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Caregiver Familiari: «I disabili non siamo noi»

Caregiver Familiari Comma 255 organizza convegno a Tricase. Intervista alla portavoce nazionale Sofia Donato e alla tricasina Stefania Sciurti (D.A.I. Reagiamo). Comma 255 è un collettivo nazionale, di soli caregiver familiari, che da anni si batte per portare in Italia una legge per il riconoscimento della figura del Caregiver Familiare, emancipandolo e riconoscendolo come cittadino con diritti soggettivi propri, slegati dalla persona con disabilità di cui si occupa.

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Caregiver Familiari Comma255, nasce dalla volontà di un gruppo di Caregiver Familiari, composto da genitori e congiunti di persone con disabilità grave, con lo scopo di dare piena attuazione al riconoscimento della figura giuridica del caregiver familiare introdotto nell’ordinamento italiano dall’articolo 1, comma 255, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205.


Con l’aiuto sul posto della tricasina Stefania Sciurti, (presidente dell’Associazione D.A.I. Reagiamo) la portavoce nazionale di Comma 255, Sofia Donato, si è adoperata per organizzare un convegno nel Salento, in programma il prossimo 7 ottobre a Tricase.


Per meglio comprendere le ragioni del collettivo e dei caregiver familiari abbiamo trascorso un pomeriggio con Sofia Donato e Stefania Sciurti e sviscerato gran parte degli aspetti che riguardano chi deve accudire un familiare.


Cosa o chi è il Caregiver Familiare?


Sofia Donato, portavoce nazionale del Collettivo Comma 255


«Rispondere a questa domanda è importantissimo perché troppo spesso gli stessi Caregiver Familiari non sanno di esserlo. Il caregiver familiare è una persona che, ad un certo punto della propria vita, entra nella dimensione di disabilità perché un suo familiare convivente ha un deficit adattivo per una compromissione, originaria o sopraggiunta, della sfera intellettivo relazionale, del ritardo mentale, di un deficit cognitivo. In questi casi un adulto del nucleo familiare convivente deve assumere la responsabilità di quella vita e così nasce il binomio caregiver familiare/persona con disabilità. La vita della persona con disabilità deve essere costruita, in suo nome e conto bisogna costantemente decidere, su esigenze quotidiane di poco conto, come su esigenze sanitarie, come sulla costruzione del suo progetto di vita, passato – presente – futuro. È il caregiver familiare che cerca, costruisce e decide tutta la rete di attività e servizi che ruotano intorno al suo congiunto convivente con disabilità, ed è ancora il caregiver familiare che trasforma quella rete in funzione del sopraggiungere delle diverse esigenze del suo congiunto con disabilità, delle sue diverse tappe di crescita.


Prendere decisioni, anche sanitarie, su un individuo terzo, in assenza di una sua espressa collaborazione, cercare e costruire un comune decodificatore per comunicare con il proprio congiunto e perché questi possa il più possibile riuscire a comunicare con il mondo esterno, dover comprendere le esigenze di chi troppo spesso non sa individuare le proprie sensazioni ed emozioni, ma vive tutto come eccitazione, e doverlo tradurre al mondo, essere sempre in allerta e affrontare ogni accadimento imprevisto e rispondervi in maniera adeguata, sostenere una vita sotto continuo ricatto affettivo, nella consapevolezza che la propria serenità e lucidità, in ogni situazione, contribuisce alla serenità del congiunto con disabilità e quindi da questo dipende tutto il suo ménage quotidiano. Nella necessità di essere traduttori di esigenze, interpreti di bisogni, memoria storica dei propri congiunti con disabilità, il caregiver familiare è costretto a vivere tra una crisi – comportamentale o anche epilettica – del proprio congiunto, ed il rifiuto all’iscrizione nella scuola, tra ricoveri programmati e quelli improvvisi in urgenza, con le continue chiamate dalle scuole perché il discente con disabilità crea problemi e bisogna portarlo via, pena il subire manovre di contenimento quando non addirittura il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), e la continua ricerca di suggerimenti per scegliere tra terapie riabilitative, strategie di crescita, sistemi comunicativi. Una domanda ogni anno si ripresenta davanti al caregiver familiare: “cosa ne farò del mio congiunto con disabilità a partire da settembre?”, preludio a quell’angoscia che accompagna la nostra esistenza del “cosa ne sarà di lui/lei quando io non ci sarò più”. Negli ultimi anni si sente abusare continuamente della definizione di caregiver familiare: attorno alla persona con disabilità agiscono tante figure professionali il cui rapporto è gestito da CCNL, prestatori di cura, in inglese caregiver; esistono i familiari, coloro che in uno spirito di aiuto reciproco, si sostengono. Poi, esistono i caregiver familiari, coloro che sono costretti a rinunciare alla propria individualità per condurre la vita del loro congiunto convivente con disabilità, e sono i caregiver familiari e non altri che l’Italia ha definito con la L. 205/2017 all’art. 1 comma 255 – da cui noi prendiamo il nome».


Per supportare i Caregiver Familiari è nato Comma 255. Ci spiega cos’è e di cosa si occupa?


«Caregiver Familiari Comma 255 è un collettivo spontaneo, nato nel febbraio del 2020 quando per la prima volta, in maniera fugace, qualcuno in Parlamento ha parlato di prevedere un indennizzo economico diretto al caregiver familiare. Alcuni di noi, già in campo da anni, si sono così ritrovati e riuniti. Di lì a poco è scoppiata la pandemia con tutte le sue chiusure che ci hanno gettato nel panico, lasciandoci completamente abbandonati nelle nostre case. Di quel periodo buio non ci ha sconvolto la clausura, a quella siamo abituati, come siamo abituati alla dedizione continua verso il nostro congiunto convivente con disabilità. Ma ci ha colpito l’abbandono totale da parte dello Stato e delle Regioni che di punto in bianco hanno chiuso tutti i servizi alla persona con disabilità contando sulla nostra abnegazione e presenza, senza riconoscerci, in alcun modo, né un contributo, né un ringraziamento pubblico. Nel periodo del covid, che per le nostre famiglie ha significato quasi tre anni di interruzione di ogni attività, ci siamo sostenuti l’un l’altro con videocall quotidiane che duravano anche 4 ore. E via via, da tutto l’arco della penisola e dalle isole, abbiamo cominciato a conoscerci e riconoscerci. Nei monitor degli altri vedevamo riflesse le nostre stesse vite, le nostre stesse fatiche, l’attenzione continua verso i nostri congiunti che richiedono una supervisione ininterrotta, i dubbi e le incertezze uguali per tutti noi, abbiamo cominciato a confrontarci. Un gioco ci proponevamo l’un l’altro: parlami di te. E tempo massimo 20 secondi ogni caregiver familiare passava a parlare del proprio congiunto rimanendovi imbrigliato. Noi non esistiamo più neanche nel nostro stesso immaginario.


Da questo, la presa di coscienza che la questione caregiver familiari impone un cambio di visione e di narrazione perché fino ad ora si è parlato di caregiver familiari in funzione del bisogno assistenziale della persona con disabilità di cui questi si occupa, confondendo le necessità della persona con disabilità con quelle dei caregiver familiari. Ma i caregiver familiari sono cittadini con diritti soggettivi propri. La loro condizione va sostenuta perché ha un valore sociale. È necessario ridurre al massimo lo stress psicofisico che da quella condizione deriva e ridare ai caregiver familiari la dignità di cittadini. L’agire dell’Amministrazione nei confronti del caregiver familiare e della persona con disabilità di cui si occupa, quindi, non può essere per sottrazione e va distinta perché si tratta di individui diversi, ognuno con diritti soggettivi propri».


Quali le finalità che perseguite?


«La nostra è una battaglia di emancipazione e dignità che necessita di una riflessione approfondita da parte della politica che porti ad un cambiamento culturale per essere compresa. È nostro dovere e necessità interloquire con tutti, rimanendo equidistanti dalla politica di parte, senza pregiudizi né scelte di schieramento, convinti che il diritto delle persone sia l’intersezione tra le diverse idee e ideologie. La nostra ambizione è ottenere una legge nazionale che ci ridia dignità e ci sollevi da questa visione della società che ci assoggetta alla nostra condizione di caregiver familiari pretendendo la perdita dei nostri stessi diritti individuali».


Lei insiste molto sul concetto di emancipazione del caregiver familiare. Perché?


«Dopo anni, decenni, vissuti nella condizione di caregiver familiare, spesso senza alcuna prospettiva (mai auspicata né auspicabile) che si decada dal ruolo, in questa società che pretende di farci rientrare nel sistema informale dei servizi e di farci firmare patti con i servizi di prossimità per le mansioni che “dobbiamo” impegnarci ad assolvere, noi caregiver familiari dimentichiamo perfino la nostra propria identità, annichiliti dalla mancanza continua di rispetto della nostra individualità, del nostro ruolo, del dato di realtà per il quale spendiamo la nostra vita per salvaguardare al massimo i diritti e la dignità dei nostri congiunti con disabilità, anche davanti a quei servizi di prossimità che troppo spesso si mostrano oppositivi. Gli stessi che pretendono di sottoporci a corsi di formazione per una vita che conduciamo da decenni e della quale siamo da subito, necessariamente, i registi».


Se capisco bene dobbiamo spostare l’attenzione sull’individuo caregiver familiare. Quali sono, quindi, le esigenze specifiche dei caregiver familiari di cui chiedete il riconoscimento?


Stefani Sciurti (Associazione D.A.I. Reagiamo)


«La prima autonomia di cui un individuo abbisogna è quella economica ed i caregiver familiari non fanno differenza. Ci sono caregiver familiari che hanno dovuto rinunciare al lavoro e vivono con ciò che percepisce il proprio congiunto con disabilità: la persona con disabilità non ha quello che gli spetta ed il suo caregiver familiare vive di stenti. Quando poi la persona con disabilità viene a mancare ed il caregiver familiare, ormai fuori dall’età lavorativa, gli sopravvive, si ritrova in una situazione di totale indigenza e solitudine, senza alcuna prospettiva. Che lo Stato, la Regione, la società tutta, lo accettino o, peggio, lo prevedano, è una aberrazione. Un sostentamento economico diretto al caregiver familiare affiancato ad un sistema di politiche attive del lavoro è l’unica strada possibile per arrivare ad una vera emancipazione ed al recupero, per i caregiver familiari, della dignità di cittadini.


Tenere bene a mente il distinguo fra individuo caregiver familiare e individuo con disabilità consentirebbe poi di comprendere che il caregiver familiare non necessita di servizi. I servizi sono la risposta dovuta alla condizione di disabilità di un individuo. Ma il caregiver familiare non abbisogna di servizi. È deputato a gestirli. Tutti i servizi resi alla persona con disabilità rappresentano, per i caregiver familiari, solo una violazione continua della loro privacy ed una responsabilità gestionale, a cui ob torto collo non ci sottraiamo».


Quali sono le resistenze che il collettivo incontra?


«Tutta la regolamentazione dedicata ai caregiver familiari è originata dalla distribuzione del Fondo a loro dedicato istituito con L.205/2017, art. 1 comma 254, che negli anni è stato rivisto nelle finalità ed aumentato di risorse. In assenza di una legge nazionale le Regioni si sono mosse, invece, in una commistione fra individuo caregiver familiare e individuo con disabilità e seguendo lo schema utilizzato per la distribuzione del fondo per la non autosufficienza, fondo dedicato alle persone con disabilità. Questa logica non considera affatto i diritti individuali del caregiver familiare e sta portando a considerarlo come il sostituto “tuttofare” dei servizi dovuti alla persona con disabilità – da sempre, come si sa, del tutto insufficienti – attribuendogli doveri in un principio di una sua non altrimenti definita “volontarietà” di scelta del suo ruolo di caregiver familiare».


Perché considerate pericoloso e sbagliato utilizzare i principi del FNA per individuare i Caregiver Familiari e valutare gli aiuti che necessitano?


«Riteniamo illogica ed ingiusta qualsiasi commistione fra individuo caregiver familiare e individuo con disabilità, perché non considera i diritti individuali del primo ledendoli.


L’appaiamento fondo non autosufficienza ai criteri di accesso al fondo caregiver familiari di cui alla L. 205/2017 art. 1 comma 254, origina da un Decreto Interministeriale che si sta rinnovando di anno in anno uguale a sé stesso. Ma esso prendeva spunto da “urgenze” individuate a causa del periodo pandemico. Essendo stata dichiarata conclusa la pandemia attendiamo che si rivedano i criteri aprendo una riflessione politica a più ampio raggio e valutando l’evidenza che lo stesso periodo pandemico ha fatto emergere sui diritti e le rivendicazioni di noi caregiver familiari, ampiamente da noi testimoniati, e, auspicabilmente, iniziando a considerare l’indipendenza giuridica dell’individuo caregiver familiare dall’individuo con disabilità.


Va poi considerato che la legge di rango primario che nel nostro ordinamento giuridico definisce la disabilità è la L. 104/1992 ed essa, all’art. 3 comma 3, definisce la disabilità grave. Gravissimo è pertanto una definizione introdotta dal DM del 26 settembre 2016 ma non supportata da legge di rango primario. Detto DM, peraltro, svincola la disabilità dall’essere una condizione di vita, come invece introdotto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (L.18/2009) e riporta l’individuazione degli aventi diritto ad accedere al FNA solo in base a precise patologie o sindromi e livelli di gravità.


La “disabilità” in quanto “condizione di vita” può essere generata da una patologia o da una sindrome, o da un evento traumatico singolo (trauma da parto, incidente, ecc.) La rigida definizione delle patologie ammesse per accedere al FNA e dei livelli di gravità indicati per ogni specifica sindrome o patologie – es. l’autismo solo livello 3 – determina l’esclusione dal Fondo di una numerosa platea di persone con disabilità, soprattutto di coloro la cui condizione invalidante origina da una compromissione della sfera intellettivo relazionale e cognitiva.


La selezione degli ammessi al FNA che ne deriva impone di aprire con celerità e forza un tema di inappropriatezza dei criteri del FNA nella valutazione ed individuazione del Caregiver Familiare, figura che va riconosciuta – a nostro avviso – solo nei casi di condizione di disabilità generata da mancanza di autodeterminazione propria dell’individuo con disabilità».


 Quindi quali sono i principi e criteri che chiedete vengano assunti per regolamentare gli interventi a supporto dei caregiver familiari?


«I criteri che necessariamente bisogna inserire in un processo culturale che dia dignità e valore ai caregiver familiari sono:


  • I caregiver familiari sono cittadini e come tali debbono avere riconosciuti i propri diritti individuali. Non si può quindi continuare a ragionare sui caregiver familiari in funzione delle persone con disabilità.

  • Il caregiver familiare è un familiare, nell’accezione più ampia possibile dei rapporti familiari riconosciuti dalla nostra società, ed è convivente. Il caregiver familiare si misura per lo stress psicofisico che la sua condizione gli comporta; se può chiudere una porta, se ha degli spazi solo suoi, se il suo spazio familiare, la sua casa, il luogo del suo riposo non è condiviso con il suo congiunto con disabilità, non è un caregiver familiare, ma un individuo che, secondo il principio di sussidiarietà e di solidarietà ribadito dal nostro ordinamento al diritto di famiglia, aiuta un suo congiunto. Lo stesso diritto di famiglia al titolo XII prevede le situazioni in cui all’interno del nucleo familiare ci siano “persone prive in tutto o in parte di autonomia” ossia non del tutto capaci di agire. È in questi casi che, per noi, esiste il caregiver familiare; esiste, cioè, laddove la persona con disabilità nasca priva o perda nell’arco della sua vita le facoltà mentali, la capacità di agire e la possibilità di autodeterminarsi in maniera autonoma. È in questi casi che per noi si deve riconoscere alla persona con disabilità l’ausilio del caregiver familiare, ricordando però che il caregiver familiare è un cittadino egli stesso, soggetto di diritti, autonomo rispetto alla persona con disabilità che assiste, e titolare di esigenze specifiche. L’Italia è uno stato di diritto che riconosce i diritti soggettivi ad ognuno dei suoi cittadini.

  • La fattispecie di disabilità su indicata ed esplicitata comporta la mancanza di volontarietà del caregiver familiare nell’assumere la propria funzione. Il caregiver familiare fa una vita per due. Lo sforzo è continuo e totalizzante perché la persona con disabilità non riesce ad individuare, determinare e comunicare cosa voglia, quali sensazioni ed emozioni provi, se una scelta, anche sanitaria, è idonea e rispondente alle sue aspettative. Lo stress psico fisico di un caregiver familiare è continuo: per le scelte che si devono fare per un soggetto terzo che non può contribuire a quelle scelte né esprimerne contrarietà; per la costruzione del tempo del proprio congiunto perché ogni singolo momento della giornata va immaginato, programmato, impegnato e monitorato, e, in assenza di capacità di farlo in autonomia da parte della persona con disabilità, questa responsabilità resta in capo al caregiver familiare.

  • In ultimo, esiste un problema di rappresentanze che vengono ascoltate sui temi dei caregiver familiari a qualsiasi livello istituzionale. Proprio in virtù di un distinguo giuridico fra individui, le organizzazioni ed associazioni rappresentative delle persone con disabilità sono legittimati a qualsiasi intervento in difesa dei diritti delle persone con disabilità ma non è possibile affidare loro la rappresentanza e rappresentatività sui temi dei caregiver familiari.


Di rimando, il riconoscimento dei caregiver familiari nelle condizioni di disabilità da noi individuate consentirebbe a questi di essere riconosciuti come interlocutori e rappresentanti validi per la disabilità intellettivo relazionale e con ritardo cognitivo, condizione di vita di chi certamente non ha capacità propria di partecipare ai tavoli di concertazione e confronto, ma la cui “simbiosi” con il caregiver familiare consente a quest’ultimo di rappresentarli a pieno, come fa in ogni atto quotidiano della vita.


Il caregiver familiare è la persona che più di tutti può rappresentare il proprio congiunto con disabilità intellettivo relazionale e ritardo cognitivo. La sua conoscenza e la “simbiosi” che si crea nel binomio necessitano di un caregiver familiare per portare all’attenzione dell’amministrazione e della politica anche le istanze di quella persona con disabilità. Sono quindi i caregiver familiari gli unici cui va riconosciuta la rappresentanza delle persone che vivono in queste specifiche condizioni di disabilità».


Come spingere questo cambiamento culturale?


«Caregiver Familiari COMMA 255 è e vuole rimanere un movimento spontaneo, che si scioglierà il giorno che avrà ottenuto l’approvazione di una Legge nazionale che ridia dignità ai caregiver familiari. e siamo già contenti che un Disegno di Legge da noi ispirato sia depositato alla Camera dei Deputati (clicca qui). Ma per essere ascoltati a tutti i livelli dell’amministrazione la democrazia ci impone di dimostrare una capacità rappresentativa. Nell’onestà intellettuale che ci contraddistingue riteniamo che questa non sia rappresentata dal costituirci in associazione. Chiediamo solo che chi voglia supportare la nostra battaglia, perché la condivide, sottoscriva il nostro manifesto».


Qual è la situazione in Puglia?


«Tutta la regolamentazione dedicata ai caregiver familiari è originata dalla distribuzione del Fondo istituito con L.205/2017, art. 1 comma 254, che negli anni è stato rivisto nelle finalità ed aumentato di risorse, ma che rimane un fondo dedicato ai caregiver familiari. L’appaiamento FNA ai criteri di accesso al fondo di cui alla L. 205/2017 art. 1 comma 254, origina da un Decreto Interministeriale che si sta rinnovando di anno in anno uguale a sé stesso, pur se nato per “urgenze” individuate a causa del periodo pandemico. Tuttavia, la regione Puglia è una delle poche regioni che, nelle more di una legge nazionale, ha emanato la Legge Regionale 27 Febbraio 2020, N. 3 “Norme per il sostegno del caregiver familiare”. Ma anche questa norma lega il caregiver familiare alla valutazione del bisogno assistenziale della persona con disabilità, disconoscendo in toto il diritto soggettivo del caregiver familiare in quanto persona a sé.


I bandi che si stanno susseguendo in questi anni per l’individuazione ed il sostegno dei caregiver familiari presentano a nostro avviso diverse lacune che continueranno a generare confusione.


Ad esempio, la Regione Puglia intende dare delle prescrizioni al Caregiver Familiare anche se definisce la sua attività di sostegno e cura come volontaria. La volontarietà contrasta con la possibilità di imbrigliare in regole e prescrizioni da seguire e soprattutto con l’imposizione di obblighi ben determinati. Addirittura, si sottopone l’attività del caregiver familiare a verifica a cura dell’ambito territoriale sociale e si aggiunge che nel caso in cui emergesse l’inadempimento rispetto agli impegni assunti si procederà alla revoca della misura. Il tutto in assenza di una specifica indicazione dell’inadempimento, che viene indicato in maniera generica, non si conferisce alcun connotato di gravità all’inadempimento ed inoltre non è dato sapere in cosa debba sostanziarsi visto che le prescrizioni sono diverse e individuano ambiti di intervento molto generici:



  • supportare la persona non autosufficiente nella vita di relazione;

  • concorrere al mantenimento delle capacità funzionali della persona non autosufficiente;

  • aiutare la persona non autosufficiente nella mobilità e nel disbrigo delle pratiche amministrative;

  • integrare le sue attività con quelle degli operatori sanitari e socio-sanitari nell’ambito dell’attuazione del Piano Assistenziale Individuale della persona non autosufficiente assistita;

  • collaborare con il case manager nell’ambito dell’attuazione del PAI;

    Non viene considerato il caso in cui il caregiver familiare sia in disaccordo con il case manager e se un eventuale contrasto possa concretizzare un venir meno alle prescrizioni imposte e quindi la revoca del provvedimento.


Non viene indicata l’autorità che dovrebbe procedere all’accertamento della violazione degli obblighi, la durata del procedimento di verifica ed ancora le modalità di difesa del caregiver familiare e l’eventuale possibilità di fare ricorso, con quali modalità e le tempistiche da rispettare.


Anche la pretesa che il caregiver familiare sottoscriva un atto unilaterale di impegno nei confronti del disabile e dell’ambito territoriale quando l’attività prestata viene definita come volontaria e che sia sottoposta a controllo quadrimestrale senza che tale attività di controllo venga minimamente definita nelle modalità integra una violazione della privacy e della libertà con la quale il caregiver familiare presta la propria opera di assistenza e cura.


Inoltre, la misura che sottopone “le normali attività di cura e assistenza del caregiver familiare in favore della persona non autosufficiente” alla verifica a cura dell’Ambito Territoriale Sociale crea una disparità tra i nuclei familiari: il controllo avverrà solo nei casi di nuclei familiari che avranno la necessità di chiedere l’accesso a tale sostegno e lo ottengano. È come dire che laddove l’ente pubblico non eroga servizi può abdicare al proprio ruolo di supervisore, quando, per norma, la persona con disabilità è in carico all’ente locale».


Come pensate si possa intervenire in Puglia?


«Come in tutta la penisola riteniamo necessario un cambiamento di paradigma culturale sul caregiver familiare. Bisogna riportare l’attenzione sul fatto che il caregiver familiare è un individuo egli stesso con diritti soggettivi propri e che non tutte le condizioni di disabilità obbligano l’individuazione di un caregiver familiare.


Questa è una scorciatoia che l’amministrazione pubblica sta trovando per individuare qualcuno a cui demandare tutte le incombenze che i servizi di prossimità non sono in grado di assolvere. E ciò è inaccettabile. Per questo il 7 ottobre, a Tricase, stiamo organizzando un convegno per discutere con l’amministrazione, la sanità, i sindacati e la politica che non si può continuare su questa strada».


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Dopo 15 anni torna Santa Fumìa

La Chiesa di Santa Eufemia, o Santa Fumìa come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano….

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Sono trascorsi più di 15 anni, da quando il rione specchiese di Santa Eufemia si è vestito a festa l’ultima volta per onorare la martire cristiana.

Nella serata di sabato 12 luglio ritorna La Festa di Santa Fumìa, evento organizzato, con il patrocinio del Comune, dall’associazione Santa Eufemia che ha ritenuto necessario ritornare alle radici della storia del luogo sacro simbolico con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale e spirituale del territorio.

La Chiesa di Santa Eufemia, o Santa Fumìa come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano.

Come il culto della santa sia arrivato in Occidente e perché a Specchia, i libri di storia locale non lo riportano.

Nell’anno in corso del Giubileo, questo luogo sacro assume un significato storico, in quanto è poco distante dall’antica Via dei Pellegrini, l’itinerario che i fedeli dei secoli scorsi percorrevano per raggiungere il Santuario di S. Maria di Leuca, oppure in senso contrario, la città santa di Roma, eleggendo la chiesetta a luogo di riposo spirituale e fisico, come testimoniato dagli oggetti antichi ritrovati intorno.

Il programma della serata prevede, alle 19, la celebrazione della santa messa, presieduta da don Antonio Riva, parroco di Specchia. Alle 20, il “Kids Diy!” Creative workshop, a cura di Cicciopasticcio, laboratorio artistico-espressivo per i più piccoli.

Dalle bancarelle collocate nel parchetto della Chiesa di Santa Eufemia, sarà possibile acquistare dei manufatti artigianali e gustare dei prodotti tipici agroalimen-tari dallo stand gastronomico.

Alle 21,30, il concerto di Io te e Puccia, gruppo musicale coordinato dal cuore e dalla mente di Puccia (voce e fisarmonica degli Après La Classe), con Manu Pagliara e Mike Minerva (chitarra e basso dei Bundamove), Gabriele Blandini (tromba di Manu Chao e Bundamove), Gianmarco Serra (batterista degli Après La Classe) ed Edo Zimba (tamburellista degli Zimbaria, e figlio del grande Pino).
L’evento si svolgerà in un clima di rispetto, sobrietà e attenzione al valore del luogo,con l’obiettivo di trasmettere «senso di comunità, radicamento e bellezza» e il rispetto dell’ambiente.
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A Tricase “PROXIMA”: il cibo racconta il territorio

Domani, presso l’ex Mattatoio comunale di Tricase, oggi sede del Laboratorio di Comunità

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Sabato 5 luglio, l’ex Mattatoio comunale di Tricase – oggi sede del Laboratorio di Comunità (in foto durante un precedente Open day) – apre le sue porte per ospitare “PROXIMA – Diffondiamo produzioni di prossimità”, un evento dedicato al cibo sano, locale e accessibile, organizzato nell’ambito del progetto europeo FOOD4HEALTH.

Promosso dal Laboratorio di Comunità di Tricase, in collaborazione con il Comune di Tricase e il CIHEAM Bari, PROXIMA non sarà un semplice open day, ma un’occasione concreta per riflettere – e assaporare – il legame profondo tra alimentazione, territorio, sostenibilità e comunità.

Il programma si apre alle 18:30 con un talk pubblico dedicato alle politiche del cibo, che vedrà la partecipazione di esperti, amministratori locali, rappresentanti di reti e associazioni del territorio. Un confronto aperto su salute, produzione etica, scelte alimentari consapevoli e promozione delle economie locali.

Dalle 19:00, spazio al gusto e alla scoperta:
Mercato agricolo e artigianale con i produttori locali
Mostra pomologica dedicata alla biodiversità
Visite guidate ai laboratori del centro rigenerato

A seguire, dalle 20:00, si terranno laboratori tematici e show cooking, pensati per adulti e bambini, con momenti esperienziali e didattici.

La serata si concluderà alle 21:00 con le degustazioni a base di prodotti locali e a km zero, seguite dall’esibizione del cantautore P40, per chiudere in musica un evento che unisce cultura, cibo e partecipazione.

“Un momento di festa, ma anche di consapevolezza – spiegano gli organizzatori – per far conoscere un luogo rinato e un modello di sviluppo possibile, che parte dalle persone, dalle reti e dai territori”.

L’iniziativa è aperta a tutti: cittadini, famiglie, produttori, curiosi e appassionati di buon cibo. Un invito a scoprire, attraverso il gusto e il dialogo, le potenzialità di una comunità che crede nell’innovazione sociale e nella prossimità come valore.

📍 Info utili
🗓️ Sabato 5 luglio, dalle ore 18:30
📌 Laboratorio di Comunità – Ex Mattatoio, via Marina Serra 53, Tricase
🎟️ Ingresso libero

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Nchiana scindi a Tuglie

Domenica gara podistica 250 atleti correre lungo un percorso cittadino di 9 km. Si svolgerà anche una passeggiata solidale di 4km, a cura dell’associazione donatori di sangue Fidas con il ricavato devoluto in beneficenza

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Terza edizione della ’nchiana scindi, la gara podistica organizzata dall’associazione sportiva dilettantistica podistica Tuglie, che vedrà oltre 250 atleti correre lungo un percorso cittadino di 9 km.

Appuntamento domenica 6 luglio, a partire dalle 19,30.

Insieme alla gara competitiva si svolgerà anche una passeggiata solidale di 4km, a cura dell’associazione donatori di sangue Fidas.

«L’intero ricavato di questa camminata sarà devoluto in beneficenza», dichiara il presidente dell’ asd podistica, Francesco Caputo, «crediamo che lo sport debba anche essere uno strumento di solidarietà e vicinanza concreta. La nostra associazione è anche amicizia, divertimento, armonia: questo è lo spirito che ci unisce e guida in tutte le manifestazioni che organizziamo, a cui partecipiamo con entusiasmo e dedizione».

Ritrovo per la partenza in piazza Garibaldi; il percorso di 9 km si snoderà tra le strade principali di Tuglie e comprenderà alcune arterie che collegano la collina di Montegrappa, particolarmente suggestive all’ora del tramonto per il panorama di cui si potrà godere.

«La nchiana scindi non è solo una gara, è anche la celebrazione della forza, della resilienza e dell’amore per lo sport», afferma Chiara Boellis, assessora allo sport di Tuglie, «ogni passo fatto sarà una testimonianza dell’impegno, della preparazione e della capacità di superare i propri limiti».

Al termine del percorso saranno premiati: il primo atleta giunto al traguardo maschile e femminile, i primi cinque atleti di tutte le categorie FIDAL previste M/F) per le categorie allievi, juniores e promesse: unico gruppo), gli atleti che raggiungeranno il traguardo nelle posizioni: 50ª, 100ª, 150ª, e così via, fino alla fine della classifica e le prime tre società con il maggior numero di arrivati, sia maschili che femminili.

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