strategici per garantire la sostenibilità dell’azienda.
Il percorso di rilancio è stato reso possibile grazie all’impegno del Consiglio Provinciale e alla piena collaborazione dei dirigenti e funzionari dell’Ente. In soli sei mesi, la nuova amministrazione ha saputo imprimere una svolta concreta, restituendo ad Albaservice un’identità operativa, una prospettiva industriale e una dignità occupazionale.
“Non parliamo solo di un risultato economico, ma di un atto di responsabilità istituzionale e di giustizia sociale. Albaservice torna a essere una risorsa per il territorio, per le scuole, per le strade, per i cittadini, e questo è stato possibile anche grazie alla disponibilità dei lavoratori e al lavoro infaticabile dei sindacati, che ringrazio per il proficuo confronto e la piena convergenza per il raggiungimento di questo importante traguardo”, ha dichiarato il presidente Minerva.
Albaservice rappresenta oggi un modello di servizio pubblico efficiente e vicino alle comunità, con operatori che garantiscono quotidianamente la sicurezza e il decoro del patrimonio scolastico e stradale provinciale. Un ruolo che torna a essere valorizzato, anche grazie alla stabilità lavorativa finalmente restituita a tutte le maestranze.
Anche l’amministratore unico Marco Miceli ha espresso la propria soddisfazione: “Abbiamo lavorato con rigore, visione e rispetto per ogni lavoratore. Questo risultato è la dimostrazione che le partecipate pubbliche, se ben governate, possono essere centri di eccellenza e coesione sociale.”
Il futuro di Albaservice riparte dunque da basi solide: un piano industriale sostenibile, una squadra di lavoro motivata e un ente pubblico che ha saputo credere e investire nel cambiamento.
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