Approfondimenti
Essere salentini. Per noi vuol dire…
Cosa vuol dire essere salentini oggi? Il dibattito continua. Gli interventi del presidente del Lecce Saverio Sticchi Damiani, del regista Edoardo Winspeare, dell’attore e regista teatrale Marco Romano e del chitarrista Salvatore Cafiero
SAVERIO STICCHI DAMIANI, PRESIDENTE DEL LECCE
«Tifare Lecce il modo più intenso e profondo di esprimere la propria salentinità»
«In questi sette anni da presidente del Lecce ho potuto constatare di persona che cosa vuol dire essere salentini».
Non credo di sbagliarmi se dico che il modo più bello, più intenso, più profondo di essere salentini è tifare per il Lecce. Si vive un senso di appartenenza unico: essere tifosi giallorossi va oltre la cittadinanza, oltre il territorio: accomuna l’intero popolo salentino sparso per il mondo.
Tutti i tifosi che vivono nel nord Italia e nel resto d’Europa, che spesso incontro in occasione delle trasferte, in quel momento vivono appieno ed intensamente la loro salentinità.
Quella giornata nel settore ospiti, a supporto della loro squadra di calcio, al fianco dei loro compaesani, per loro rappresenta un “viaggio” a casa: un modo intenso, il più intenso possibile, di vivere la propria salentinità, pur non trovandosi nel Salento.
Ecco, questo mi ha fatto capire che la salentinità più piena, più profonda, si può vivere anche e soprattutto attraverso il sentimento di amore e di passione verso la squadra che rappresenta il proprio territorio.
Il mio modo di sentirmi salentino è stato ed è quello di essere presidente della squadra non per business, non per apparire o per altre finalità.
Vivo il mio ruolo come una sorta di rappresentante del territorio, del popolo salentino.
Dico sempre che la squadra non va in campo solo in quei 90 minuti della partita domenicale, sarebbe troppo poco. La squadra deve stare in campo tutti i giorni, mettendosi a disposizione del territorio, del sociale, delle iniziative di solidarietà.
Abbiamo il dovere di essere presenti negli ospedali, favorire iniziative sociali, andare da chi è ammalato ed è solo.
Non potete immaginare che compagno di vita sia il Lecce per la gente che è sola o ammalata.
Ho scoperto che tanti, grazie al Lecce, trovano un motivo per sorridere e distrarsi dalla solitudine e dalla sofferenza.
Proprio tutti questi fattori, il Lecce come elemento di salentinità, la solidarietà, la compagnia a chi è solo ed ammalato, mi hanno ulteriormente spinto e stimolato in questi anni a fare le cose seriamente.
Sono cosciente del ruolo sociale mio e di tutto il mondo giallorosso: non sono solo il presidente di una squadra di calcio, rappresento un simbolo che unisce e stimola forti sentimenti. Per questo mi sento moralmente obbligato a fare le cose per bene e farle nell’interesse della gente e dell’intero Salento».
Saverio Sticchi Damiani
EDOARDO WINSPEARE, REGISTA
«Salento terza isola d’Italia. Ci si sente accolti e coccolati»

Edoardo Winspeare sul set di “Didì“ il nuovo film in lavorazione
«Il Salento è la mia Heimat (casa, piccola patria) come si dice in tedesco. Patria è l’Italia, meglio l’Europa, ma la mia Patria del cuore, è il Salento. È la terza isola d’Italia: è una penisola ma è come se fosse un’isola, perché staccata dal resto dello Stivale.
Soprattutto il Capo di Leuca è il luogo dove la gente ti saluta ancora con «buona vespra a signurìa».
In me non vi è una goccia di sangue salentino, né pugliese, ma mi sento salentino al 100%! Qui ci si sente accolti e coccolati. Forse non si guadagna bene; il territorio è imbruttito dallo scarso rispetto ambientale, c’è immondizia dappertutto; la Xylella ha massacrato i nostri olivi; e poi per quell’isolamento di cui parlavamo prima, ci si arriva con estrema difficoltà…
Nonostante tutto, c’è una dolcezza, una mancanza di aggressività, che noto e mi manca soprattutto quando sono fuori.
È tutto oggettivamente molto diverso dal resto della Puglia, a cominciare dall’idioma che è un siciliano dolce: addirittura più bello del siciliano.
Vi è qualcosa di retorico, come le definizioni che ci caratterizzano: “lu sule, lu mare, lu ientu”, o “simu tutti salentini”, “ballati la pizzica”…
Tutti elementi che fanno parte della rinascita salentina alla quale anche io credo di aver contribuito. Negli anni ’90 era importante l’identità del territorio, partendo dalla storia antica, dalle caratteristiche linguistiche, storico-culturali e gastronomiche. Una volta acquisite, bisognerebbe andare oltre l’autoproclamazione e cominciare a prenderci cura del territorio per meritare la propria salentinità, che vuol dire anche essere cittadini meritevoli di questa Terra.
Essere salentino per me è molto importante: l’identità di Patria è un concetto concentrico che parte dalla “mia” piccola Depressa per poi abbracciare una comunità sempre più ampia: il Salento, la Puglia, il Meridione, l’Italia, l’Europa e, infine, il mondo.
La nostra è anche una terra di grandissimi uomini, a partire dal padre della letteratura latina, quel Quinto Ennio (III secolo a.C.) che si definiva “Tria Corda”, tre cuori, per la sua conoscenza di ben tre lingue: il latino, il greco e l’osco. Se ci pensate bene la letteratura latina è nata qui: Pacuvio di Brindisi, Livio Andronico di Taranto e Quinto Ennio di Lecce.
Il Salento era il ponte naturale, geografico, culturale fra il mondo greco e quello latino. E poi i miei miti: Don Tonino Bello, Carmelo Bene ed Eugenio Barba. Con il loro non-conformismo, il non seguire il gregge, la loro originalità.
In questo si avverte la loro insularità. Perché, in fondo, il Salento è un’isola e, speriamo, possa anche essere felice».
Edoardo Winspeare
MARCO ANTONIO ROMANO, SCRITTORE, ATTORE E REGISTA TEATRALE
«È un caso se siamo nati qui, ma non è un caso se siamo rimasti»
«Sono in auto. Forse sono un salentino atipico, mi dico mentre guido e rifletto: cosa può significare per me essere salentini oggi?
Bell’interrogativo. Penso che, per assolvermi, scriverò che la condanna di ogni essere umano è, forse, quella di poter vedere il mondo dallo spazietto di vetro rotto che la finestra della vita gli concede: la soggettività.
I grandi uomini magari hanno campi visivi ampi, cosicché sanno cogliere la vita in più ampi orizzonti; invece quelli come me ripiegano guardando la realtà dallo sghimbescio del proprio strabismo che confonde i piani e da dietro un astigmatismo che sfuma i contorni alle cose. Dunque parlerò solo a titolo personale, armeggiando con questa mia soggettività sfocata e obliqua, senza scomodare l’Einsicht di Heidegger che tanto diede filo da torcere al me studente di Filosofia di qualche decennio fa.
Sono un salentino atipico se non sono particolarmente fanatico del mio Salento? Non lo so.
Se non lo sventolo come un vessillo davanti al turista o allo straniero, o quando sono io extra fines; se ci sono posti notissimi del Salento che non conosco, se non sono un appassionato nemmeno della squadra del Lecce?
Sono atipico se non ascolto la pizzica, e men che meno la ballo? Se non ho a casa un tamburello? Ma nun è ca su ieu? Ma non è che iti chiestu alla persona sbaiata? Mentre penso così, mi accorgo che sto pensando in dialetto.
E lì realizzo: ecco, la lingua! La strada dei miei pensieri è lastricata del mio dialetto salentino. E intanto che penso ho parcheggiato davanti al mare e mi si apre il cuore sul ponte del Ciolo.
Ecco perché, forse, sono rimasto e non sono mai andato via, dal Salento. Perché sono figlio di parole antiche che risuonano dentro di me e di un mare che c’era prima di quelle parole, da prima ancora di dirci salentini.
Allora, forse, essere salentini oggi è essere capaci di conservare luoghi come questi che ho davanti agli occhi e parole che li abitano. Perché è un caso se siamo nati qui, ma non è un caso se siamo rimasti, per diventare ciò che siamo: salentini.
È contendere al futuro globale, che spiana i dettagli e le identità, un passato pizzuto come gli scogli di mare, nnudacato come gli ulivi e le schiene dei vecchi.
È sapere restare, oppure sapere tornare, qui, nello scirocco d’Italia. Per non correre il rischio di essere, a breve, intelligenze artificiali. Senza radici, come ogni tecnologia.
E in fondo ogni tanto anche io chiedo “Cci ha fattu lu Lecce osci? Ha persu o ha vintu?”. E pure io mi incanto a guardare una mano che scrive col sangue su un tamburello il dolore di un ragno che balla.
Tiro il fiato, forse sono ancora un salentino: non abbastanza esaltato da credere che après nous le déluge, non così poco da dimenticare che come noi, che siamo l’abbraccio di due mari, esistiamo solo noi».
Marco Antonio Romano
SALVATORE CAFIERO, CHITARRISTA
«Abbiamo una marcia in più»

Salvatore Cafiero, di Miggiano, chitarrista di Raf e Grignani con
moltissime altre collaborazioni (Elodie, Tiromancino, Dolcenera, ecc.), due volte sul palco di Sanremo e attivo
in vari tour e in studio recording
«Essere Salentini? Per me tutto si racchiude nell’avere una marcia in più e vi spiego il perché.
Siamo nati e cresciuti in una terra dove regna la bellezza in tutte le sue forme, la bellezza del mare, del clima, della natura, del cibo. Ed anche la bellezza dei sentimenti tramandati, intrisi di passionalità e legami di sangue che vanno oltre il senso più poetico immaginabile.
Tutto questo nei pregi ma anche nei “difetti” di questa terra, difetti intesi come limiti.
Per esempio, e lo dico per esperienza diretta, la lontananza dai centri nevralgici delle “opportunità”.
Un aspetto che diventa nel tempo, attraverso il sacrificio, un punto di forza: ci si concentra ad accrescere il proprio talento, allenandolo fino a farlo diventare tagliente come una lama.
Perché sai che è l’unica arma che può farti arrivare lontano, superando il limite geografico. Il valore del sacrificio, dell’impegno, contribuisce a creare bellezza, a tutelare il bene prezioso della famiglia ed anche (e soprattutto) ad alimentare il desiderio di riscatto, non solo per sé stessi ma per tutta la propria terra, così lontana, spesso abbandonata dalla politica che conta e vessata, umiliata, dalla cultura del pregiudizio».
Salvatore Cafiero
Approfondimenti
Vittoria annunciata e confermata per Decaro. Affluenza al ribasso: e ora?
Credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema: come mai tanta gente non va più a votare. E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?
di Luigi Zito
Si sono da poco chiuse le urne per le elezioni Regionali in Puglia, l’affluenza in picchiata, come tutte le stime lasciavamo intendere, si è attestata al 41,85%, cinque anni fa al voto partecipò il 56,4 per cento degli elettori.
In Puglia si è registrata la più bassa affluenza di sempre, anche meno delle stesse Regioni dove ieri e oggi si è votato: Campania e Veneto.
La provincia dove si è votato di più è stata Lecce, con una affluenza del 44%; Taranto con 40,60%, Bari 41,31%, Brindisi 41,94%, BAT 41,22, la peggiore Foggia con poco più del 38%.
Le proiezioni non lasciano spazio a “ribaltoni” di sorta.
Antonio Decaro è dato al 70% non raggiungerebbe il 30% Lobuono che ha già ammesso la sconfitta.
Secondo l’instant poll YouTrendper Sky TG24, nel campo progressista guidato da Antonio Decaro Partito Democratico si attesterebbe tra il 25% e il 29%, seguito dalla lista «Decaro Presidente» stimata tra 11,5% e 15,5%.
Le altre liste della coalizione oscillano tutte tra il 6% e l’8% per «Per la Puglia» e Movimento 5 Stelle, tra il 4% e il 6% per Verdi-Sinistra e tra l’1% e il 3% per i Popolari.
Sul fronte del centrodestra, Luigi Lobuono registra Fratelli d’Italia tra il 18% e il 22%, Forza Italia tra l’8% e l’11% e la Lega tra il 3,5% e il 5,5%.
Le liste minori della coalizione – Noi Moderati, Civici e Sud al Centro – sono tutte comprese tra 0% e 2%.
Ora che la frittata è stata fatta, sarebbe opportuno che qualcuno dei nostri politici ci spiegasse come mai meno di un pugliese su due non si è sentito ispirato nell’andare a votare.
Quali sono i veri motivi: disaffezione alla vita pubblica; poca pubblicità; istituzioni lontane dai cittadini; politici ibernati nelle torri d’avorio; consiglieri regionali poco attenti al territorio ed ai veri problemi dei pugliesi, sanità alla stremo (nella puntata di ieri di Report, la Puglia è ultima nella classifica nazionale per i tempi di attesa delle prenotazioni mediche)?
Ora credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema, la nostra non è una di quelle Regioni democraticamente avanzate (come la Svizzera ad esempio), dove ogni 3 x2 ogni quesito viene posto al popolo che, incalzato da tanta sollecitazione, non va più a votare.
E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?
Sembra, ormai, che l’unico compagno che mai ci abbandona e ci delude nella nostra vita sia il disprezzato cellulare che monitora ogni respiro della nostra giornata: non sarebbe meglio (forse) iniziare a pensare ad un sistema di voto elettronico, in cui ogni votazione, registrazione e conteggio dei voti avviene tramite strumenti digitali?
I vantaggi sarebbero tanti: la velocità del conteggio, la comodità di votare ovunque, si risieda in città o meno, all’estero o in qualsiasi altra parte del mondo; una maggiore possibilità e facilità di far votare persone con disabilità; il risparmio di carta e varie.
Certo le criticità viaggiano alla stessa velocità del web: il rischio di attacchi hacker; la poca affidabilità di molti aggeggi elettronici; garantire la Privacy per tutti (sappiamo bene cosa succede con le fastidiose telefonate dei call che tutti riceviamo sul telefono), e poi la sicurezza.
Ogni innovazione ha pregi e difetti, leggi i Paesi dove hanno già sperimentato il voting, come l’Estonia, il Brasile o l’India che hanno fatto di necessità virtù utilizzando questa novità tecnologica.
Se non iniziamo a pensarci da subito si rischia che, alle prossime elezioni (qualsiasi esse siano), oltre alla penuria di votanti ci ritroveremo anche con Candidati consiglieri e Presidenti eletti che non rappresentano (di fatto) la maggioranza delle volontà dei pugliesi e, se tanto mi dà tanto, tanto vale affidarci alla Dea bendata e sceglierli dal mazzo con una estrazione, risparmieremmo tempo e salute.
📍 Segui il Gallo
Live News su WhatsApp 👉 clicca qui
Approfondimenti
Pompeo Maritati, “Quando i numeri si innamorano (e io ci casco)”
Oggi che sono in pensione, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo, ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”…
L’idea di questo libro nasce in un luogo che, a prima vista, sembrerebbe il meno romantico del mondo: una sala corsi di una grande banca italiana, illuminata da neon impietosi, con pile di dispense, calcolatrici scientifiche e tazzine di caffè che avevano visto giorni migliori.
Era verso la fine degli anni 90, e io, in giacca e cravatta, stavo tenendo un corso di matematica finanziaria a un gruppo di operatori bancari. L’argomento del giorno? Il calcolo delle rate di mutuo con il sistema cosiddetto “alla francese”.
Un nome che evoca baguette, bistrot e chanson d’amour, ma che in realtà nasconde una formula che farebbe piangere anche un ingegnere.
Eravamo immersi in coefficienti, tassi d’interesse, progressioni geometriche e quel misterioso “ammortamento” che, più che un piano di rimborso, sembrava una lenta agonia numerica. E proprio mentre stavo spiegando la logica dietro la distribuzione degli interessi nel tempo, uno degli uditori – un tipo sveglio, con l’aria di chi aveva già capito tutto, ma voleva vedere se anche io lo avevo capito se ne uscì con una frase che mi colpì come una freccia di Cupido: “È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Silenzio. Sorrisi. Qualche risatina. Io, ovviamente, feci il classico gesto da docente navigato: annuii con un mezzo sorriso, come a dire “bella battuta, ma torniamo seri”. E così fu. Riprendemmo la lezione, tornai a parlare di rate, di formule, di Excel. Ma quella sera, solo in albergo, mentre il minibar mi offriva una bottiglietta d’acqua a prezzo da champagne e la TV trasmetteva repliche di quiz dimenticati, quella frase tornò a bussare alla mia mente.
“È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Ma certo! Perché no? Perché non pensare che dietro le formule ci siano storie? Storie di attrazione, di repulsione, di corteggiamenti matematici, di triangoli amorosi (non solo geometrici), di numeri che si cercano, si sfuggono, si fondono. Un’idea folle, certo.
Accostare l’innamoramento, quel sentimento poetico, irrazionale, profondo, all’aridità dei numeri, che per definizione sono freddi, impersonali, astratti. Ma forse proprio per questo l’idea mi sembrava irresistibile.
Così iniziai a scrivere. A spizzichi e bocconi, tra una riunione e una trasferta, tra un bilancio e un report. Annotavo storielle, dialoghi, immagini. Immaginavo lo Zero e l’Uno in crisi di coppia, il Due che cerca equilibrio, il Pi greco che seduce tutti ma non si concede a nessuno. Poi, come spesso accade, la vita prese il sopravvento.
Gli impegni si moltiplicarono, le cartelle si accumularono, e quei fogli finirono in fondo a un cassetto. Lì rimasero, silenziosi, per anni. Fino a oggi.
Oggi che sono in pensione, e che ho tempo per ascoltare le idee che bussano piano, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo. Ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”
E così è nato questo libro. Un libro che non pretende di insegnare matematica, ma di farla sorridere. Un libro che non vuole dimostrare teoremi, ma raccontare storie. Un libro che, se tutto va bene, vi farà guardare i numeri con occhi nuovi.
Approfondimenti
Luglio 1931: “Quando a Tricase, sul Quadrano, c’erano le Colonie”
Una storia intrigante di un secolo fa: nasce su uno sperone roccioso, su uno dei più bei scorci di Tricase Porto. Da opificio per tabacchine a colonia, durante il fascismo; da casa al mare a discoteca nei anni 70…
di Ercole Morciano
La costruzione conosciuta col nome di “colonie” nasce a Tricase-Porto, sul promontorio del “Quadrano”, tra fine Ottocento e primi del Novecento, come magazzino per la prima lavorazione del tabacco in foglie per conto della ditta greca Hartog & C., proveniente da Salonicco, come quella dei f.lli Allatini.
Costruire un magazzino per la lavorazione del tabacco al porto, mentre comportava indubbi benefici per la ditta proprietaria, costringeva le operaie tabacchine a portarsi da Tricase alla marina per lavorare in ogni condizione metereologica e ne siamo certi a piedi nudi, come purtroppo imponevano i tempi.
Costruire un magazzino per la lavorazione del tabacco al porto, mentre comportava indubbi benefici per la ditta proprietaria, costringeva le operaie tabacchine a portarsi da Tricase alla marina per lavorare in ogni condizione metereologica e ne siamo certi a piedi nudi, come purtroppo imponevano i tempi.
Proprio da Tricase, dove le tabacchine erano le meno pagate della provincia e oberate dal cottimo, nel 1905 partì la protesta che infiammò tutta la Terra d’Otranto con uno sciopero che portò ad un lieve miglioramento delle paghe e all’abolizione del famigerato cottimo.

Le tabacchine di Tricase erano “toste” e il loro vessillo scarlatto, recuperato per merito del consigliere comunale socialista Luigi Cavalieri, è ora esposto nella sala consiliare di palazzo Gallone.Tutte le donne del popolo di Tricase erano all’epoca coraggiose e determinate: nel 1917, in piena prima guerra mondiale, sfidarono le dure leggi di guerra che punivano gli assembramenti e scesero in piazza per reclamare pane, pace, lavoro e il rientro dal fronte dei loro uomini, figli-mariti-fratelli-fidanzati.
Le ditte greche Allatini e Hartog, verosimilmente in seguito agli scioperi di cui sopra, decisero di vendere i loro stabilimenti tricasini mettendo fine ad un periodo che, pur foriero di benefici, si caratterizzava per la durezza con cui le lavoratrici venivano trattate e per lo sfruttamento cui erano sottoposte.
Quello dei F.lli Allatini fu acquistato nel 1909 dal neonato consorzio cooperativo, poi Acait, di cui diventò la sede, mentre quello della ditta Hartog, in Tricase-Porto, passò in proprietà della famiglia del direttore dell’Acait, dott. Filippo Nardi.
“Villa Nardi”, nel primo lustro degli anni ’30”, è denominato l’ex tabacchificio Hartog, costruito sullo sperone roccioso sovrastante la baia del “Quadrano” e caratterizzato da una vasta costruzione a piano terra, con vari ambienti adibiti alla lavorazione, al deposito, agli uffici e alle abitazioni.
Edificato con conci di carparo, volte a stella, vaste aree di pertinenza, su un sito tra i più panoramici di Tricase-Porto, l’ex tabacchificio, detto ufficialmente “Villa Nardi”, fu sede di colonie elio-talasso-terapiche durante il fascismo nel triennio 1932-34.
PERCHE’ LE COLONIE
Il regime fascista sosteneva il sorgere delle colonie estive per due ragioni: una di carattere socio-sanitario per prevenire e contrastare malattie dell’infanzia molto diffuse nelle classi popolari (rachitismo, tubercolosi, avitaminosi…) e l’altra di carattere propagandistico attinente l’educazione e la formazione dei cosiddetti coloni, “Balilla e Piccole Italiane”, ovviamente in gruppi separati, di forte impronta nazionalista, bellicista, con particolare riguardo al culto della personalità verso il dittatore Mussolini, in analogia con quanto avveniva già nella scuola di stato.
Nasce così nell’ispettore Valletta l’idea di impiantare una colonia estiva in provincia quale filiazione di quella laziale, molto lontana per mandarvi i ragazzi/e delle famiglie salentine.
Il 3 agosto 1932 egli riceve l’approvazione prefettizia che autorizza la Federazione Provinciale M.S. ad “aprire una colonia estiva per bambini/e di 7-12 anni, nella marina porto di Tricase, presso ‘Villa Nardi’ che sarà intitolata ad Achille Starace”.
Valletta nomina direttrice l’insegnante leccese, Giovanna Astore che il 15 agosto 1932, alle 8.15, prende in carico i “coloni” dalla stazione di Lecce per “rilevare gli altri lungo le fermate della linea Lecce-Zollino-Maglie-Tricase”.
COME FUNZIONAVANO LE COLONIE
Nell’Archivio di Stato di Lecce, tra le carte riguardanti la colonia di Tricase, si conservano l’elenco dei capi del corredo necessario, l’orario delle attività e la “vittizzazione”.
Orario: 6, sveglia; 6-7 pulizia personale; 7-7.30, primo pasto; 8-12, alla spiaggia; 12.30-13.30, secondo pasto; 13.30-16, ricreazione o riposo; 16-19, passeggiata e merenda; 19.30-20.00, terzo pasto; 20.15, silenzio.
Ai piccoli coloni verrà somministrata: la mattina, caffè-latte, marmellata e pane; a pranzo, minestra, pietanza, frutta e pane; per merenda, pane, marmellata, od altro; a cena, pietanza, formaggio od altro, frutta e pane.
Le carte d’archivio ci dicono che l’anno seguente la direzione passò al neo-presidente della Federazione di Lecce Michelangelo Sansonetti, che confermò il personale dell’anno precedente con i relativi incarichi.
Risulta anche che l’assistenza medica era prestata dal dott. Alessandro Caputo, mentre quella religiosa era assicurata dal parroco di Tricase Porto, don Michele Nuccio.
Dalla relazione finale del presidente, densa della reboante e pomposa retorica di regime, di cui si trascrivono alcuni stralci, si apprendono i particolari sulla vita della colonia: “educare i fascisti di domani come li vuole il DUCE [sic], sani, forti, disciplinati e pronti a tutto osare”; durante l’alzabandiera: “Gli occhietti [dei bambini] si levano, il braccio si alza nel saluto romano, e un nome vibra nel coro argentino; DUCE.
Mentre una folla di passanti sosta commossa, più che incuriosita, e riverente si scopre il capo” e si ferma finché non vede di bambini rientrare in colonia “marzialmente cantando Giovinezza”.
Le parole più altisonanti le troviamo nella esaltazione della figura di Benito Mussolini: “Finita la funzione religiosa, di ritorno [dalla chiesa] in colonia, i nostri bambini, dal canto sacro all’inno Giovinezza, passano tra due fitte ali di popolo, suscitando un delirio di entusiasmo per Colui che con tanto interesse e amore attende alla sanità della stirpe… il cui nome resta scolpito nel cuore di tutti…”.
GLI ABUSI
Non è possibile scrivere tutto per motivi di spazio, ma si apprende dalle relazioni archiviate che non mancavano gli abusi.
-
Cronaca3 settimane faScontro frontale sulla SS275, morta una donna
-
Cronaca1 settimana faColpo alla criminalità organizzata: 22 arresti
-
Cronaca1 settimana faTricase: sequestrata villa con piscina
-
Cronaca3 settimane faTricase, ennesimo colpo al distributore automatico
-
Attualità2 settimane faDolcemente, di Tricase, eccellenza italiana della pasticceria
-
Cronaca2 settimane faRitrovata a Morciano l’auto rubata al sindaco di Tricase
-
Casarano1 settimana faLecce, Gallipoli, Casarano, Taurisano e Tricase: un arresto, denunce e segnalazioni
-
Attualità2 settimane fa“Prima di restaurare la piazza comunale, la ditta mette in vendita i cordoli su Facebook”




