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Attualità

Capirizze, Capirizzi e Fiori

Gli appellativi sono, nell’ordine, in collegamento niente più che con un nucleo famigliare, contraddistinto da capigliatura spiccatamente riccia e un altro nucleo, proprietario di un piccolo fondo agricolo a Marittima di Diso, denominato “Fiore”, che si raggiunge percorrendo Via Murtole in direzione della contermine località di Andrano

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Dal titolo delle presenti note, fanno capolino, non casualmente bensì in funzione dei contenuti e, specialmente, delle figure che, man mano, trovano anima e sviluppo, due singolari esemplificazioni di nomignoli o soprannomi, caduti e attaccatisi, secondo il lessico paesano, su determinate famiglie e/o persone.


Invero, da queste parti, siffatto genere di processo identificativo è più frequentemente veicolato da una coppia di precipue lettere minuscole dell’alfabeto precedute dal segno d’apostrofo, ‘u e ‘a, a seconda che ne segua un’accezione maschile o femminile, che si avvalorano e sostanziano in un caso, alla buona, indicante appartenenza o provenienza.


Qui, come dianzi accennato, la circostanza è però inconsueta, giacché gli appellativi menzionati sono, nell’ordine, in collegamento niente più che con un nucleo famigliare, contraddistinto da capigliatura spiccatamente riccia e un altro nucleo, proprietario di un piccolo fondo agricolo a Marittima di Diso, denominato “Fiore”, che si raggiunge percorrendo Via Murtole in direzione della contermine località di Andrano.


Compiuta questa necessaria premessa e procedendo in un certo ordine logico, la rievocazione narrativa prende l’abbrivo da un’immagine a me particolarmente vicina e cara, ossia a dire quella dell’indimenticabile e dolce nonna materna, Lucia Frassanito, la cui famiglia d’origine e appartenenza era conosciuta e indicata, appunto, con la designazione di Capirizzi e Capirizze.


La predetta mia ascendente, insieme a nonno Giacomo, mise al mondo sei figli, fra maschi e femmine, con mia madre Immacolata primogenita, ma non è su di lei che intendo qui riferire, salvo che per il piacere di ricordarla in veste d’ideatrice, promotrice e protagonista di una minuscola joint venture, operante nell’ormai distantissima stagione della mia fanciullezza.


Nella sua famiglia era sempre allevata una capretta, dalla cui mungitura, è chiaro, si ricavava, quotidianamente, una risicata quantità di latte, assolutamente insufficiente per mettersi a trasformarlo in formaggio.


E, però, la brava donna, rimediava all’esigua produzione propria, mediante un accorgimento concordato con le famiglie del vicinato, anch’esse proprietarie di un capo ovino per ciascuna.


Un determinato giorno, gli allevatori, in pratica consorziatisi sulla parola, erano chiamati a conferire le rispettive produzioni, in blocco, alla famiglia X, il giorno seguente a un’altra e così via.


In tal modo, presso ciascun nucleo, veniva a concentrarsi, ogni volta, un’apprezzabile raccolta di bianco liquido, bastante per ricavarne, attraverso una lenta operazione di bollitura e con l’ausilio del caglio naturale, una piccola forma di formaggio.


Muovendo un passo indietro, nella povera abitazione a piano terra più un camerino sulla terrazza destinato al sonno e al riposo dei figli maschi, in vico Maggiore Galliano, nei pressi della piazza e della Chiesa Matrice di Marittima, nonna Lucia, da giovane, viveva insieme con i genitori Vitale e Grazia, le sorelle Cristina, Peppina e Teresina e i fratelli Michele e Cosimo.


Tutti i Frassanito marittimesi esercitavano indistintamente, per tradizione, il mestiere di muratore; così era, quindi, anche per il mio bisnonno (tataranne) Vitale, il quale, da esperto, aveva realizzato due piccoli monoliti in pietra leccese, con spigoli smussati e arrotondati, sistemandoli sulla terrazza di casa, a guisa di base d’appoggio per la ramificazione e la crescita, aiutate da fili di ferro incrociati, di una pianta di vite che, dal livello stradale, era lentamente salita sino a raggiungere il piano di copertura dell’abitazione.


A distanza di molti decenni, l’immobile in questione ebbe a passare di mano, quanto a titolarità, e a subire radicali modifiche, tuttavia uno di quei preziosi manufatti in pietra leccese è stato recuperato e conservato da una persona intelligente e fa ancora bella mostra di sé all’interno di una moderna dimora marittimese.


CRISTINA CAPIRIZZA


Cristina “capirizza (per mia madre e per me, zia), a sua volta, si maritò con tale Vitantonio Cerfeda ed ebbe sei figli, un maschio e cinque femmine, nominativamente Immacolata, Adelina, Maria, Annunziata, Agnese e Vitale.


Una famiglia che, evento non frequente, finì con l’integrarsi, se non in toto, in misura preponderante, con i membri di un vicino nucleo o focolare, quello di Vitale e Pasqualina Nuzzo, soprannominati i “fiori” (oppure ‘u fiore) di cui al titolo; anche lì, sei figli, però cinque maschi e una femmina, in altre parole Toto, Pippi, Fiore (addirittura un nome di persona derivato dall’attaccamento del capofamiglia al suo fondo agricolo), Uccio, Tereso e Tetta.


Ciò, giacché le prime quattro “capirizze” dell’elenco divennero mogli dei primi quattro “fiori” e, altro particolare non comune, andarono ad abitare in quattro nuove abitazioni, fabbricate, per precisa scelta, attaccate l’una all’altra, in progressione lungo un comune viale e fronteggiate da distinti eguali orti/giardinetti.


Un tempo, erano strettissimi, si può dire a livello di fratelli e sorelle, i legami intercorrenti tra cugini, perciò mia madre Immacolata era un tutt’uno con la sua omonima cugina, sposatasi con Toto ‘u fiore.


Detta cugina, oltre a governare la casa, si occupava di cucito e, in special modo, del confezionamento di copri letti imbottiti di bambagia, quelli che oggi sono definiti piumoni o trapunte, mentre, allora, si parlava d’imbottite.


In occasione del nostro matrimonio, anche mia moglie ed io ci rivolgemmo a lei per farci realizzare la nostra imbottita, accessorio che conserviamo gelosamente, non tanto per uso concreto, quanto come valore e ricordo affettivo. Ancora, l’ho appreso di recente, mia sorella Teresa ha fatto capo a suo marito, Toto ‘u fiore, per piastrellare la sua grande cucina.


L’intenso legame fra le due Immacolata ha avuto per seguito un bel rapporto fra i rispettivi discendenti, secondi cugini fra loro; così è avvenuto riguardo a me e a Vitantonio, primogenito di Immacolata e Toto. Quasi coetanei, verso la fine degli anni cinquanta, abbozzammo, contemporaneamente, innocenti filarini con due ragazze di Castro, poi entrambi iniziammo a lavorare e mettemmo su famiglia, tuttavia, nonostante risiedessimo in località distanti, il bel sodalizio continuò.


TOTO U FIORE


Vitantonio, chiamato Uccio – come si legge in una narrazione dell’amico e scrittore marittimese Giuseppe Minonne, anche lui cugino di Toto ‘u fiore e, dopo la morte della madre, le seconde nozze del padre e l’arrivo della “mamma nuova” non propriamente gradita e accettata, frequentemente ospite, insieme con due sorelle, nella relativa casa e nel fondo “Fiore” – fece in tempo a lasciar conoscere al vecchio nonno paterno Vitale la sua primogenita Olga, così battezzata in memoria di una sorellina che era morta in tenera età.


Dopo di che, purtroppo, a Uccio restò una breve vita, in quanto, ad appena quarantuno anni, finì i suoi giorni in un paese lontano dove si era temporaneamente trasferito per ragioni di lavoro.


Uccio, un ragazzo e un uomo eccezionalmente a modo, d’oro si può affermare. A breve distanza dalla sua scomparsa, ritornato a Marittima per le ferie, mi recai a casa dei suoi genitori e abbracciai la sua mamma Immacolata, dicendole solamente: “Era il migliore di tutti noi”. Uccio se n’è andato, ma conservo vivo nella mia mente, e tengo a rivederlo ogni tanto nella casa di tutti fra i cipressi, il suo sereno sorriso.


Un’altra sorella di nonna Lucia, Peppina “capirizza”, si maritò con tale Carmine Sergi di Andrano e, dalla loro unione, nacque Rocco. Quest’ultimo, sin da piccolo, più che nei confronti dei famigliari del ramo paterno, ebbe viva predilezione e forte affetto per i nonni, gli zii, le zie, i cugini e le cugine marittimesi, capirizzi e capirizze e pure per i rispettivi discendenti.


Rivedo Rocco, sebbene anche lui manchi da decenni, nell’atto di accogliere me e mia moglie che, ogni anno, compivamo una puntata ad Andrano in occasione della festa patronale della Madonna delle Grazie. Passavamo davanti a casa sua e ci salutavamo con ardore.


Puntuale la mia domanda: “Rocco, tua moglie Pasqualina, dov’è, come sta?”. E lui, a rispondermi sistematicamente, fornendo prova di delicatezza, affetto e rispetto per la consorte: “Rocco, la mia signora (da notare, non diceva mia moglie) è già andata avanti e mi sta aspettando all’esterno della chiesa per la processione della Madonna”.


Altra chicca che mi giunge alla memoria, e mi sembra indicativa, Rocco Sergi ha avuto tre figli, Peppino, Lucia (divenuta suora) e Uccio. Il nome di battesimo dato alla figlia rispecchia, si pensi, quello della seconda moglie del padre Carmine, rimasto vedovo di nonna Peppina Frassanito “capirizza” e convolato in seguito a seconde nozze con una donna di Spongano chiamata Lucia.


Questo dimostra che, anche con una matrigna o con un patrigno, i nati di primo letto possono intrattenere buoni rapporti, sino, addirittura, come avvenuto in questo frangente, a dedicar loro il nome di un figlio.


I CAPIRIZZI


Venendo ora ai “capirizzi” Michele e Cosimo Frassanito, fratelli di nonna Lucia, atteso che, riguardo al primo, ho già avuto modo in passato di intrattenermi, tratteggiandone la figura e la carriera attraverso il racconto “Il mare di Meris” (Meris, sua unica figlia), incluso nella mia raccolta “Quando il gallo cantava la mattina” del 2012, qui mi concentro sul secondo, Cosimo, il quale, oltre che col nomignolo di “capirizzo”, era appellato “Cosimu longu” per la sua elevata statura.


Zio Cosimo, sposato con zia Costantina, agli antipodi rispetto al fratello, era al vertice di una famiglia numerosa, ben otto figli (Antonietta, Elvira, Rita, Maria, Gino, Vitale, Eugenio e Franco), generati in un intervallo abbastanza ampio, al punto che l’ultima della nidiata, Maria (classe 1945), era più giovane del primo figlio avuto dalla sorella Antonietta.


Dimoravano in due abitazioni attigue a piano terra e primo livello, i predetti germani, immobili, ora, di proprietà, rispettivamente, di una coppia marittimese e di un noto personaggio televisivo. Così gemelle e attaccate le case, così diverse e distanti le strade e le vicende esistenziali di Michele e Cosimo.


Il primo, sottufficiale di carriera in Marina, in giro per il mondo sino alla Cina, una lunga permanenza in Istria quando la medesima era territorio italiano, vita oltremodo tranquilla e senza scosse.


Al contrario, il secondo, zio Cosimo, peraltro sempre legatissimo e affezionato ai famigliari e parenti, ebbe invece a trovarsi coinvolto in un episodio di cronaca nera, l’uccisione di un compaesano marittimese, di cui gli fu fatto carico in concorso con il suocero, con lo sbocco anche, di un lungo periodo di detenzione.


La vicenda segnò un colpo devastante, non solo per lo zio Cosimo, ma per la sua intera famiglia, che preferì lasciare Marittima e trasferirsi in una cittadina del Brindisino, avendo lì agio di contare su maggiori possibilità di lavoro.

Alcuni dei “capirizzi” così emigrati non ci sono più e, però, quelli che esistono ancora, abitanti a Mesagne o in altre località (mi è stato riferito che l’ultimogenita Maria vive a Megève, in Francia), sono rimasti molto legati alle loro origini. Un paio d’anni fa, in una rapida puntata da queste parti, hanno insistito con un parente al fine di ottenere una foto dell’insenatura “Acquaviva” così come si presentava negli anni cinquanta.


Un sito a loro carissimo e rimasto nel cuore, giacché, al pari dello zio Michele, il loro genitore possedeva una porzione del Bosco dell’Acquaviva, da dove erano soliti scendere a piedi per sostare e fare i bagni estivi nelle cristalline e fresche acque dell’amenissimo omonimo seno, oggi sito conosciuto e apprezzato non solo in Italia e in Europa ma nel mondo intero.


Rocco Boccadamo






 


Attualità

Elezioni a Tricase, giochi fatti? Ancora no

Certe le candidature dell’uscente Antonio De Donno e di Vincenzo Errico (Tricase Insieme). Fratelli d’Italia insiste con Claudio Pispero. Situazione fluida nel centrosinistra. I possibili scenari

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di Giuseppe Cerfeda

In attesa della definizione delle candidature per le elezioni regionali, proseguono a Tricase incontri e trattative per l’appuntamento, cruciale, con le comunali della prossima primavera.

Premessa d’obbligo: le consultazioni regionali, sia la vittoria finale, quindi il nuovo governatore, che i risultati dei singoli candidati consiglieri, potrebbero in qualche modo influenzare le scelte per candidature e liste anche in sede cittadina.

Partiamo intanto dalle certezze, con le candidature già annunciate dai diretti interessati.

IL SINDACO USCENTE

Sarà sicuramente della partita il sindaco uscente Antonio De Donno.

Dopo le disavventure giudiziarie che hanno coinvolto l’ex assessore regionale Alessandro Delli Noci (e quindi l’impasse che ne è conseguita per il movimento politico CON), resta da verificare quale sarà lo schieramento che sosterrà la ricandidatura del primo cittadino uscente.

Detto che si tratterà comunque di liste civiche, tra le ipotesi in ballo c’è anche quella del sostegno di parte del centrodestra.

FRATELLI D’ITALIA

Non solo gli amministratori uscenti vicini a quell’area politica ma anche coloro che gravitano nel mondo di Forza Italia non escludono affatto taòepossibilità.

Non pare dello stesso parere Fratelli d’Italia che, invece, continua a lavorare, sempre con un occhio alle regionali, alla candidatura di Claudio Pispero.

Dal circolo del partito della Meloni, comunque, non pongono veti assoluti a eventuali evoluzioni e, quindi, a una coalizione di centrodestra che si presenti unita alle elezioni.

Danno, però, zero chance all’eventualità di sostenere il sindaco uscente.

CHE SUCCEDE NEL CENTROSINISTRA?

Situazione in evoluzione anche nel centrosinistra.

Gli ultimi sviluppi indicano come possibile candidato l’oncologo Vincenzo Chiuri (proposto dal Partito Democratico e scelto da una rosa che comprendeva anche Anna Maria Girasoli, proposta da Sinistra italiana, e Dario Martina dal Cantiere civico).

L’obiettivo Campo Largo è stato annunciato da mesi (soprattutto dai Dem), insieme alla volontà di presentarsi uniti ai nastri di partenza.

Sulla questione candidato e unità, al momento, però, le bocche restano cucite, anche perché gli equilibri sembrerebbero fragili.

Da quel che siamo riusciti a sapere, ci sarebbe già una bozza di accordo tra PD, Cantiere civico e Sinistra italiana.

Chi ancora, invece, appare perplesso (eufemismo) è “Tricase, che fare?”.

Il movimento fondato da Giovanni Carità è fermo sulla posizione che prevede le Primarie per la scelta del candidato.

Ma il PD, partito che le ha sdoganate, da quell’orecchio pare non sentirci.

Incontri e dialoghi continuano ma, soprattutto sul versante “Tricase, che fare?”, sono molto pessimisti sulla buona riuscita delle trattative.

Resta, invece, da capire cosa faranno coloro che da tempo sono stati indicati (e hanno dato la loro disponibilità) come candidati.

Cosa farà, ad esempio, Andrea Morciano?

Secondo i soliti bene informati l’ingegnere sarebbe sponsorizzato dall’ex segretario provinciale del PD Ippazio Morciano e dal gruppo che a Tricase ne fa riferimento.

All’interno della coalizione di centrosinistra, al momento, però, non non ci sarebbe una convergenza totale rispetto alla sua candidatura.

FANTAPOLITICA?

C’è anche chi, fedele al motto di andreottiana memoria («A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina»), ipotizza uno scenario (quasi) da fantapolitica.

Secondo tale ipotesi, potrebbe accadere che Chiuri, che ha dato la propria disponibilità solo nell’eventualità di Campo Largo, non confortato dall’auspicata unità di intenti, faccia un passo indietro.

E a quel punto? A quel punto, stretti nei tempi e nelle possibilità, Dem, Cantiere civico e Sinistra italiana potrebbero (dovrebbero?) sostenere Andrea Morciano. Solo fantapolitica? Chissà…

Da noi interpellato, Andrea Morciano ha confermato «la volontà di candidarmi».

Poi ha chiarito: «Non voglio essere fonte di divisione per chicchessia. Centrosinistra? Certo, è la mia comfort zone, l’area a cui appartengo. Vedremo… Di certo sarò contro l’attuale amministrazione».

TRICASE INSIEME

«Confermatissima» la candidatura di Vincenzo Errico a capo del movimento civico “Tricase Insieme”, mentre si sono perse le tracce di Fernando Dell’Abate che, come raccontano le solite gole profonde, in tempi non sospetti, avrebbe avanzato la propria candidatura, trovando la strada sbarrata nel centrosinistra, l’area a cui, da ex socialista, storicamente appartiene.

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Approfondimenti

“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…

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di Luigi Zito

Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.

E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.

Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.

Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.

Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.

Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.

Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.

Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.

Ricordiamocene.

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Approfondimenti

L’ambasciatore Cristina: “Ho conosciuto Putin e il Dalai Lama, che esperienze”

«Il Salento, è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate a Tricase, per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere”…

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di Ercole Morciano

Cristina Funes-Noppen è ambasciatore onorario del Belgio (lei stessa preferisce l’appellativo di ambasciatore a quello di ambasciatrice essendo quest’ultimo usato per indicare la moglie dell’ambasciatore, NdR), e da un po’ di tempo vive buona parte dell’anno in Salento, a Tricase, dove ha comprato un’antica dimora, quasi attaccata alla chiesa matrice, adattandola ai suoi bisogni,

Figlia di ambasciatore ha seguito le orme paterne e dopo gli studi accademici a carattere diplomatico ha percorso la sua carriera come ambasciatore del Belgio in numerosi Paesi nei vari continenti tra cui Zambia, Kenya, India, Tailandia, Marocco, Austria e Argentina, senza dimenticare che in tutte le sue destinazioni, come ambasciatore residente, copriva anche larghe giurisdizioni riguardanti altri vari Paesi.

È stata anche coordinatore di tre direzioni al ministero degli affari esteri: Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite e Disarmo.

Ha ricoperto inoltre le funzioni di rappresentante permanente presso l’O.N.U e di commissario speciale per la cooperazione e lo sviluppo.

Dopo aver seguito le orme paterne in ambito professionale, l’ambasciatore segue ancora oggi le inclinazioni della madre, Maria Noppen De Matteis, pittrice e “star mondiale del surrealismo anche se poco conosciuta in Puglia” (bari.repubblica.it > cronaca 2022/12/19 news).

Nata nel 1921 nel castello baronale dei Sauli di Tiggiano, cui apparteneva la madre, dove le è stato allestito un museo permanente delle sue opere, Maria Noppen De Matteis, verso la fine degli anni ’50 e i primi ’60, d’estate villeggiava col marito e la figlia Cristina a Tricase-Porto, nella casa di Angelico Ferrarese, posta in una splendida posizione panoramica e vicina al villino di Gaetano Sauli, suo parente.

La giovanissima Cristina (Cri-Cri per le amiche e gli amici) era bionda, solare, molto bella, vivace, dal sorriso incantevole che “faceva girare la testa” ai giovanissimi rampolli delle famiglie-bene di Tricase-Porto in quel periodo caratterizzato dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere.

La vena artistica di Cristina Funes-Noppen ne fa un personaggio veramente eclettico e sorprendente perché, oltre a dipingere, ella scrive con successo, in francese, romanzi e saggi storico-letterari dai quali traspare la sua speciale cultura maturata a diretto contatto con i popoli delle nazioni dove ha esercitato il ruolo diplomatico.

Gli ultimi suoi due romanzi, editi nel 2023 e nel 2025, si intitolano “Ils étaient six” e l’altro “Équivoques”. Il primo, narra la vicenda dei criminali nazisti che alla fine della II guerra mondiale si nascosero in Argentina.

La trama si svolge a sud delle Ande, in piena cultura “quechua” e consente al lettore, in filigrana, di seguire l’evoluzione politica dell’Argentina negli anni 1945-1983.

L’ultimo, contiene quattro romanzi gialli che danno informazioni su diversi Paesi, Kenia, India, Thailandia e un dialogo spiritoso sulla morte.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

Perché il Salento e Tricase?

«Il Salento è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più – ma ci sono i miei cugini, è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere malgrado le mie molte peregrinazioni nel mondo, è infine la terra dove mi sento a casa. Nonostante la mia nazionalità belga sono rimasta profondamente salentina».

È soddisfatta della sua scelta? Ombre e luci?

«Se consideriamo il tipo di vita che si ha qui rispetto a quello di altri Paesi, occorre riconoscere che qui la qualità della vita è più umana. E poi, il patrimonio naturalistico, architettonico, storico, e culturale, nell’insieme, è di alta qualità e ampiamente godibile».

«HO CONOSCIUTO PUTIN»

Tra i diversi Capi di Stato o di governo da lei conosciuti, come racconta nel suo libro Chroniques impertinentes… ancora in carica tra gli altri vi è Vladimir Putin.

«Ho conosciuto Vladimir Putin nel 2001 quando è venuto in visita ufficiale in Belgio. Io ero all’epoca commissario speciale e pertanto fui invitata alla cena di gala. Non ci siamo parlati molto, però mi diede l’impressione che ci teneva ad avere buoni rapporti con l’Europa. Non mi sembrò nemmeno che terrorizzasse i suoi collaboratori.

Di fianco a me era seduto il suo consigliere per le questioni nucleari che aveva abusato della “divina bottiglia”, come dicono i francesi, e pertanto cantava in francese durante tutta la cena suscitando l’ilarità dei commensali, compreso Putin.

Cantando a squarciagola, non dava certo l’impressione di temere il suo presidente, il che non succede normalmente nelle cene ufficiali di gala e tanto meno di fronte a quello che è supposto essere un dittatore sanguinario.

Nella mia carriera ho incontrato vari dittatori e posso assicurare che davanti a loro nessuno dei collaboratori al seguito si sarebbe permesso di cantare».

GLI OSTAGGI

Due aneddoti, uno triste e l’altro lieto, nei suoi ricordi di ambasciatore.

«Il primo, andato a buon fine, riguarda due ostaggi di Medici senza Frontiere presi dall’armata di liberazione del Sud Sudan e liberati dopo una trattativa durata 20 giorni in cui i guerriglieri vollero trattare solo con me, al telefono, di notte.

Non ci chiesero nessun riscatto come invece per ripicca accadde dieci giorni dopo, con un altro ostaggio francese, la cui trattativa durò tre mesi e si chiuse con l’esborso di un’ingente somma di denaro. Questo mi fu precisato, ridendo, dal mio collega francese che pretese che era tutta colpa mia se la SPLA si era rifatta sul suo governo! L’aneddoto triste riguarda invece due belgi, un ragazzo che lavorava per le Nazioni Unite e sua moglie.

Erano spariti da 5 anni e i due miei predecessori non erano riusciti ad avere notizie certe.

I genitori speravano e le autorità pretendevano che fossero ancora vivi. È una storia romanzesca che si svolse in Thailandia e in Cambogia. Da quello che finalmente sono riuscita a scoprire seppi che erano stati uccisi dai Khmer Rossi, forse con la complicità dell’esercito thailandese e eventualmente con risvolti riguardanti il traffico di opere d’arte.

Testardamente impegnata, dopo molte peripezie, e dopo aver insistentemente discusso con i due re, Shianouk e Bhumipol, fui messa in contatto con il capo dell’esercito thailandese e con i Khmer Rossi che mi consegnarono le spoglie che io affidai alle famiglie, le quali ebbero almeno la consolazione di sapere cos’era successo ai loro figli e di potere seppellirne i corpi».

IL DALAI LAMA EMETTE UNA ENERGIA POSITIVA

La persona che più ha lasciato traccia nel suo animo durante la lunga carriera diplomatica?

«È stato di certo il Dalai Lama: una persona assolutamente fuori dal comune che emette un’energia positiva straordinaria e trasmette alle persone che incontra una carica di felicità. E ho il privilegio di avere ancora dei contatti sporadici con questo sant’ uomo, grazie al quale la cultura tibetana continua a sopravvivere malgrado l’occupazione della Cina che fa di tutto per eradicarla.

Perciò il Dalai Lama ha deciso che dopo la sua morte non si reincarnerà nel Tibet per evitare che i Cinesi arrestino la sua reincarnazione (che potrebbe essere anche una bambina) e la sostituiscano con una di loro scelta come fecero con il Panchen Lama (figura importante nel buddhismo tibetano).  Il Panchen Lama che si era reincarnato nel Tibet. fu arrestato quando aveva solo 6 anni nel 1995, rimpiazzato con un ragazzino che conveniva alle autorità cinesi e nessuno sa, da allora, dove si trovi il vero Panchen Lama».

Chroniques impertinentes

“…Un libro che si caratterizza per una libertà di spirito, un tono a volte mordace, esotico e cosmopolita. Un libro istruttivo, politicamente scorretto…ma così giusto! Un libro prezioso che deve essere letto da coloro che s’interessano alla diplomazia e agli affari di questo mondo”.

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