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Attualità

Crocefisso in classe, chi lo vuole e chi no

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Non è necessario essere atei per apprezzare la recente sentenza della Corte Europea sui diritti dell’uomo riguardo al crocefisso nelle scuole italiane. Basta essere un po’ intellettualmente onesti. Bisognerebbe infatti riconoscere che la consuetudine tutta italiana dell’esposizione in pubblici uffici dell’icona cristiana lede in qualche modo il diritto fondamentale della libertà di fede e religione. Soprattutto perché questo simbolo religioso è esposto all’interno di tutte le aule scolastiche, il posto dove in tutto il mondo libero viene insegnato un approccio laico alla vita, alla scienza, alla letteratura. La Corte Europea non ha fatto divieto di culto o imposto delle regole alternative, ha semplicemente condiviso il ricorso di un cittadino italiano che aveva chiesto al preside della scuola media frequentata dai figli di togliere dai muri l’immagine del Cristo in croce.


Ricordiamo che la Corte Europea fu fondata dai grandi leader dell’Europa del dopoguerra, fra cui De Gasperi, che ben conoscevano le brutture del fondamentalismo, sia politico che religioso, sapevano quante sofferenze e quante umiliazioni avevano subito le minoranze nel corso dei secoli. La Corte è formata da ben 47 membri, non è un’istituzione dell’Unione Europea (come invece la Corte di Giustizia), rappresenta tutta l’Europa e ha preso questa decisione all’unanimità. L’Italia è rappresentata dal famoso costituzionalista Vladimiro Zagrebelsky, mica uno scherzo della politica, ma uno studioso famoso in tutto il mondo. Dopo aver valutato attentamente il caso ha stabilito che la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche è “una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”. Ognuno di noi italiano potrà andare in Chiesa e pregare, le parrocchie potranno costruire chiese e richiamare i fedeli, ma la Corte finalmente ha stabilito che la convinzione religiosa è un atto puramente personale e che ricade nella sfera delle libertà inalienabili dell’uomo.


Questo è un posto, la nostra Europa, dove i musulmani possono costruire le moschee, i cristiani le chiese, gli ebrei le sinagoghe e gli atei si possono dichiarare pubblicamente non credenti. Del resto in Italia anche l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo: già il 10% degli studenti non lo sceglie, sarebbe una percentuale molto più alta se per legge tale insegnamento fosse concentrato solo alla prima o all’ultima ora di scuola. Tornando al crocefisso, non dobbiamo dimenticare che tale simbolo è considerato un’offesa dagli ebrei, un errore di interpretazione dai Testimoni di Geova che pensano che Gesù sia stato legato ad un palo, per i musulmani è un’immagine macabra che toglie gioia. Insomma, come tutte le cose della religione, niente di immutabile nel tempo e niente di definito una volta per tutte, né di universale. Se la religione è un sistema di regole etiche idonee ad una migliore convivenza civile non necessita di quel simbolo; se invece è una specie di magia che si crea, si fonde e si rigenera nel bisogno di miti, miracoli e immagini da venerare, allora anche il crocefisso diventa un’esigenza. Eppure prima dei Patti Lateranensi del 1929 il crocefisso non trovava posto nelle scuole italiane e i padri del Risorgimento, di una Repubblica civile e laica (compreso il nostro Giuseppe Pisanelli), mai avrebbero accettato una scuola confessionale.


Forse un po’ di storia sull’iconografia cattolica potrebbe rendersi utile a quanti gridano allo scandalo. Ad esempio, nel concilio Quinisesto (691 d.c.) convocato dall’imperatore Giustiniano II in antitesi con Papa Sergio I, si prescrisse esplicitamente col canone 82: “Decidiamo che in avvenire si dovrà rappresentare Cristo nostro Dio sotto la sua forma umana al posto dell’antico Agnello”. C’è oggi qualcuno che potrebbe affermare che l’agnello rappresenti la tradizione della dottrina di Cristo? Non credo, tutto è relativo, cambia coi tempi e con le regole che gli uomini si danno. In questo senso ho molto apprezzato la dichiarazione del parroco scrittore bolognese, don Arrigo Chieregatti: “Questa è una sentenza salutare. Ogni credo deve avere il coraggio di relativizzarsi”. Ora partiranno i soliti ricorsi strumentali, che io definirei elettorali, buoni a far vedere che noi italiani ci teniamo alle nostre tradizioni e alla nostra cultura, due cose che in modo sostanziale ogni giorno distruggiamo senza nessun ripensamento. Sarebbe ora invece che le culture del rispetto, della ragione e del buon senso, dello studio e dell’umanesimo, riprendano il posto di tutti i fondamentalismi che ci stanno annebbiando il fine ultimo della vita.


Alfredo De Giuseppe


 

Non vedo come possa un innocuo crocefisso ledere la libertà di fede e religione dei cittadini italiani. Nonostante le diverse storture, falsità e coercizioni imposte dalla Chiesa nel corso dei secoli, sulle quali sì ci sarebbe da dibattere, non credo esista oggi simbolo più idoneo che inneggi alla pace, alla carità ed alla fratellanza, sentimenti cardine di ogni religione. Perché una Italia, una Europa nate, cresciute e pasciute col cristianesimo dovrebbero rinnegare la propria storia, la propria cultura, la propria fede? La religione non è solo un sistema di regole etiche idonee ad una migliore convivenza civile.


La religione è credere che esistano forze superiori all’uomo, alle quali ci si affida quando le stessa etica non appaga il nostro essere. E’ una “zattera salvifica” che attraverso la preghiera può condurre la ragione umana a percorrere strade quali l’accettazione del prossimo, il perdono, la carità, la fratellanza. E cosa c’è di male nel conservare un simbolo nelle scuole italiane, dove il 98% degli alunni è battezzato secondo il rito della Chiesa cattolica? Il prossimo passo quale sarà, abbattere le Chiese perché un’altra finlandese si sente offesa dalla bellezza della Basilica di San Pietro (sormontata da una croce), dal Campanile di Giotto, dal Duomo di Milano perché deviano la libertà di quella parte infinitesimale che non si riconosce nelle bellezze italiane adornate tutte con il crocefisso e che, quindi, ledono la libertà di fede e religione?


E, di grazia, che regola è questa impostami da sette (e non 47) Giudici laici e in maggioranza di religioni diverse da quelle Cristiana che obbligano uno Stato sì laico, ma che da sempre si riconosce nel Cristianesimo? Sarebbe come chiedere alla cittadina finlandese (sposata in Italia) di far togliere alla Corte Europea la Croce che da sempre campeggia sulla loro bandiera.


Luigi Zito


Appuntamenti

#TAURISANOSVAPO, nuova apertura dopo Maglie e Tricase

“Abbiamo sempre lavorato per fornire il miglior servizio possibile, anche esponendoci di persona per cercare di diventare trend setter in questo settore”…

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Nuova apertura a Taurisano per Svapo già presente a Tricase e Maglie.

«Già presenti sul territorio leccese con due negozi», spiega Dario Surano, «abbiamo deciso di arricchire il sud Salento con un terzo punto vendita. Lo scopo cardine è di espandere la nostra rete di negozi per avvicinare sempre più persone alla nostra visione».

Infatti, prosegue, «operando nel settore svapo dal 2015, abbiamo affinato esperienza e coltivato la clientela con un rapporto che va oltre il mero aspetto lavorativo. Vogliamo mettere a disposizione, tutta l’esperienza maturata in questo tempo per creare luoghi dove passione e professionalità incontrano il meglio che il mercato della sigaretta elettronica possa offrire. Al centro dell’attenzione mettiamo sempre le esigenze e le richieste di tutti coloro che negli anni si sono approcciati o che si vogliono avvicinare alla sigaretta elettronica».

Come si è arrivati alla nuova apertura?

«Insieme a tutti i nostri collaboratori», premette Surano, «abbiamo sempre lavorato per fornire il miglior servizio possibile, anche esponendoci di persona per cercare di diventare trend setter in questo settore che amiamo e in cui mettiamo tutti noi stessi. Con l’apertura di #TAURISANOSVAPO ci rimettiamo in gioco ma siamo sicuri che riusciremo a vincere anche questa una sfida con l’aiuto e anche l’apprezzamento di tutti i consumatori che si affidano a noi con fiducia».

«Vogliamo che ogni cliente di senta parte del nostro progetto», insiste, «offrire il meglio nel mondo dello svapo, con prodotti di qualità e un servizio che faccia sentire ogni persona importante grazie alla professionalità dei nostri collaboratori.

Tutti insieme ci divertiamo, certamente, ma non dobbiamo mai dimenticare che lo svapo è prima di tutto salute, ovvero uno strumento per abbandonare il vizio del fumo. Se riusciremo a trasmettere questo messaggio in allegria e con il sorriso sulle labbra, secondo me, avremo ancora più successo».

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Attualità

Maria Antonietta I di Puglia

È in primo luogo necessario elaborare una strategia di massima che riguarda, per così dire, una più profonda capacità di comprendere, anticipare e soddisfare le attese e le potenzialità del territorio e un aumento del numero dei corsi di laurea e dei dipartimenti, ossia di quelle che una volta (sino al 2010) si chiamavano facoltà….

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Unisalento, ecco la prima rettrice

Maria Antonietta Aiello: «Per me motivo di orgoglio diventare la prima rettrice: non ho dubbi che altre ce ne saranno, perché non c’è alternativa a un futuro di reali pari opportunità»

La professoressa sarà rettrice per il sessennio 2025-2031.

Al primo turno il voto pesato per ciascuno dei tre candidati ammessi alla procedura elettorale era stato: Maria Antonietta Aiello, 338,269; Luigi Melica, 278,944; Salvatore Rizzello, 138,239.

Dopo il ritiro degli altri due candidati, ovvero il direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche Luigi Melica e il direttore della Scuola superiore ISUFI Salvatore Rizzello, i voti della comunità accademica si sono indirizzati in blocco, infatti, sull’attuale prorettrice vicaria e ordinaria di Tecnica delle Costruzioni al Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione. Di Marzi (Cosenza), sarà dal prossimo 1° novembre, a prendere il testimone dal rettore Fabio Pollice.

La vera sfida del futuro

di Hervé Cavallera

di Hervé Cavallera

Il 2025 è un anno importante per l’Università del Salento. Da non molto sono trascorsi i festeggiamenti per il suo 70° anno di vita ed è stato appena eletto, nella persona della prof.ssa Maria Antonietta Aiello, il suo 11° rettore, anzi la prima Rettrice di Unisalento.

Il primo rettore, e inoltre fondatore dell’Università, fu Giuseppe-Codacci-Pisanelli (nel 1955 rettore del Consorzio Universitario Salentino, dal 1956 al 1976 rettore dell’Università di Lecce), quindi Saverio Mongelli (1976-1979), Mario Marti (1979-1981), Alberto Sobrero (1981-1983), Donato Valli (1983-1992), Angelo Rizzo (1992-2001), Oronzo Limone (2001-2007) che mutò (2007) il nome da Università di Lecce in Università del Salento, Domenico Laforgia (2007-2013), Vincenzo Zara (2013-2019), Fabio Pollice (2019-2025).

In 70 anni, ovviamente, non solo è cresciuta l’offerta formativa dell’Università salentina (sorta con la Facoltà di Magistero a cui seguì quella di Lettere e Filosofia), ma è cambiato l’intero panorama nazionale.

L’Università di Lecce fu la terza ad esistere, dopo Napoli e Bari, nell’Italia meridionale continentale.

Oggi numerose sono le università statali nelle diverse regioni del Sud, a cui devono aggiungersi quelle non statali legalmente riconosciute e quelle telematiche. Il che, si capisce, comporta una serie di problemi di natura economica, che crescono ulteriormente pensando al numero consistente di studenti del Sud che preferiscono recarsi in università del Centro-Nord e, non ultimo, alla denatalità che riduce il numero dei giovani.

Mantenere al meglio l’esistente è ciò che diventa immediatamente evidente per chi assurge alla carica rettorale.

Ma “mantenere”, in una realtà sempre più complessa, concorrenziale e globalizzata, non è invero sufficiente. Nel mondo della flessibilità, non si mantiene: si sviluppa. Occorre crescere ulteriormente e divenire sempre più concorrenziali.

Sotto tale profilo il compito che attende la Rettrice, non è affatto facile.

È in primo luogo necessario elaborare una strategia di massima che riguarda, per così dire, una più profonda capacità di comprendere, anticipare e soddisfare le attese e le potenzialità del territorio e un aumento del numero dei corsi di laurea e dei dipartimenti, ossia di quelle che una volta (sino al 2010) si chiamavano facoltà.

Al tempo stesso è opportuno migliorare la qualità dell’assistenza studentesca, dei servizi che si offrono.

Basti pensare agli alloggi, ai collegamenti, alla viabilità, alle mense universitarie.

Si tratta di una serie di obiettivi che – una volta raggiunti – farebbero risaltare l’immagine di una università dinamica, accorta ai bisogni del presente e del territorio, volta all’innovazione.

E’ opportuno che per raggiungere tutto questo la Rettrice sia coadiuvata da uno staff efficiente e coeso.

Certo, quello che si è indicato pare necessario e tuttavia non facile da conseguire in quanto comporta in primo luogo una serie di interazioni con il mondo politico ed economico abbastanza complesse. Soprattutto non sono trascurabili, ad avviso di chi scrive, i dati già rilevati connessi alla denatalità e alla volontà giovanile di spostarsi altrove, anche fuori d’Italia, in vista di una più proficua occupazione dopo aver conseguito la laurea.

Alla luce di quanto sopra il problema diventa allora quello di rendere appetibile – mi si passi il termine – Unisalento.

Affinché questo sia, bisogna tornare ad essere quello che l’università ha voluto essere nel suo significato pieno, come del resto è attestato dalla storia.

Certo, è il luogo ove studiare le discipline che consentono di acquisire le conoscenze e le competenze di base della propria professione per il bene personale e del prossimo, ma in primo luogo è un centro di ricerca di alta cultura.

Solo puntando alla realizzazione di uno stimolante centro di ricerca è possibile dare veramente vita ad una università.

Si tratta, insomma, di mettere totalmente da parte sia l’idea di un mero titolificio sia quella di un’azienda che offre pure velleitarie illusioni.

Un centro di ricerca, con docenti scientificamente qualificati, sarebbe certamente in grado di diventare punto di riferimento dell’utenza studentesca e quindi motore di crescita territoriale proprio perché in sé garante della serietà e della qualità degli studi.

In un momento storico in cui prevale l’innovazione è evidente che solo un serio approfondimento nei diversi campi dello scibile umano può diventare forza attrattiva e positivamente propulsiva.

Come scrive Dante nel Canto VI del Paradiso, grande merito dell’imperatore Giustiniano fu quello di aver tolto dalle leggi, nel suo Corpus iuris, «il troppo e ‘l vano».

Ecco: il compito della Rettrice Maria Antonietta Aiello (e ciò in realtà vale per ogni università) è di snellire le lungaggini burocratiche e di puntare sull’essenziale, ossia sull’apporto di docenti veramente all’altezza del presente, che siano in grado di contribuire, ognuno per il proprio settore scientifico-disciplinare, allo sviluppo della ricerca nazionale e internazionale. Infatti, solamente rendendo ancor di più l’Università del Salento un polo di eccellenza scientifica non soltanto i giovani sarebbero indotti ad iscriversi, ma essa diventerebbe un notevole centro di promozione dell’intero territorio.

Tutto questo, si comprende bene, non si realizza in un batter d’ali e richiede lungimiranza e capacità di costituire un corpo docente di rilievo. È ciò che si augura alla Rettrice neoeletta in un momento storico in cui l’Occidente sembra scivolare nei vaniloqui e nell’asservimento alla tecnologia.

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Albaservice: Risanamento e tutela dell’occupazione le parole d’ordine

Il percorso di rilancio è stato reso possibile grazie all’impegno del Consiglio Provinciale e alla piena collaborazione dei dirigenti e funzionari dell’Ente….

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Dopo oltre un decennio segnato da difficoltà economiche, ammortizzatori sociali e incertezza occupazionale, Albaservice spa, società interamente partecipata dalla Provincia di Lecce, volta finalmente pagina.

Grazie a un lavoro sinergico e determinato, guidato dal presidente della Provincia Stefano Minerva e dall’amministratore unico Marco Miceli, è stato raggiunto un risultato straordinario: dal 2025 nessun lavoratore sarà lasciato indietro. Tutti i dipendenti torneranno all’orario pieno di 40 ore settimanali, senza più ricorso alla cassa integrazione o altri strumenti di sostegno al reddito.

Un traguardo impensabile fino a pochi mesi fa, ottenuto attraverso un’azione politica e amministrativa forte, che ha visto la rimodulazione delle convenzioni quadro tra Provincia e partecipata, relative alla gestione degli edifici scolastici e alla manutenzione della rete viaria, e l’affidamento di nuovi servizi strategici per garantire la sostenibilità dell’azienda.

Il percorso di rilancio è stato reso possibile grazie all’impegno del Consiglio Provinciale e alla piena collaborazione dei dirigenti e funzionari dell’EnteIn soli sei mesi, la nuova amministrazione ha saputo imprimere una svolta concreta, restituendo ad Albaservice un’identità operativa, una prospettiva industriale e una dignità occupazionale.

Non parliamo solo di un risultato economico, ma di un atto di responsabilità istituzionale e di giustizia sociale. Albaservice torna a essere una risorsa per il territorio, per le scuole, per le strade, per i cittadini, e questo è stato possibile anche grazie alla disponibilità dei lavoratori e al lavoro infaticabile dei sindacati, che ringrazio per il proficuo confronto e la piena convergenza per il raggiungimento di questo importante traguardo”, ha dichiarato il presidente Minerva.

Albaservice rappresenta oggi un modello di servizio pubblico efficiente e vicino alle comunità, con operatori che garantiscono quotidianamente la sicurezza e il decoro del patrimonio scolastico e stradale provinciale. Un ruolo che torna a essere valorizzato, anche grazie alla stabilità lavorativa finalmente restituita a tutte le maestranze.

Anche l’amministratore unico Marco Miceli ha espresso la propria soddisfazione: “Abbiamo lavorato con rigore, visione e rispetto per ogni lavoratore. Questo risultato è la dimostrazione che le partecipate pubbliche, se ben governate, possono essere centri di eccellenza e coesione sociale.”

Il futuro di Albaservice riparte dunque da basi solide: un piano industriale sostenibile, una squadra di lavoro motivata e un ente pubblico che ha saputo credere e investire nel cambiamento.

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