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Cronaca

“Com’e’ facile sparare sulla croce rossa!”

I medici salentini: “La colpa non può essere scaricata sempre e solo  sui medici, facile capro espiatorio sacrificale, ma in realtà unico ed ultimo baluardo del diritto alla salute”

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L’Ordine dei Medici della Provincia di Lecce è intervenuto con una nota ufficiale, dopo le tante polemiche seguite al  decesso del paziente nella U.O. di Oculistica  del Fazzi.


Lo sfortunato leccese, 76 anni, aveva raggiunto il pronto soccorso per un malore, forse per il cuore. A causa dell’assenza di posti letto è  stato trasferito nel reparto di oculistica, dove è deceduto il giorno dopo.


Uno dei quattro figli, il giorno dopo, ha sporto denuncia e la magistratura ha aperto un’inchiesta in cui si ipotizza il reato di omicidio colposo. Tra gli indagati risultano quattro medici, i due in servizio al pronto soccorso, uno nel reparto di medicina generale e un cardiologo. Va detto però che si tratta di un atto dovuto come sempre accade in questi casi e va a garanzia degli stessi medici che così potranno partecipare ad atti irripetibili delle indagini, come l’autopsia.

Il clamore destato dalla notizia non è piaciuto all’Omceo, l’Ordine dei medici leccese: “Ancora una volta i titoli urlati a proposito di un caso di presunta malasanità ci impongono di sottolineare con forza alcune considerazioni sulle quali non possiamo tacere”, si legge in una nota a firma del dott. Donato De Giorgi. “Vi è la convinzione diffusa che varcare la soglia di un Pronto Soccorso assicuri l’immortalità. Ciò purtroppo non è vero! Se oggi nelle case non si nasce e non si muore, tali eventi tuttavia fanno parte del ciclo biologico, per cui come non fa notizia che si nasca in ospedale, non deve fare di per sé notizia che in ospedale si muoia, al termine di un ciclo di cura. Vi è la convinzione che responsabili di ogni malfunzionamento (reale o presunto) del sistema sanità siano i Medici (“dalle complicanze di un processo morboso alle extralocazioni, attraversando le liste d’attesa, la carenza di posti letto, il rinvio “senza speranza” per i pazienti che attendono trattamenti in elezione, sempre in commistione/competizione con l’urgenza”). Nel caso specifico infatti gli unici indagati sono i Medici, mai gli amministratori, né, per fatti simili, i decisori politici. È così che i Medici si trovano a dover correre tra un Reparto ed un altro (a volte molto distanti) e sempre più spesso a frequentare negli intervalli i corridoi dei tribunali, impantanandosi in affanno nella medicina difensiva. Alcuni studi legali, poco interessati ai principi della deontologia forense e compagnie assicurative con uniche finalità mercantili, hanno finanziato spot pubblicitari che incitano a denunce facili e gratuite (ma non per la collettività) contro i Medici: stanno già incassando con gli interessi quanto investito. È del 28 gennaio di quest’anno però la sentenza che condanna l’incauto denunciante ad un risarcimento di circa 90mila euro a favore del Medico, ingiustamente accusato. Mentre esiste il termine “malasanità, non esiste il termine “malainformazione”, per definire alcuni atteggiamenti (peraltro molto limitati) che si allontanano (anche solo nei toni o nei titoli) da una professionalità di servizio, per una narrazione che ha il solo risultato di scavare un solco sempre più profondo nella fiducia incrinata tra Medici e cittadini. Non chiediamo mai impunità per i nostri comportamenti quando non adeguati o non professionalmente o eticamente corretti. Siamo pronti (“e lo facciamo quasi quotidianamente”) a sanzionarli, perché i nostri anticorpi ci consentano l’autorevolezza necessaria.


Secondo i medici salentini “il caso specifico induce alcune osservazioni cruciali sul problema delle extralocazioni. Condanniamo senza riserve tale pratica, in quanto premessa ad elevato rischio clinico per gli operatori e soprattutto per i pazienti. È scientificamente dimostrato che le percentuali maggiori di eventi avversi ed eventi sentinella (“situazioni cioè che devono essere prese in seria considerazione per prevenire i maggiori danni futuri”) avvengono per i pazienti extra locati, ospitati cioè nei reparti non di competenza, per saturazione di questi ultimi. Anche quando tutto fila liscio, spessissimo la qualità percepita dell’assistenza è decisamente peggiore da parte di pazienti e parenti, ingenerando sospetti e senso di “abbandono” se non di trascuratezza, malsopportazione, intempestività nelle cure, discriminazione, nonostante i Medici si affannano tra un reparto e l’altro, impartendo disposizioni a personale assistenziale diverso dal team. Il reparto che ospita si trova poi ad essere penalizzato se realizza un efficiente turnover di malati dovendo rinunciare a dare risposte a molti pazienti in attesa; penalizzati particolarmente i reparti chirurgici che si trovano a dover affrontare anche la promiscuità di pazienti portatori spesso di patologie infettive. Tuttavia nella situazione di emergenza influenzale” la Regione e le ASL hanno impartito la disposizione che i pazienti di pertinenza internistica siano dislocati (extralocati) nei reparti chirurgici in percentuali del 20%. Affrontare un’emergenza vuol dire anche mettere in campo risorse eccezionali, non solo stressare un sistema, già vicino al collasso in situazioni “normali”. Così la “emergenza influenzale” è la rappresentazione ciclica e quasi rituale della fragilità del sistema stesso: la realtà fa improvvisamente diventare vane parole come vaccinazioni, deospedalizzazione, corretto utilizzo del P.S., informazione al cittadino, ruolo dei Medici di Medicina Generale e anche quanto avevamo proposto: un utilizzo “emergente e integrato” con i MMG e guardia medica dei presidi territoriali (Nardò, Campi S., Poggiardo, Gagliano, ecc). Ma di una cosa siamo certi“, conclude il dott. De Giorgi, “questa fragilità non può essere scaricata sempre e solo (come in questo caso) sui medici, facile capro espiatorio sacrificale, ma in realtà unico (e ultimo) baluardo del diritto alla salute”.


Copertino

Contro il lavoro nero: sequestri, sanzioni salate e chiusure

I Carabinieri, in collaborazione con i colleghi  del (N.A.S.) e dell’Ispettorato del Lavoro, hanno condotto un approfondito servizio di controllo finalizzato a contrastare il lavoro sommerso e le irregolarità nelle attività commerciali e garantire la tutela della salute pubblica.

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Quattro attività commerciali controllate e varie difformità: lavoratori irregolari, mancanza di documentazione di sicurezza e violazioni sanitarie.

Sanzionate e sospese due aziende; deferiti due uomini per guida in stato di ebbrezza e segnalato un giovane per possesso di droga.

I Carabinieri di Gallipoli, in collaborazione con i colleghi  del (N.A.S.) e dell’Ispettorato del Lavoro (N.I.L.), hanno condotto un approfondito servizio di controllo finalizzato a contrastare il lavoro sommerso e le irregolarità nelle attività commerciali e  garantire la tutela della salute pubblica.

A Copertino, presso un autolavaggio, sono state riscontrate gravi irregolarità quali il mancato aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (D.V.R.), l’assenza di sorveglianza sanitaria e la presenza di lavoratori irregolari.

A Galatone, un’attività di somministrazione di alimenti e bevande è stata sottoposta a controlli che hanno evidenziato omissioni sulla sorveglianza sanitaria, mancata attuazione delle procedure di autocontrollo e la presenza di un lavoratore irregolare. Anche in questo caso, sono state applicate sanzioni per oltre diecimila euro e la sospensione dell’attività.

A Neviano, sono state controllate due attività di somministrazione di alimenti e bevande, riscontrate violazioni riguardanti la mancata prevenzione degli incendi e il mancato aggiornamento del D.V.R.

In questo caso le sanzioni comminate sono state di oltre tredicimila euro.

Nel complesso, le attività di controllo hanno coinvolto quattro aziende, verificato l’impiego di otto lavoratori, comminate sanzioni amministrative per quasi cinquantamila euro.

Sul fronte della sicurezza stradale, i militari dell’Arma hanno deferito in stato di libertà due uomini, rispettivamente di Nardò e Parabita, trovati alla guida di autovettura con tasso alcolemico superiore ai limiti consentiti.

Inoltre, un giovane gallipolino è stato segnalato alla Prefettura di Lecce per il possesso di circa 0,5 grammi di sostanza stupefacente, verosimilmente marijuana.

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Alliste

Un ettaro di discarica abusiva

Carabinieri forestali a tutela del vincolo paesaggistico. Ad Alliste sequestrata vasta area quadri utilizzata come discarica di rifiuti anche pericolosi. Denunciato il proprietario

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I Carabinieri Forestali del Nucleo di Gallipoli sono intervenuti ad accertare una situazione di gestione di rifiuti, su una vasta area in zona tutelata per il paesaggio, ai sensi del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (categoria “Immobili ed aree di notevole interesse pubblico” del cosiddetto “Codice Urbani”), risultata del tutto illecita.

L’ episodio riguarda un terreno in località Perni in agro di Alliste, della superficie di quasi un ettaro (9mila metri quadri), per due terzi ricoperto da rifiuti di ogni tipo, in parte livellati e spianati.

I materiali abbandonati al suolo erano composti prevalentemente da scarti di demolizioni edili, compresi infissi in legno, ferro e plastica, pannelli in cartongesso, nonché rifiuti pericolosi come contenitori con residui di vernici, solventi, silicone.

Al margine di questo piazzale di rifiuti erano stati realizzati un locale in lamiera della superficie di 30 metri quadri, ad uso deposito, e un altro in pietra a secco, con antistante pavimentazione in piastrelle e tufo granulare.

A parte la gestione illecita dei rifiuti, le suddette opere sono risultate abusive, mancando qualsiasi titolo autorizzativo.

Per di più, come detto, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, e caratterizzata da vegetazione spontanea a macchia mediterranea.

Ad evitare il protrarsi degli abusi, i Carabinieri Forestali hanno sottoposto a sequestro preventivo l’ intera area, e denunciato alla Procura della Repubblica di Lecce il proprietario, un 70enne del posto.

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Cronaca

Condannato per omicidio e latitante: era in un B&B, in riva al mare

Arrestato a Torre Lapillo Carmine Mazzotta l’uomo che nel 1999, a capo di un commando di 4 persone, fu l’esecutore materiale dell’assassinio del 21enne Gabriele Manca

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Si nascondeva nella camera di un B&B a Torre Lapillo, Carmine Mazzotta, latitante dall’8 marzo di quest’anno dopo la sua condanna a trent’anni di carcere per omicidio, confermata il giorno prima dalla Cassazione.

A stanarlo sono stati i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando Provinciale, che dopo la sua fuga non hanno mai abbandonato l’idea di trovarlo ancora in zona.

Si è chiusa così la latitanza del pregiudicato 51enne, sparito dalla circolazione dal 7 marzo di quest’anno, poche ore dopo la sentenza definitiva della Cassazione che aveva confermato la condanna a 30 anni di carcere, inflittagli dalla Corte d’Assise d’Appello di Taranto il 30 maggio scorso poiché riconosciuto colpevole di omicidio in concorso, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.

L’omicidio in questione fu commesso il 17 marzo 1999 quando fu assassinato il 21enne Gabriele Manca, coinvolto in contrasti legati allo spaccio di droga e poi ucciso in una zona di campagna compresa tra Lizzanello e la frazione di Merine, a pochi chilometri da Lecce.

Il cadavere del giovane venne ritrovato il 5 aprile successivo, giorno di Pasquetta.

Manca, secondo il quadro ricostruito dai Carabinieri del ROS diciotto anni dopo il delitto, fu ucciso a colpi di pistola sparatigli alle spalle con una Tokarev semi-automatica calibro 7,62, mentre tentava la fuga da un commando di quattro persone che aveva organizzato una vera e propria esecuzione.

Nel commando anche Carmine Mazzotta, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio, ossia colui che ha premuto il grilletto, tirato in ballo anche da due collaboratori di giustizia.

Dopo la condanna in primo grado a trent’anni con il rito abbreviato e conferma della pena in appello, i giudici della Cassazione avevano annullato con rinvio la condanna per Mazzotta, ragion per cui era stato instaurato un nuovo processo d’appello a Taranto.

In seguito alla decisione definitiva della condanna a trent’anni arrivata il 7 marzo 2025, l’uomo si era reso uccel di bosco ma, alla fine, è stato rintracciato dai Carabinieri del Nucleo Investigativo, all’esito di un’articolata indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia.

Dopo prolungati appostamenti, servizi di osservazione e ricognizioni, i militari dell’Arma hanno individuato il presunto nascondiglio del latitante presso un B&B di Torre Lapillo, poco distante dalla spiaggia.

Sono rimasti appostati giorno e notte per essere sicuri che fra gli ospiti della struttura ci fosse proprio il 51enne da catturare.

Prima di entrare in azione, due carabinieri hanno prenotato una stanza spacciandosi per una coppia di turisti arrivati in Salento per il “ponte” festivo.

Una volta individuata la camera occupata dal latitante, hanno avvisato le altre pattuglie che hanno circondato la struttura ricettiva e fatto irruzione, cogliendolo di sorpresa.

Il 51enne, che naturalmente aveva trovato rifugio nel b&b senza fornire veri nome e cognome, al momento dell’arresto era da solo e non ha opposto resistenza, mostrandosi sorpreso per l’arrivo degli investigatori.

Ha raccontato che, per non farsi scoprire, aveva evitato qualsiasi rapporto con l’esterno, approfittando della vicinanza al mare per fare qualche passeggiata e concedendosi solo qualche sporadico spostamento nei dintorni per fare la spesa.

L’uomo aveva con sé vari telefoni e diverse utenze telefoniche, oltre a capi di abbigliamento estivi e invernali.

Non è escluso, pertanto, non stesse pensando di spostarsi altrove per prolungare la sua latitanza.

Il 51enne è stato quindi portato in carcere a Lecce, dove dovrà scontare la pena definitiva.

Nel frattempo, con gli elementi acquisti durante le ricerche, sono in corso ulteriori indagini da parte dei carabinieri, mirate a ricostruire il periodo di latitanza e a scoprire le persone che lo hanno protetto e aiutato dal giorno della sua fuga.

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Il Comando Provinciale dei Carabinieri

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