Attualità
“Il Salento, dove regna l’armonia”
Alessandro Cecchi Paone: “Dal Capoluogo alla provincia, dalle marine all’entroterra, offre sempre la stessa qualità e la stessa linea di attenzione profonda al paesaggio, ai colori, ai materiali e alla ristrutturazione di qualità”

Alessandro Cecchi Paone (Roma, 16 settembre 1961), giornalista, conduttore televisivo, divulgatore scientifico e accademico. Per molto tempo attivo soprattutto nella
divulgazione scientifica e culturale, negli ultimi anni ha lavorato anche in trasmissioni di intrattenimento. È stato direttore del canale culturale Marcopolo, in onda prima sulla piattaforma Sky, poi sul digitale terrestre e sulla piattaforma Tivùsat. Dal 4 aprile 2016 a luglio dello stesso anno, è stato anchorman e vice direttore del TG4. Nel 2018 ha partecipato come concorrente al Grande Fratello Vip.
Cecchi Paone si è sempre detto innamorato del Salento e appena può vi fa un salto. Cos’è che l’affascina di questa terra?
“I primi contatti con la Puglia sono avvenuti per lavoro, per “La Macchina del Tempo”, quindi parliamo della fine degli anni ’90 e, anche se “giravo” tra le province di Bari, Brindisi e Taranto, in tutte le occasioni ho scelto di dormire e trascorrere il mio tempo libero nel Salento.
Me ne sono innamorato perché ho colto una visione complessiva per la quale in ogni posto trovi la stessa estetica, la stessa cura, la stessa modernità perfettamente coordinate con la storia dei materiali, dei luoghi, dei colori, legati alla tradizione architettonica ed anche estetica ma riadattate in termini di comodità e di design.
Quello che mi ha colpito è il fatto che tutto il Salento sia così: non un albergo, una masseria o un luogo ma tutto un territorio, dal Capoluogo alla provincia, dalle marine all’entroterra, che offre sempre la stessa qualità e la stessa linea di attenzione profonda al paesaggio, ai colori, ai materiali e alla ristrutturazione di qualità: tutto pare coordinato, offre una totale armonia e, ovunque, si sta bene”.
Qualche luogo in particolare le è entrato nel cuore?
“In realtà ogni volta che vengo mi innamoro del posto dove mi portano. Non ero mai stato a Maglie, ad esempio, e l’ultima volta che son venuto sono rimasto affascinato dalla sua dimensione agricola – campagnola. Direi che dove caschi, caschi bene. Personalmente ho un grande rapporto con Otranto. Dovevo finire un libro, fare la stesura finale di “Scienza e Pace”, scritto a quattro mani con il prof. Umberto Veronesi. Ero in un’antica casa patrizia trasformata in un albergo delizioso proprio davanti al porto. Ricordo ancora che al tramonto mi andavo a rilassare facendo il bagno proprio dentro al porto: una cosa che si può fare solo alle vostre latitudini, grazie alla pulizia, la bellezza e la cura con cui viene tenuto tutto”.
Cosa ordina a tavola quando è giù da noi?
“Ero già un grande appassionato di pesce crudo nella versione orientale, dal Sushi al Sashimi; da voi ho imparato che il pesce crudo nostrano, col limone, l’arancio o qualche spezia, è ancora più buono”.
E il vino? Preferisce il Negroamaro o il Primitivo?
“Di inverno, il Negroamaro: ti mette in pace col mondo! Non disdegno, però, il Primitivo. Quando fa particolarmente caldo gradisco ancor di più il vino bianco e devo dire che sto scoprendo dei buoni bianchi made in Salento, anche se hanno meno tradizione. L’unico problema è che, col caldo che fa laggiù, rischiano di diventare un po’ troppo zuccherini ed alcolici”.
Da osservatore esterno, invece, ha individuato qualche aspetto nel quale dovremmo ancora fare il salto di qualità?
“Sia per lavoro che per vacanza, il Salento è un luogo dove si passa troppo tempo in automobile, forse perché i posti sono lontani l’uno dall’altro. Fatto sta che, quando sono in auto, mi sembra di perdere tempo con le tante cose belle che ci sono da vedere e da godere. Ecco perché sono rimasto così affezionato ad Otranto: potevo lavorare, scendere al mare a piedi, andare dappertutto senza dover utilizzare l’auto e godere di una dimensione davvero a misura d’uomo”.
COPPIE DELLO STESSO SESSO: “CITTÀ CHE VAI…”
Ha dichiarato che da quando ha fatto coming out è più sereno. Quanto in Italia è ancora difficile accettare ciò che si ritiene, a torto, diverso? A che punto siamo?
“Stiamo molto meglio di 14 anni fa, quando l’ho fatto io. Voglio credere che quel mio gesto, vista non solo la mia popolarità ma anche il profilo culturale, la credibilità e la fiducia che la gente ha sempre riposto nei miei confronti, sia stato molto utile. Oggi, che finalmente esiste la legge dell’unione civile per cui ho tanto combattuto, moltissime coppie maschili e femminili, che finalmente possono regolarizzare il loro sogno d’amore, mi chiamano per celebrare o per fare loro da testimone, riconoscendo che senza di me, forse, non ci saremmo arrivati. C’è voluto tanto tempo ma ce l’abbiamo fatta. Ci sono differenze a secondo del posto dove si vive: in luoghi come Milano o anche Catania, spira un vento di modernità, contemporaneità di società e mentalità aperta e quindi, come deve essere, la cosa non fa più notizia, non è più un fatto particolare, né strano, né diverso.
In altri luoghi del Paese, anche in città grandi, come Verona al nord o Palermo al sud, ci sono ancora dei retaggi culturali, politici, ideologici, soprattutto religiosi, per cui si fa ancora fatica e, stupidamente, maledettamente, ingiustamente, troppe persone devono soffrire semplicemente perché la natura o Dio, per chi ci crede, li ha voluti così: fatti per dare e ricevere amore da una persona dello stesso sesso.
Di tutte le milioni di lettere, mail, contatti, cose dette in questi 14 anni la cosa che mi sta più a cuore è la lettera di un ragazzino ventenne che all’epoca dei fatti era minorenne: mi ha raccontato che era disperato, terrorizzato dal dovere e volere condividere questo suo segreto con la madre. Dopo mesi di conflitti interiori, in lacrime ha confessato alla mamma di essere gay e lei le ha risposto: cosa vuoi che sia? Sei come Cecchi Paone!”…
“Di chi è al governo penso tutto il male possibile: sono così diversi che non si capisce che ci facciano insieme, provocando danni quotidiani a tutto il Paese. È uno scandalo che il 55% dei ragazzi e delle ragazze del sud non abbia mai lavorato”
Ci ha sempre messo la faccia in prima persona, anche in politica. Cosa pensa di chi oggi è al governo?
“Viviamo in una situazione assolutamente paradossale. L’Italia è il Paese della commedia dell’arte dove accadono le cose più inaspettate, il bianco diventa nero ed il nero diventa bianco… Siamo governati da due parti che non hanno nulla in comune, ognuna va per la sua strada, solitamente opposta a quella dell’altra e, inevitabilmente, il risultato è disastroso.
La cosa più grave di tutte e che poi porta tutto il resto alla deriva, è che siamo piombati di nuovo in una recessione, in una crisi economica che pagheremo nel giro di pochi mesi. Un Paese che non cresce, che è totalmente bloccato, non crea posti di lavoro, non risolve i problemi, in particolare quelli dei giovani: considero uno scandalo che il 55% dei ragazzi e delle ragazze da Roma in giù non abbia mai lavorato! E, se le cose non cambieranno in fretta, non lavorerà mai.
Di chi è al governo penso tutto il male possibile, un’unione innaturale che provoca solo disastri, che non permette neanche di essere serenamente a favore o contro quel partito o quel governo, perché sono così diversi che non si capisce che ci facciano insieme, provocando danni quotidiani a tutto il Paese.
Sono un europeista della prima ora, facevo già parte del gruppo giovanile del movimento federalista europeo quando ero al liceo, negli anni ’70: sono convinto che, senza l’Europa, l’Italia non ce la possa fare: soccomberebbe in breve tempo perché non siamo più in grado di produrre ricchezza né posti di lavoro, né di dare la possibilità ai singoli o alle coppie di costruire una famiglia e farsi una casa. Se non ci sono i soldi, se non c’è lavoro… Uscire dall’Europa sarebbe come inserire la retromarcia”.
“I miei avi, Garibaldi e la massoneria”
Alessandro Cecchi Paone è anche un massone: “È una cosa di famiglia, nel senso che i miei avi hanno introdotto il “rito scozzese” negli anni ’40 dell’Ottocento e poi hanno fondato la vera e propria istituzione nazionale nel 1862 con Garibaldi primo Gran Maestro. Un legame, quello con la massoneria, che affonda le origini nella nostra vicinanza diretta con l’Eroe dei due Mondi e con Mazzini, considerato che due miei avi hanno fatto parte della spedizione dei Mille seguendo “Peppino” e indossando la camicia rossa”.14
Quando tornerà nel Salento?
“Prestissimo! Mi hanno chiamato per degli eventi in programma prossimamente. Ai miei collaboratori ripeto sempre: se mi propongono lavori da altre parti chiedete a me, se ve li propongono dal Salento accettate e poi ditemelo”.
Giuseppe Cerfeda
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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