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Attualità

Servizio di 118 via? Ospedale di Tricase da tutelare

Il Cardinale Panico eccellenza per tutti i pazienti che ne usufruiscono e, al tempo stesso, un centro di attrazione di cui gode l’intera Tricase e offre numerosissimi sbocchi lavorativi

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di Hervé Cavallera


Una riflessione è d’obbligo dopo la nota con cui il Dipartimento Promozione della Salute ha disposto che l’Asl di Lecce dovrà con sollecitudine avocare interamente a sé la gestione della postazione 118 di Tricase, oggi nelle mani dell’ospedale Cardinale Panico.


I mesi di luglio e agosto sono solitamente considerati da noi salentini come i mesi delle vacanze al mare.


Il caldo notevole spinge infatti chi può a trascorrere piacevoli giornate in acqua.


Chi può, appunto.


In realtà, non tutte le attività e non tutti gli uffici chiudono; la vita lavorativa per i più continua e non può non continuare, non solo per quanto riguarda i lavoratori impegnati nell’offrire servizi ai vacanzieri, ma soprattutto per le tante professioni volte alla sicurezza e alla salute pubblica.


LA STORIA


Tra queste ultime un posto di prim’ordine hanno gli ospedali o meglio le aziende ospedaliere, come si dice dalla legge 30 dicembre 1992, n. 502 (Governo Amato), cioè un presidio ospedaliero trasformato in azienda, con gestione autonoma e indipendente.


E il Salento già a metà degli anni ’70 del secolo scorso godeva di un’articolata rete ospedaliera (basti pensare alla “filiera” Gagliano del Capo – Tricase – Poggiardo – Scorrano, e quindi Galatina, Nardò, Lecce) che assicurava alla popolazione un vicino e prezioso ausilio. Poi con la presidenza Vendola (2005-2015) si è passati a un riordino ospedaliero che di fatto ha diminuito la quantità dei nosocomi.


All’interno di questa travagliata storia l’Azienda ospedaliera Cardinale Giovanni Panico, inaugurata il 1° ottobre 1967 e dalle origini gestita dalle Suore Marcelline, costituisce un punto di riferimento importante per il Capo di Leuca eper l’intera provincia leccese.


L’ospedale sorto con 150 posti letto, ne conta al momento 400 ed è tuttora in espansione.


La gestione è stata da sempre molto oculata e attenta non solo nella scelta dei medici, ma pure degli infermieri, aprendo nel 1975 una scuola per la formazione degli stessi.


Nel 1988 è istituita la “Pia Fondazione di Culto e Religione Cardinale Giovanni Panico” che conta attualmente sui mille dipendenti, assumendo altresì la gestione dei Collegi di Foggia e Lecce e delle Opere di carità Solidale realizzate in Albania.


Nel 1997, attraverso una convenzione tra la Facoltà di Medicina e Chirurgia e l’Assessorato regionale alla Sanità, la Scuola infermieri dell’Ospedale di Tricase diviene Laurea breve, cioè concede il titolo universitario in Scienze infermieristiche.


Intanto si provvede alla completa informatizzazione dei servizi sì da rendere l’apparato ancor più efficiente.

CASA DI BETANIA


Nel 2008 è istituito l’Hospice “Casa di Betania Onlus” per i malati terminali, Hospice che diventa un’assistenza di massima importanza per tanti bisognosi.


Viene inoltre potenziata la struttura tecnologica e si sviluppa l’assistenza per le malattie rare. Nel 1917 l’Azienda ospedaliera tricasina è qualificata dalla Regione Puglia Ospedale di 1° livello.


Questi brevi cenni storici, omettendo volutamente – non potendo elencarli tutti – i nomi di tanti benemeriti tra dirigenti e medici, vogliono mostrare chiaramente come l’ospedale non solo costituisca un’eccellenza per tutti i pazienti che ne usufruiscono, ma sia al tempo stesso un centro di attrazione di cui gode l’intera di Tricase e offre, come si è visto, numerosissimi sbocchi lavorativi.


Sotto tale profilo, in un tempo in cui la tendenza generale delle amministrazioni centrali è quella di razionalizzare (quindi tagliare, anche da un punto di vista economico) promuovendo la competitività, la presenza di un ospedale di 1° livello come quello di Tricase si manifesta come un bene da tutelare per l’intero territorio in quanto i servizi che offre non solo sono di alto livello, ma riguardano aspetti essenziali per la qualità della vita e per la stessa sopravvivenza individuale.


Né è pertanto un aspetto da sottovalutare e deve essere tutelato in una società dove non mancano le restrizioni. Infatti, essendo gestito da un ente ecclesiastico (le Suore Marcelline) non dovrebbe essere equiparabile alle strutture pubbliche del sistema sanitario nazionale e pertanto è aperta la questione di una ridotta attribuzione di risorse economiche da parte regionale, con conseguenze evidentemente gravi per la gestione e il miglioramento dei servizi.


Non si vuole e non si può in questa sede entrare nel merito giuridico della questione; ci pare però rilevante da un punto di vista etico sottolineare come una istituzione che è riconosciuta di qualità e che garantisce il pubblico bene deve essere comunque salvaguardata e sostenuta in maniera adeguata proprio perché dispensatrice di aiuto ai malati e ai fragili.


Nella vita di uno Stato di diritto alcuni elementi devono essere, infatti, garantiti tra cui, in primo luogo, l’educazione, nella sua dimensione disciplinare ed etica, e l’assistenza sanitaria nella sua complessità.


Se una istituzione è ben gestita e offre sevizi di qualità la sua presenza non può che essere assicurata e consolidata.


Ricordo che un almeno un trentennio fa un mio amico statunitense, professore all’Università della California – Berkeley, mi diceva che gli americani ci invidiavano due cose: il posto fisso e la sanità gratuita.


I tempi sono cambiati: gli stipendi di varie categorie di dipendenti pubblici sono bloccati da anni e sulla sanità pendono forbici pericolose.


È necessario che si prenda coscienza e che si operi di conseguenza per migliorare e l’esistente e conservare ciò che di buono abbiamo come l’ospedale di Tricase.


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L’ospedale tricasino fu inaugurato il 1° ottobre 1967; i primi pazienti, provvisti di apposita impegnativa assistenziale, sono accolti nella nuova struttura il 4 dicembre dello stesso anno


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Con la scuola riparte anche lo Zaino Sospeso

Il Lions Club Salento Territorio e Ambiente consegna materiale scolastico all’associazione Dalla Parte dei Più Deboli che lo distribuirà a bambini e ragazzi bisognosi del territorio

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Il presidente del Lions Club Salento Territorio e Ambiente, Pierluigi Aversa, la coordinatrice multidistrettuale del Service Zaino Sospeso, Gisella Nuzzaci, il coordinatore distrettuale Maria Antonietta Simone e il Gst di club Fabrizio Ruggeri hanno consegnato all’associazione Dalla Parte dei più Deboli, il materiale scolastico raccolto.

Il Service Zaino Sospeso è un progetto del Multidistretto Lions 108 Italy, lanciato per il triennio 2023-2026, che consente alle famiglie in difficoltà di mandare i propri figli a scuola con un corredo scolastico completo e adeguato, garantendo in questo modo il diritto allo studio a bambini e ragazzi che altrimenti non potrebbero permettersi di sostenerne il carico.

«Anche quest’anno un forte interesse per questo progetto, nato proprio da un’idea del  LC Salento Territorio e Ambiente, che sta creando una rete di solidarietà in tutta Italia affinchè nessuno debba sentirsi escluso», sottolinea il presidente del Lions Club Pierluigi Aversa.

Il materiale scolastico raccolto sarà distribuito, tramite l’associazione Dalla Parte dei più Deboli, alle famiglie bisognose del territorio salentino.

La raccolta continuerà fino alla fine dell’anno scolastico: chiunque potrà aderire all’iniziativa recandosi nei punti di raccolta aderenti in cui sono posizionati dei contenitori per la raccolta del materiale e segnalati dall’apposito logo: un piccolo gesto per il sorriso di un bimbo e per la serenità delle famiglie.

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Attualità

Semestre filtro di medicina, che stress!

Più di tre studenti su quattro dichiarano di sentirsi oggi più ansiosi rispetto al vecchio test nazionale. Ma a preoccupare di più non sono gli esami, ma i costi. Le famiglie oltre a tutto devono confrontarsi anche con affitti record e l’impossibilità di cercare casa per tempo

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Il vero filtro per entrare a Medicina più che il semestre filtro sembra essere il portafoglio.

Per gli studenti, infatti, la vera sfida non si gioca solo in aula.

A preoccupare di più non sono gli esami, ma i costi.

È quanto emerge da un sondaggio nazionale realizzato da MedCampus.

Il dato più netto riguarda la dimensione economica: 7 studenti su 10 valutano i costi puramente economici del semestre filtro “abbastanza o molto pesanti”.

Quando si parla di trasferimenti, la prima preoccupazione non è l’esame ma la vita quotidiana: oltre la metà di loro indica affitto e vitto come maggiore fonte di ansia. La disponibilità a trasferirsi appare formalmente alta (78,6%), ma quasi la metà degli studenti dichiara che potrebbe farlo solo “con sacrifici significativi” per la propria famiglia.

Con il vecchio sistema del test, studenti e famiglie conoscevano con mesi di anticipo la sede universitaria, potendo cercare alloggi con più calma e a costi spesso più sostenibili.

Il sondaggio MedCampus evidenzia come la pressione economica sia aggravata dal contesto: famiglie già sotto stress devono confrontarsi con affitti record (oltre 700 euro al mese a Milano per una stanza singola, più di 600 euro a Bologna e Firenze, circa 600 euro a Roma).

Oltre alla dimensione economica, il sondaggio ha evidenziato anche un dato inatteso: più di tre studenti su quattro dichiarano di sentirsi oggi più ansiosi rispetto al vecchio test nazionale.

Una percezione che non riguarda soltanto chi è già dentro al semestre filtro, ma anche chi deve ancora iniziarlo dalle scuole superiori.

Questo dato suggerisce che l’impatto della riforma non è solo sull’organizzazione accademica (con risultati tutti da verificare), ma entra in profondità nel vissuto emotivo di ragazzi e famiglie.

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Castro: Nino non pesca più

Quella volta in cui per non mollare la preda rimase sordo financo alle esortazioni dei militari a lasciar perdere, fino a quando non fu il tonno, esausto, a perdere del tutto le forze ed a essere tirato all’interno della barchetta…

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di Rocco Boccadamo

Al momento della sua nascita, fu registrato all’Anagrafe, e parallelamente battezzato in chiesa, con il nome proprio di Albino (cognome F.) e, il suo caso, rappresentò, un’autentica eccezione, già che, all’epoca, fra la popolazione di Castro, non v’era alcuno che si chiamasse così. In seguito, molto semplicemente, se non automaticamente, lo sviluppo sotto forma del diminutivo/abbreviativo Nino.

A parte siffatta singolarità appellativa iniziale, mette conto di annotare che il successivo, graduale divenire del personaggio si sgranò sul metro di un’assoluta, esclusiva e continuativa caratteristica: lo strettissimo rapporto, vera e propria simbiosi, fra lui e l’ambiente più prossimo e naturale su cui si era affacciata e dischiusa la sua avventura esistenziale, ossia a dire il mare.

Nino, dunque, prestissimo, pescatore, sin da bambino, tutti i giorni dell’anno, in ogni stagione, a braccetto, anzi, in questo particolare caso, a bordo di una barchetta di legno, del genere “gozzo,” in principio rigorosamente a remi, poi sospinta da un piccolo motore fuoribordo, e in compagnia funzionale e operativa di ami, lenze, “conzi” e reti.

Anni, lustri, decenni, attraversati espletando tale duro, incerto e talvolta periglioso lavoro, sempre con equilibrata passione, senza fermarsi o arretrare di fronte alle difficoltà e, spesso, ai magri proventi.

Frattanto, intorno a Nino, andava formandosi e crescendo anche una famiglia, con due figli, di cui uno rimasto a Castro e l’altro trasferitosi per lavoro in un’altra regione.

Che bagaglio di esperienze per l’uomo, acquisito e accumulato sotto cieli multiformi e multicolore, quando sereni, quando grigio scuri per effetto di nuvolaglie dense, in notti stellate o cupe e fredde, su distese calme o vivaci o con cospicui moti ondosi.

Nino, comunque, sempre lì, sull’uscio della sua grotta in Via Scalo delle barche, dove è solito preparare le attrezzature per la pesca, specialmente l’allestimento, prolungato e non facile, del “conzo”, oppure sulla banchina del porticciolo, prossimo a “uscire”, oppure al largo, a più riprese nell’arco delle ventiquattro ore, per “calare” o tirare su gli strumenti del suo lavoro.

Accanto alla quotidianità così snodatasi per una vita intera, con il protagonista sempre determinato, ma, insieme, sereno, è rimasto negli annali della marineria della Perla del Salento, uno specifico episodio, indubbiamente non comune, di cui Nino, alcune stagioni fa, si è trovato ad essere, un po’ ma non completamente a caso, protagonista.

Un pomeriggio, aveva “calato” il suo “conzo” (lunghissima lenza con alcune centinaia di anni pendenti da apposite appendici, mantenute a mezza profondità, mercé la compensazione di galleggiamento conferita insieme da piccoli piombi e cubi di sughero) a media distanza dalla costa verso la Marina di Andrano, dopo di che, nella mattinata successiva, era ritornato sul posto per recuperare il tutto.

Sennonché, a un certo punto, l’uomo ebbe ad avvertire una fortissima resistenza, che gli impegnava mani, gambe, braccia e spalla, segno che, a un amo, doveva aver abboccato un grosso esemplare di pesce (più tardi, si sarebbe rivelato trattarsi di un tonno), che, con tutte le proprie energie vitali, vanificava il tentativo di Nino di recuperare il “conzo”.

Non cedeva l’amico pescatore, non mollava la lenza e la preda attaccata, né si arrendeva l’esemplare ittico.

Durante questo confronto di forze, trascorreva deciso il tempo e, circostanza più delicata, il “gozzo” era lentamente trascinato, dai guizzi del pesce, in direzione di Tricase e di Leuca.

Nino, in occasione di quella uscita, non si era portato appresso il cellulare e, quindi, era praticamente isolato al largo e, progressivamente, sempre più distante da Castro.

Per fortuna, il figlio, impensierito e preoccupato a causa del mancato rientro del genitore, ritenne di allertare la Guardia costiera, che, in breve, raggiunse, con un suo veloce battello, il pescatore, sempre accanito a non mollare.

Così, rimase Nino, sordo financo alle esortazioni dei militari a lasciar perdere, fino a quando non fu il tonno, esausto, a perdere del tutto le forze ed a essere tirato all’interno della barchetta.

Fino a poco tempo fa, Nino è stato sorretto da una buona, o quantomeno discreta, salute ed è sceso puntualmente al porto, in sella al suo motorino o a piedi, salpando, sia pure sempre più raramente, col suo battello.

Da parte mia, incontrandolo, mi tenevo aggiornato sull’avanzare dei suoi almanacchi e in merito all’andamento della sua attività. E, lui, a rispondermi, con tono gentile sorridente, magari, nelle ultime occasioni, precisando di essere uscito al solo scopo di trarre un quantitativo di pesce fresco destinato al figlio giunto a Castro per le ferie.

Da qualche tempo, gli acciacchi si sono purtroppo accentuati e, di conseguenza, egli si muove da casa raramente. L’ho incontrato il mese scorso, seduto all’inizio della banchina interna del porticciolo davanti alla sede del “Circolo Sottufficiali”, domandandogli: “Come va Nino, come stai?”.

Stavolta, diversa dal solito la risposta: “Come vuoi che vada, va come Dio vuole”.

Tuttavia, io penso che Nino, dentro di sé, sia egualmente sereno e contento, non fosse altro perché il suo battello, il piccolo gozzo denominato “Martina”, è sempre lì, in acqua, silenzioso ma ormeggiato all’altra banchina, a fianco della più grande barca consortile.

E sono, altresì, sicuro che l’uomo, in silenzio, si ripassa con affetto e commozione le figure dei suoi colleghi e amici pescatori di Castro, ad esempio, quelle dei due Vincenzo e di Nunzio C., già proprietario, anche lui, di un “gozzo” dal nome “Davide”, i quali hanno tirato definitivamente i remi in barca, in età ben più giovane della sua, per salirsene sulle nuvole.

In certi giorni, mi capita di ritrovare Nino, intento a riposare tra aiole fiorite nei pressi della sua abitazione, e, lì, mi dà l’impressione di snocciolare un altro ripasso, cioè a dire le così tante albe e gli infiniti tramonti in cui i suoi occhi si sono rispecchiati

Sì, posto che sono ormai novantasei gli anni compiuti da Nino, so che è improprio, ma qui mi piace parlare non di anni bensì di maree, appunto novantasei maree.

Ravvisando nella sua persona una sorta di simbolo della gente di mare castrense, la locale amministrazione civica (per la precisione, non quella in carica, presieduta, guarda caso, da un figlio di Nino, ma quella precedente), ha deliberato di conferire al pescatore in questione uno speciale riconoscimento ad personam e io rivedo ancora l’uomo felice e commosso sul palco della correlata semplice cerimonia.

Anche da queste righe, il mio affettuoso saluto e sincero augurio, Nino: resisti, come in quella avventura al largo alle prese col grosso tonno, e abbi ancora lunga vita.

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