Gagliano del Capo
Il Ritmo del Tacco
PREMIO CITTA’ DI GAGLIANO. Cinque band si esibiranno al cospetto di una giuria tecnica di qualità, ogni band eseguirà una cover ed il loro pezzo inedito.
L’associazione culturale Kalinifta, in collaborazione con Gariga, Broga Doite, Radiodelcapo.it Webtv e Radiovenere, con il patrocinio del comune di Gagliano Del Capo presenta la prima edizione del festival “Il Ritmo del Tacco, premio Città di Gagliano”. Cinque band si esibiranno al cospetto di una giuria tecnica di qualità, ogni band eseguirà una cover ed il suo pezzo inedito. Una serata all’insegna della musica e non solo, grazie alla presenza di numerosi ospiti.
Il festival si svolgerà in Piazza Falcone – Borsellino, start ore 20,30. Per info 3275415915
Le band in gara sono: Le Clan Frivole, Hidden, Gekos, Elephant Head, Wallop N Dust
LE CLAN FRIVOLE
Il progetto nasce nel settembre 2010 come alternativa al movimento folk tradizionale.
Pur non rinnegando i canoni stilistici del folk salentino, la diversa formazione artistica dei componenti e la particolare attenzione verso soluzioni timbriche originali fa sì che la band sia in continuo aggiornamento.
Tutto ciò unisce, in un perfetto connubio, i diversi stili popolari europei in una travolgente varietà di ritmi e colori.
Il Clan Frivole è composto da
Vita Biasco : Voce, cori
Daniele Nuzzo : Chitarra acustica, voce
Christian Pizzuto : Chitarra Elettrica
Mario Esposito : Basso
Adriano Piscopello : Violino
Roberto Protopapa: Percussioni, Batteria
Giuseppe Nuzzo : Management, Staff tecnico
WALLOP ‘ N DUST
I “Wallop ‘N’ Dust” (Gruppo Pop-Rock Alternative) nascono nel Gennaio 2010 ca. con il bisogno di trasformare in musica le proprie idee. Il gruppo, dopo un lungo iter, è composto da 6 elementi: Giorgia Pino (voce), Stefano De Lorenzis (chitarra solista e voce), Luca Rillo (batteria), Lorenzo Daniele (chitarra ritmica), Lorenzo Caraccio (basso) e Cristiana Francioso (tastiere). Il loro repertorio è ricco di varietà che rende interessante e dinamico l’impatto con il pubblico. La loro musica è un arcobaleno di generi in quanto molti sono gli artisti che hanno influenzato i vari elementi del gruppo come famosi gruppi stranieri :Muse,Wolfmother,Artic monkeys, Led Zeppelin, Pink Floyd, Beatles,Deep Purple etc…e artisti italiani come: Afterhours, Baustelle, Subsonica,Dik Dik,PFM e tanti altri che hanno contribuito ad un mix di idee e suoni che con il duro lavoro i Wallop ‘N’ Dust portano a termine.
Gli ElephantHead nascono nel maggio del 2012 dall’unione di tre musicisti salentini uniti dalla passione per il rock, funk e il blues come anche per l pop-rock degli anni 80 e una buona parte della scena indie internazionale ed italiana dei giorni nostri.
Il folgorante trio è composto da: Emilio Maggiulli (chitarra e voce) Simone Invidia (basso e cori) e Giancarlo Patera (batteria). Lo scopo del progetto è quello di proporre cover che spaziano dal rock al pop in una chiave originale attraverso la scelta di un repertorio mirato, che unisce il passato con il presente, che parte dai Cream, passando dai Clash, Police ed i Depeche Mode, fino ad arrivare ai White Stripes, Planet Funk, Red Hot Chilie Peppers, Queens Of The Stone Age e tanti altri…
La classica formazione in trio dà in questo modo la possibilità al gruppo di esprime al massimo la propria creatività dando luogo a sessioni intense nelle quali emerge la capacità di improvvisazione di ognuno, come è nella migliore tradizione del rock!
GEKOS
GèKOS nasce dall’aggregazione ben riuscita tra vivacità e giovinezza con esperienza e saggezza dei componenti tra i quali il Prof. Antonio Meraglia e la Signora Patrizia Covello i quali hanno lanciato i più giovani nell’avventura legata alla bellezza della musica popolare salentina. Il gruppo lega le nostre tradizioni a quelle della musica di oggi… Nato nel 2008 con il nome: Larilò, si fece conoscere per la prima volta alla festa di S.Francesco in Alessano. Dal 2009 il gruppo nuovamente chiamato “Gèkos” ha riscosso altri successi in nuove serate cercando di smuovere nel basso Salento l’orgoglio nato dalla bellezza di vecchi canti popolari opportunamente modificati e di inediti associati a Pizzica e Folklore…!!!
Oggi Gèkos si presenta come un gruppo di giovani dai 16 ai 18 anni pieni di voglia, entusiasmo ed energia, pronti a crescere accompagnati dai ritmi della Taranta..!!!
Membri – Marcello De Carli (chitarra)
– Giulia Piccinni (violino)
– Stefano Profico (clarinetto, sax)
– Adriana Piccinni (basso elettrico)
– Lorenzo Montinaro (tastiere, effetti)
– Piergiorgio Martella (percussioni)
HIDDEN
Attivi dal 2005, la loro storia ha visto trasformare il repertorio da rock elettronico, passando ad un rock alternativo più duro con sfumature pop degno della miglior tradizione musicale, fino ad un rock progressive. Tra le esperienze più significative oltre alla loro presenza costante in parecchi festival rock, anche una performance live negli studi di Radiomanbassa. I loro componenti sono del Capo di Leuca e la line up è composta da Alfio Grecuccio, Marco Rosafio, Stefano Marino, Roberto Protopapa.
Cronaca
Serata brava, 17enne finisce in ospedale in coma etilico
Una sbronza nella notte tra sabato e domenica e poi il malore. È accaduto a Gagliano del Capo, dove il ragazzo era arrivato da un paese vicino. Trasportato in ospedale, ora è fuori pericolo
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Nella notte tra sabato e domenica un 17enne si è sentito male a Gagliano del Capo dopo aver trascorso la notte con amici.
Il ragazzo è svenuto nei pressi del campetto delle case popolari dopo l’una di notte.
L’allarme dei sui coetanei ha fatto giungere sul posto i sanitari del 118 che hanno provveduto al trasferimento d’urgenza presso il vicino ospedale di Tricase.
Gli esami hanno subito confermato come il ragazzo avesse alzato il gomito: il suo tasso alcolemico, infatti, era molto superiore agli standard di normalità.
Il 17enne residente, in un comune vicino a Gagliano del Capo, non corre pericolo di vita anche se ha passato la notte in terapia intensiva nel reparto di rianimazione per smaltire la sbronza.
Resta sotto controllo in ospedale ma la situazione dovrebbe presto normalizzarsi e rendere possibili le dimissioni.
Sulla vicenda farà le sue valutazioni la Procura dei minori di Lecce.
Approfondimenti
Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Approfondimenti
Costruire salentino, come eravamo
Giuseppe Maria Costantini, Conservatore-Restauratore di Beni Culturali: dalle coperture ai soffitti interni, dagli intonaci ai pavimenti interni ed esterni, dalla “suppinna” alla “loggia”: i caratteri tradizionali tipizzanti dell’edilizia salentina
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di Giuseppe Maria Costantini
(Conservatore-Restauratore di Beni Culturali)
Mi si chiede: «Se qualcuno volesse costruire un’abitazione secondo i canoni della tradizione salentina cosa dovrebbe fare? Quali sono gli aspetti più caratteristici e tipizzanti?».
Le abitazioni del Salento sono sempre state alquanto eterogenee in relazione alla condizione socio-economica e culturale dei loro abitanti, così caratterizzando i vari paesi e quartieri urbani, anche vicinissimi tra loro, inoltre, sono molto cambiate nel corso dei secoli, anche in breve tempo quando ce ne fosse un’importante condizionamento esterno.
Basti considerare che nel Salento, almeno fino al sedicesimo secolo, tutte le coperture degli edifici erano costituite da tetti spioventi e tegole in terracotta, come nel resto d’Italia.
Tra l’altro, la copertura esterna a spioventi corrispondeva largamente a soffitti interni in legno, sia lasciati a vista sia nascosti da incannucciate ricoperte da intonaci a stucco, come nel resto d’Italia.
Tale lunghissima “stagione dei tetti” vedeva anche pavimenti interni che, dove non fossero un umile battuto di terra, erano frequentemente in legno, nudo o variamente rifinito, oppure in terracotta, nuda o financo maiolicata; l’impiantito in pietra era destinato in prevalenza agli spazi esterni, o aperti, nonché a rimesse e opifici.
Tornando alla questione posta: come e più del resto d’Italia, nel Salento il consumo del suolo, dal secondo dopoguerra del Novecento a oggi, è stato enormemente maggiore che dalla preistoria allo stesso secondo dopoguerra; pertanto, non si dovrebbe più consumare neppure un metro-quadrato di terreno agricolo o naturale per costruire checchessia.
Ciò detto, innumerevoli edifici dell’ultimo secolo, privi di particolari valenze storiche o artistiche, necessiterebbero di importanti interventi “di costruzione”.
Si tratta di edifici variamente inefficaci in fatto di materiali di cui sono costituiti, di caratteri strutturali-statici, oppure affatto indecenti in termini di funzionalità, e/o di forma e di aspetto.
In altre parole, le tante costruzioni inadeguate e brutte che ci circondano dovrebbero essere radicalmente demolite e, ove necessario, ricostruite in termini idonei, o, se possibile e opportuno, parzialmente manomesse, recuperandone quanto già idoneo e sostituendone quanto inidoneo.
Che siano totali o parziali, è essenziale che tali auspicabili rigenerazioni tengano nella massima considerazione i caratteri tradizionali e tipizzanti del Salento, anzi, in particolare, che siano armoniche al centro abitato, o alla località di campagna, cui appartengono.
Il nostro grande intellettuale e poeta Vittorio Bodini, in Foglie di tabacco (1945-47), tipizza fantasticamente un carattere cardinale delle abitazioni pugliesi e salentine: «… le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dado».
Tuttavia, neppure l’imbiancatura in bianco vale per ogni località: molti centri abitati, costieri e no, erano caratterizzati da prevalenti imbiancature di calce addizionata a pigmento, fino a ottenerne colori pastello, rosa, ocra gialla, azzurro, turchese, verde, ne era un esempio emblematico Gallipoli.
Perchè spellare le case?
Ne parlo al passato perché negli ultimi decenni è invalsa la deleteria moda di spellare le nostre abitazioni, fino a mostrarne l’orditura muraria in pietra, come si trattasse di un edificio non terminato.
Infatti, restando ai caratteri tradizionali tipizzanti: le abitazioni salentine, dalla più umile al palazzo nobiliare, quando edificate fino a conclusione, all’esterno e all’interno, erano immancabilmente intonacate o, comunque, rifinite con uno strato superficiale, quale rivestimento tradizionale del materiale lapideo costruttivo, con valenze funzionali ed estetiche, e ciò riguardava persino cantine e stalle.
Oltre alle coperture esterne a terrazza, destinate a convogliare le acque piovane nelle cisterne, un altro carattere tipizzante delle nostre abitazioni era la presenza di spazi interni aperti: ortali, giardini, cortili al piano terreno; al piano superiore: terrazze complanari, terrazze soprastanti, spesso dotate di suppinna o attico, nonché verande, balconi e balconcini.
In particolare, le facciate, anche quando di dimensioni contenute, tendevano ad avere uno spazio aperto protetto: portico, loggia, o loggetta a serliana.
Il colore degli infissi
Similmente alle murature, che dovrebbero mostrarsi sempre vestite, anche gli infissi, secondo tradizione, non mostrano mai il loro legno a vista, neppure quando pregiato.
Il colore degli infissi, come quello delle imbiancature tradizionali, era largamente condizionato dalla tradizione della località.
Certamente per le porte e i portoni, o le persiane, il colore più tipizzante era il verde (in infinite tonalità locali, più o meno scure), o, soprattutto per le località costiere, l’azzurro; seguono le tonalità del bruno-grigio.
A ogni modo, lontano dall’avere svolto questo interessante e poliedrico tema, spero di avere stimolato la vostra attenzione e rispetto per la conservazione e il recupero delle nostre tradizioni costruttive e del nostro bel paesaggio.
GIUSEPPE MARIA COSTANTINI
Conservatore-Restauratore di Beni Culturali.
Possiede numerose specializzazioni, tra cui superfici dell’architettura.
Lungamente ricercatore e docente di Restauro per l’Università di Bologna, oltreché per altri prestigiosi enti nazionali.
Su diretto invito del dirigente Arch. Piero Cavalcoli (Urbanista), ha partecipato all’elaborazione del DRAG della Regione Puglia (Schema di Documento Regionale di Assetto Generale).
*Nella foto in alto, Specchia da “I Borghi più belli d’Italia”
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