Connect with us

Attualità

Hervé Cavallera, le prossime elezioni e l’inesistente formazione politica

La speranza è in una ripresa della partecipazione politica e di scelte responsabili che tengano presenti effettive capacità operative. Ma è solo una sentita speranza…

Pubblicato

il

Le dimissioni personali di Draghi e il conseguente richiamo al voto per il 25 settembre prossimo hanno scatenato una serie di problemi, a prescindere dalle ragioni della crisi del governo e di qualunque considerazione sul medesimo.


In primo luogo i tempi brevi e il periodo della campagna elettorale. Tutto deve essere fatto durante la calura estiva e in una Penisola in cui è sempre insidiosa la presenza del covid-19 (per non dire del rischio di incorrere nel vaiolo delle scimmie). Ciò, si capisce, non è molto piacevole, ma quello che particolarmente colpisce è che i partiti si sono rivelati come sorpresi dall’evento con ripercussioni interne insospettabili per i più e con frenetiche ricerche di alleanze.


Così se da una parte le “diserzioni” e i conseguenti cambi di schieramento di noti ministri manifestano dei malanimi sotterranei e gestioni personalistiche, dall’altra si assiste alla volontà di un “abbracciamoci” meramente legato alla difesa nei confronti del comune nemico, abbraccio che vuol mettere da parte, al momento, delle divergenze radicali.


Il tutto, nel mondo dei social, accompagnato ad un confuso e prepotente fiume di parole che contrasta con la siccità dei veri corsi d’acqua. E di fronte ad un centrodestra che elettoralmente tende a presentarsi coeso, ecco allora il centrosinistra cercare di superare i tanti non secondari distinguo, mentre, sempre al momento, il contiano “Movimento 5 stelle” fa parte a sé.


Tutto ciò induce ad una serie di riflessioni. In primo luogo il fallimento del movimentismo rivoluzionario portato al potere dalle utopie di Beppe Grillo.


In secondo luogo la persistenza di numerosi contrasti che rendono molto difficile l’esistenza in Italia di un reale bipolarismo, il quale poi esiste nel contingente soltanto in funzione di alleanze per la vittoria.


In realtà, ed è questo l’aspetto che in questa sede sembra giusto sottolineare, un reale bipolarismo è storicamente sorto, in Gran Bretagna prima (fine del XVII secolo coi tories e whigs)  e negli Stati Uniti poi, in quanto si trattava di un contrasto di interessi all’interno dell’alta borghesia e della nobiltà (una parte più legata allo sfruttamento della proprietà terriera e l’altra più rivolta al libero commercio). Una contrapposizione politica, insomma, non permeata da visioni ideologiche, come successivamente è accaduto nel resto d’Europa, soprattutto in seguito al declino delle monarchie.


Ciò spiega come oggi in Italia si corra alla formazione di patti elettorali che spesso non scaturiscono da un idem sentire, ma dalla necessità di far fronte comune in nome di vicinanze per così dire post-ideologiche. In questo scenario, qui naturalmente solo tracciato a grandi linee, gioca poi un ruolo prepotente il personalismo, il fascino del leader, accentuato dal mondo della comunicazione di massa.


In tal modo, il cittadino non sempre politicamente addottrinato può scegliere tra Meloni, Salvini, Berlusconi, Letta, Renzi, Calenda, Di Maio, Conte e così via in funzione della capacità empatica di costoro, senza affatto curarsi di analizzare se presentano un articolato programma e cosa questo prevede (e se sono in grado di realizzarlo). Così letteralmente scopriamo che vi sono tanti partiti e partitini, e tanti aspiranti leader che certo rendono più confuse le menti.

E infine vi sono delle parole chiave che si accettano a priori e che vengono agitate come slogan. Si pensi alla cosiddetta Agenda Draghi che sembra essere invocata come un testo sacro e che è semplicemente un programma di lavoro su temi – certamente molto importanti – come il completamento del Pnrr, la riforma del codice degli appalti e la questione energetica, temi che naturalmente qualunque governo post-draghiano dovrà affrontare.


A tutto questo si deve aggiungere (ed è un problema che non riguarda solo l’Italia, ma le nazioni democratiche in generale) l’inesistente formazione politica (non partitica) del cittadino, il quale vota semplicemente in quanto ha raggiunto la maggiore età.


Come se per valutare una concezione della vita, quale dovrebbe essere quella espressa da un partito politico, basti semplicemente essere maggiorenne. Di qui, come si può agevolmente vedere, la presenza su diversi periodici di presunti opinionisti che discettano su tutto, come se il loro punto di vista fosse suffragato da qualche certezza scientifica.


Negli anni si è spesso parlato in Italia, per quanto riguarda la scuola, dell’insegnamento dell’educazione civica, ma tale insegnamento non ha mai avuto un grande successo, anche perché è stata inteso come mera illustrazione del dettato costituzionale.


Insomma, ci si trova di fronte ad un quadro abbastanza frastagliato, amplificato sino allo spasimo dai media, come si tratti di uno spettacolo e non invece di un momento importante della nostra vita civile in quanto si ha più che mai bisogno, in libere elezioni, di una scelta oculata di programmi e persone capaci di realizzarli.


Ciò non è stato mai facile, lo si sa già, ma non si deve deflettere e favorire l’astensionismo dilagante che sta diventando prevalente in tutto il mondo occidentale. Non si va più a votare – si potrebbe dire – perché non ci si fida abbastanza dei politici e si giudica il voto un inutile rito, ma non votando si conferma proprio lo scollamento tra la classe politica, che pur rimane e gestisce la res publica, e i cittadini con il conseguente danno della società tutta.


La speranza è che le future elezioni segnino una ripresa della partecipazione politica e di scelte responsabili che tengano presenti effettive capacità operative. Ma è solo una sentita speranza. Nel futuro occorre non solo un impegno per affrontare i numerosi problemi concreti del presente, ma anche pensare alla formazione di una più oculata e partecipata vita politica.

Hervé Cavallera


Attualità

Xylella dieci anni dopo, domani a PresaDiretta su Rai3

I danni economici causati dal batterio sono stati stimati in 2 miliardi di euro. La produzione olivicola del Salento…

Pubblicato

il

A dieci anni dalla comparsa della Xylella fastidiosa, il killer degli ulivi, PresaDiretta ripercorre la storia del patogeno che ha sterminato 20 milioni di piante in Puglia.

Un viaggio dalla provincia di Bari al Salento per raccontare come il batterio scoperto dai ricercatori del CNR di Bari nel 2013 – e fino a quel momento ufficialmente sconosciuto in Europa – in 10 anni abbia stravolto il tessuto economico, agricolo e paesaggistico del 40 per cento della regione.

Otto mila chilometri quadrati di territorio, una superficie 100 volte più estesa rispetto alla zona infetta iniziale. Oggi le campagne del Salento sono desertificate e abbandonate. Ovunque restano cimiteri di alberi.

I danni economici causati dal batterio sono stati stimati in 2 miliardi di euro. La produzione olivicola del Salento è crollata e si sono persi 5 mila posti di lavoro.

Ma come si è arrivati a tutto questo? L’infezione delle piante, seppur lentamente, avanza ancora. Nel reportage “Xylella, 10 anni dopo” di Daniela Cipolloni e Eleonora Tundo con la fotografia di Matteo Delbò – in onda nella puntata a PresaDiretta lunedì alle 21.20 su Rai3 – Maria Saponari e Donato Boscia, gli scienziati protagonisti della scoperta del patogeno, Salvatore Infantino direttore dell’Osservatorio Fitosanitario della regione Puglia e gli agricoltori che hanno perso centinaia di piante, racconteranno questi lunghi dieci anni di contrasto all’infezione e il “Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia”.

Continua a Leggere

Attualità

A Tricase il cimitero delle vallonee secolari

In piena area Parco, le querce cadono una dopo l’altra. Sul cancelletto (chiuso) si parla di indagini valutative in corso, per lo stupore dello studio indicato sul cartello. Per la responsabile dell’orto botanico Unisalento: “Dobbiamo ricostruire l’habitat che abbiamo stravolto”

Pubblicato

il

a cura di Lorenzo Zito

Quando una quercia cade fa rumore? Forse non abbastanza. Ce lo insegna Tricase dove il boschetto delle vallonee, dimora di meravigliose piante plurisecolari, è diventato in breve tempo e nel silenzio un desolante cimitero.

Noto anche come boschetto della Falanida, dopo esser stato travolto da una tromba d’aria nel 2007, è stato inserito, nel 2010, nell’area di regolare manutenzione del “Parco Naturale Regionale Costa Otranto – S. Maria di Leuca – Bosco Tricase”, anche a tutela dal processo di antropizzazione in atto in zona.

Poi nel 2021, lì in quel rettangolo di terra tra le strade che in centinaia tutti i giorni percorrono per Marina Serra e Tricase Porto, per lo stupore di tutti, una quercia secolare è crollata lungo il muro di cinta attorno al boschetto.

La quercia caduta nel 2021 in una foto attuale

Quando un monumento cade segna la fine di un’epoca. È l’inizio di un declino che, adesso, sembra a tutti gli effetti inesorabile. Sul boschetto cala subito il sipario: il cancello viene chiuso; la recinzione (un tempo in più punti malmessa) è presto rinforzata o ripristinata. Impedisce l’accesso ad uno spettacolo desolante: le querce vallonee (hanno oltre tre secoli di vita), una dopo l’altra, si adagiano al suolo. Girando attorno al perimetro, si scorgono quelle che passando dalla strada (via Finocchiare) non si vedono: se ne contano almeno quattro con le radici per aria. Molte di quelle ancora in piedi parlano anche ad occhi inesperti: le loro condizioni di salute sembrano compromesse, il loro destino potrebbe presto essere lo stesso di quello delle loro sorelle.

Qualcuno se ne starà occupando? Sul cancelletto all’entrata, oggi sotto lucchetto, l’ente Parco ha affisso un cartello, che parla anche a nome del Comune di Tricase: “L’ingresso è interdetto al fine di garantire l’incolumità delle persone e protegge il sito da possibili alterazioni”. Manca una qualsivoglia data, ma (si legge) “sono in corso indagini mirate alla valutazione delle condizioni vegetative sanitarie e statiche dei 30 alberi presenti”.

In calce, il nome di uno studio (di Bologna!) e del dottore forestale cui l’ente Parco ha affidato l’incarico di analizzare la situazione. Componiamo il suo numero, alla ricerca di novità. Le risposte non sono quelle che ci saremmo aspettati.

CHIUSO DA ANNI PER UN SOPRALLUOGO?

Non ero a conoscenza di questo cartello”, ci risponde sorpreso il dottor Vincenzo Blotta, dello Studio Tecnoforest, “anche perché, da parte dell’ente, ho ricevuto solamente mandato per un sopralluogo approfondito, risalente a diverso tempo fa. Era il periodo immediatamente successivo la caduta della prima vallonea del boschetto, quella adiacente il muretto di cinta”.

Ne ricorda l’esito?

Ricordo che presi in esame le vallonee presenti, ed anche la salute della famosa quercia dei Cento Cavalieri. Consigliai di ricoprire l’apparato radicale della vallonea appena caduta, per provare a mantenerla in vita anziché rimuoverla, come si stava per fare. Indicai anche l’opportunità di ulteriori approfondite indagini. Sono esami che hanno un certo costo, ma che personalmente ritengo opportuni, visto il contesto e l’età delle piante in gioco. La situazione poi è particolare anche per una serie di altri motivi. Tra questi la presenza in zona di materiale di riporto (NdA, materiali antropici nel terreno, come possono essere, ad esempio, residui e scarti di produzione e di consumo)”.

Chi legge quel cartello, oggi, pensa che lei stia ancora lavorando al problema.

 “In verità non sa cosa sia stato fatto dopo quel mio sopralluogo, perché non mi compete e perché non mi fu dato alcun altro mandato. Apprendo da voi della caduta di altre vallonee”.

È GIUNTA L’ORA DELLE VALLONEE?

Dato che, come recita uno dei cartelli lungo il perimetro del parco, la quercia vallonea è inserita fra le specie a rischio della Lista Rossa Nazionale, abbiamo interpellato un esperto. Per capire se dopo aver segnato il destino della millenaria vallonea dei Cento Cavalieri (delle cui sorti, appese anche ad un tira e molla tra pubblico e privato, abbiamo spesso parlato in separata sede) e dopo la fine degli ulivi dobbiamo rassegnarci anche a quella delle vallonee.

Ha risposto ai nostri interrogativi la professoressa Rita Accogli, originaria di Tricase e responsabile tecnico dell’Orto Botanico dell’Università del Salento.

Rita Accogli

Dottoressa, come muore una quercia vallonea? Ci dà dei segnali preventivi o è un processo repentino ed inesorabile?

I fattori che portano al decesso della pianta possono essere diversi. Sia edafici, quindi pertinenti alla natura del terreno, che ambientali e climatici. Fondamentali sono pure la presenza e le relazioni con gli animali, che possono danneggiare o proteggere la pianta dall’azione di determinati parassiti. Anche la carenza del giusto quantitativo d’acqua potrebbe essere un fattore di decadenza.

E di conseguenza può pesare anche l’incuria…

È evidente che, essendo piante spontanee, non vengono curate, nel senso agronomico del termine. Ma è anche vero che, se una pianta muore dopo secoli di sopravvivenza autonoma, accende un campanello d’allarme. Un segnale del fatto che qualcosa, nell’habitat in cui si trova, non sta più andando come dovrebbe. Il compito dell’uomo, quindi, oltre che di prendersi diretta cura di queste piante, è quello di preservare e favorire i giusti equilibri attorno ad esse.

Oggi sul territorio sono presenti più soggetti (corpi, enti ed istituzioni) che a vario titolo dovrebbero vigilare sulla salute del territorio. La loro compresenza può diventare un rischio?

Purtroppo, mi sento di dire che per la tutela del territorio siamo all’anno zero. Spesso la compresenza crea confusione e, in assenza di debita regolamentazione, non c’è chiarezza su chi deve far cosa. Questo ha anche una ricaduta sociale: la sovrapposizione di tutti questi enti instilla nelle persone la convinzione che ci sia sempre qualcuno deputato alla cura dell’ambiente al nostro posto. Ne deriva un forte calo di sensibilità, soprattutto nelle nuove generazioni, ed una mancanza di senso civico.

Lei conosce da vicino la realtà di Tricase, in passato vi ha studiato la diffusione delle vallonee. Qual è la situazione sul posto?

Nel 2003, l’Orto Botanico dell’Università del Salento, su commissione del Comune di Tricase, ha effettuato un censimento delle vallonee adulte (dai 30 anni di età in su). Nel territorio ne sono state individuate circa 7mila. Sino alla fine degli anni ’90, nel bosco delle vallonee si contavano più di 10 esemplari la cui età era compresa tra i 350 e i 400 anni. Buona parte di queste oggi non c’è più. È possibile che, in un’area protetta, nel giro di appena venti anni, le condizioni anziché migliorare peggiorino? E nel frattempo, tutte quelle piante che all’epoca non furono censite perché non adulte, che fine avranno fatto, visto che molto spesso sono oggetto di tacita rimozione perché ritenute ostacolo a ristrutturazione e miglioramento delle case di campagna?

Cosa andrebbe fatto, da dove ripartire?

È necessario partire da uno studio pedologico e delle condizioni edafiche, per accertarsi del giusto funzionamento dei cicli biogeochimici, della presenza della giusta micro- e macro-fauna, dei detrivori, della micro e macro-flora, delle specie fungine e batteriche etc. Negli anni, numerose sono state le richieste di tutela del bosco avanzate da associazioni, istituti scolastici, frontisti, cittadini e studiosi che proponevano interventi strutturali che sono stati poi realizzati, come la deviazione delle acque bianche che dal paese passavano attraverso il bosco per poi perdersi verso il Canale del Rio, la recinzione, la regolamentazione della fruizione etc.

Dopo gli ulivi, dobbiamo rassegnarci a perdere anche le vallonee?

Interrogarci sarà il primo passo per scongiurare questo rischio: dobbiamo ripartire dalla rinaturalizzazione dell’habitat, perché lo abbiamo stravolto nel tempo e reso tale da non permettere più alle piante di sopravviverci.

Che valore hanno le vallonee per il nostro territorio?

Intanto il popolamento di vallonee a Tricase è veramente eccezionale, anche su scala mondiale: i vecchi areali del secolo scorso, che ne registrano la presenza anche nei Balcani, in Grecia, Siria e Turchia, se aggiornati darebbero ancora più peso al nostro territorio comunale, dato che le vallonee dei paesi dell’Est stanno progressivamente diminuendo.

A ciò si aggiunga il fatto che a Tricase le vallonee sono legate a doppio filo con la storia del paese. Qui un tempo la pianta veniva coltivata, potremmo dire che fu addomesticata, perché fondamentale per la concia e commercio di pellami. Per cinque secoli le vallonee hanno sostenuto “l’arte del pelacane” che ha rappresentato il motore economico del paese, portando i nostri prodotti anche oltreconfine, a competere coi più ambiti pellami d’Europa.

Andrebbe forse ricoltivata anche una coscienza comune in merito, partendo dai più giovani.

Ti dirò, siamo chiamati quasi sempre a parlarne nelle scuole elementari. Troppo poco agli adulti e quasi mai agli adolescenti. Nonostante le tante normative internazionali le diano risalto, molte scuole sembra abbiano dimenticato la botanica. Ormai, viaggiamo verso una completa cecità vegetale…

 

 

 

Continua a Leggere

Attualità

Da Tricase al palcoscenico nazionale: 3 giovanissimi talenti per 3 ambite posizioni

Quarant’anni di passione e dedizione premiano successi straordinari nel mondo della danza dell’ASD Il Balletto diretto da Elena De Donno.

Pubblicato

il

Il Balletto, fucina di neo artisti nel corso di quaranta anni, ha recentemente festeggiato tre straordinarie affermazioni, a dimostrazione che perseveranza e talento sono il trampolino di lancio per ambiti risultati e palcoscenici prestigiosi. 

Il giovanissimo Davide Piccinni, ha superato con successo l’audizione per l’ammissione al primo Corso del Teatro dell’Opera di Roma.  Una conquista eccezionale che sottolinea il talento del ragazzo e la sua dedizione per il mondo della danza classica. 

Non da meno, Gabriele Chittani, che è stato ammesso al Corso di Diploma Accademico insegnanti, presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma; un ambito percorso molto selettivo che accoglie solo 30 partecipanti.

Ultima, ma non ultima, è Nuara Ciardo, sempre di Tricase, che ha raggiunto un traguardo straordinario con l’ammissione al Corso di Diploma Insegnante di Danza Classica a indirizzo tecnico-didattico presso il Teatro alla Scala di Milano, un’opportunità concessa solo a 20 giovani talenti provenienti da tutta Italia.

 

 

Continua a Leggere
Pubblicità

Più Letti

Copyright © 2019 Gieffeplus