Approfondimenti
Sanità, come paghi mangi
Il Servizio Sanitario Nazionale sta perdendo una delle caratteristiche distintive e il suo punto di forza: l’accesso universalistico. Di contro, l’incapacità della sanità pubblica di far fronte alla richiesta di prestazioni mediche ha favorito il proliferare di struture convenzionate o del tutto private. Interviste all’assessore regionale Rocco Palese, all’ex direttore dell’Asl Lecce Franco Sanapo (oggi medico della Direzione Sanitaria della Clinica San Francesco di Galatina) ed a Suor Margherita Bramato, direttrice generale dell’ospedale “Cardinale G. Panico” di Tricase
di Giuseppe Cerfeda
Complice anche l’innalzamento dell’aspettativa di vita, negli ultimi anni è aumentata a dismisura la richiesta di prestazioni sanitarie a fronte di una sempre maggiore difficoltà da parte della sanità pubblica di soddisfare la domanda. Conseguenza quasi fisiologica di tale quadro, il proliferare di cliniche, case di cura, centri medici, poliambulatori specialistici privati e/o convenzionati. Questo è accaduto
su tutto il territorio nazionale ed il Salento non fa eccezione.
L’assessore regionale alla Sanità, Rocco Palese, conferma la paresi del servizio pubblico nazionale: «La parte pubblica è enormemente burocratizzata. Chi ha bisogno è costretto a prendere appuntamento con il medico di base; stabilito che ha bisogno di una visita specialistica, dovrà andare al Cup per la prenotazione; dopo la visita specialistica dovrà rifare la trafila per il referto… Mbah, uno si fa quattro conti: se per una radiografia, ad esempio, con 40 euro si riesce in un giorno a fare tutto, vale la pena perdere tempo dietro la sanità pubblica? Senza contare il problema delle liste d’attesa e quindi del tempo che il paziente dovrà aspettare prima di poter finalmente soddisfare i suoi bisogni».
«Come forse mai accaduto prima», ammette Palese, «il servizio sanitario pubblico sta attraversando una fase di profonda crisi rispetto alla sua caratteristica principale che è l’accesso universalistico alle prestazioni, che dovrebbero essere garantite dalla parte pubblica perché non tutti si possono permettere quella spesa per curarsi».
L’assessore regionale evidenzia poi un altro aspetto: «Pur essendo la nostra una provincia a bassa capacità fiscale, con poco reddito, anche da noi si sta diffondendo il fenomeno delle assicurazioni. Prendiamo ad esempio i dentisti: un congruo numero, almeno il 30% dei pazienti che si rivolgono a loro per curarsi, hanno l’assicurazione».
Secondo Palese, sono diverse le cause che stanno determinando l’aumento dell’offerta privata al netto del servizio pubblico: «Innanzitutto vi è stata un’impennata dopo il Covid che ha molto sensibilizzato sulla necessità di screening, controlli cardiologici, ecc. Poi ci sono ragioni di natura diversa che riguardano l’invecchiamento della popolazione che quindi abbisogna di più di cure mediche. Non solo, un ruolo importante lo riveste anche l’aumento dei pazienti cronici. Una volta la cronicità riguardava per la stragrande maggioranza persone con handicap, con malattie rare o diabetici. Oggi, anche grazie allo sviluppo delle cure oncologiche l’aspettativa di vita in media, è più alta. Così come ci sono più opportunità di sopravvivere ad un infarto o ad altre patologie. Grazie a Dio direi oggi si vive di più. Tradotto, però, ci sono più malati cronici che devono essere assistiti».
Ci stiamo, forse, americanizzando?
«Sembrerebbe di si e la cosa non mi piace affatto! Il nostro servizio sanitario è considerato tra i migliori del mondo proprio per il suo accesso universalistico. Siamo in un contesto di tempesta perfetta. Il Covid oltre ad aver mietuto vittime, ha terremotato il servizio sanitario pubblico e rimetterlo in piedi è particolarmente difficile perché non abbiamo risorse sufficienti, i medici sono pochissimi e la richiesta di prestazioni cresce a dismisura».
Secondo lei questo è l’inizio della fine della sanità pubblica?
«Guai! Io continuo a crederci. Siamo davanti ad una criticità enorme, la più grande dal 1978, quando è nato il servizio sanitario nazionale, ma dobbiamo reagire, vincere la sfida e riportare la sanità pubblica ai livelli pre-Covid, o superiori».
Anche prima del covid era manifesto il problema delle liste d’attesa che oggi paiono una montagna impossibile da scalare. In tutta Italia sono stati finanziati più di tre miliardi basteranno per arrivare in vetta?
«È una falsità!», tuona Rocco Palese, «positivo l’investimento, ma non dicano che quei soldi servono per abbattere le liste d’attesa: 2,4 miliardi copriranno i costi del rinnovo dei contratti di tutto il personale; 500 milioni riguardano ’applicazione del nuovo tariffario delle prestazioni sanitarie a partire dal 1° gennaio 2024. Per le liste d’attesa restano circa 500 milioni, di cui poco più di trenta (32-34 milioni di euro) arriveranno in Puglia. Una goccia in mezzo al mare».
Franco Sanapo: «Necessaria radicale e coraggiosa riforma del sistema»
Sulla questione pubblico-privato nella sanità abbiamo interpellato Franco Sanapo già direttore sanitario dell’Asl Lecce e oggi medico della Direzione Sanitaria della Clinica San Francesco di Galatina che opera all’interno della Clinica dal 2011. La Clinica San Francesco è un ospedale Privato Accreditato (Convenzionato) con il Sistema Sanitario Nazionale. Ha due linee di attività: Ricovero per acuti (60 posti letto per Medicina, Chirurgia Generale, Ginecologia, Otorinolaringoiatria, Urologia e Oculistica), Attività Ambulatoriali (Radiologia, Laboratorio Analisi, Chirurgia Generale, Chirurgia Vascolare, Ostetricia e Ginecologia, Otorinolaringoiatria)
Mi può confermare la tendenza dei cittadini salentini a un ricorso massiccio alle prestazioni a pagamento e, quindi, a un proliferare di strutture private che rispondono a questa domanda di salute?
«Il fenomeno credo sia in linea con l’andamento generale nell’intera nazione. Confermo pertanto l’incremento della spesa sanitaria che i nostri cittadini sopportano di tasca propria non trovando risposte di salute nel sistema pubblico. Confermo anche il proliferare di strutture private, prevalentemente ambulatoriali, che erogano prestazioni sanitarie a pagamento».
Può fornire qualche stima, per inquadrare l’entità del fenomeno?
«Non sono in condizioni di fornire dati provinciali o regionali di quanto spendono di tasca propria i nostri cittadini per curarsi o quante sono le nuove strutture private sanitarie che in questi ultimi anni sono proliferate. Certamente hanno avuto una enorme impennata, basta guardare nei nostri comuni o in quelli vicini per rendersene conto. Il dato nazionale del 2022 indica un esborso da parte dei cittadini – che già finanziano la sanità pubblica e quella convenzionata con l’Irpef – di 41 miliardi e 503 milioni, per circa un quarto (25%) della spesa complessiva che supera i 170 miliardi. Posso tuttavia fornire il trend di crescita della spesa sanitaria a pagamento che rilevo dalla mia postazione lavorativa, che pure ha una attività convenzionata pagata dallo Stato. In un decennio (2012 -2022) le prestazioni ambulatoriali a pagamento hanno avuto un incremento molto rilevante. Non so se in altre strutture convenzionate si sia registrato lo stesso fenomeno, ho tuttavia il sentore che la Clinica sia in numerosa e ottima compagnia».
Perché i cittadini pagano una prestazione sanitaria invece di pretenderla e riceverla da una struttura sanitaria pubblica o convenzionata?
«Il meccanismo è semplice. Nelle strutture pubbliche le attività ambulatoriali e le radiologie sono prese d’assalto, gli addetti (specialisti e personale infermieristico o tecnico) sono pochi o mal organizzati, le attese sono lunghe, a volte superano i 12 mesi. Nel privato convenzionato la ASL assegna una somma annuale definita e invalicabile. Facciamo l’esempio di una struttura convenzionata per l’attività di endoscopia digestiva (gastroscopia o colonscopia) e ammettiamo che per quelle attività siano assegnati 120 mila euro, che significa, in dodicesimi, 10 mila euro al mese. Accade che intorno alla metà del mese, quello stanziamento è esaurito e non è possibile erogare la prestazione, con la conseguenza che slitta in avanti la data di prenotazione che ha già accumulato prenotazioni del mese precedente. L’effetto delle lunghe liste di attesa nel pubblico è la possibilità, per chi se lo può permettere, al ricorso alle prestazioni a pagamento in favore dei medici specialisti pubblici che erogano Attività Libero Professionali Intramoenia (ALPI) negli ospedali pubblici o negli ambulatori della ASL. L’effetto nel privato: o aspetti mesi e mesi se vuoi fare la visita o prestazione strumentale con la ricetta, oppure paghi e fai subito la prestazione. Da qui il proliferare di strutture di “privato puro”, vale a dire strutture che erogano prestazioni sanitarie solo a pagamento».
Secondo lei quali sono le cause di questo fenomeno in così rapida crescita?
«Le cause sono molte. A partire lo scarso finanziamento pubblico del Sistema Sanitario Nazionale. L’Italia destina poco più del 6,8% del PIL alla spesa sanitaria, al di sotto della media dei paese OCSE (nazioni con le economie più forti) e molto al di sotto della media europea. Se compariamo la spesa delle maggiori nazioni europee vediamo che Francia e Germania destinano alla sanità quasi l’11% del PIL, il Regno Unito circa il 10% e la Spagna il 9%. Ricordo che ogni punto di Prodotto Interno Lordo (PIL) significano miliardi su miliardi.
Il Sistema Sanitario Italiano, poi, è prevalentemente un sistema universalistico inserito nel mare magnum del Pubblico impiego che, come tale, ha sacche di inefficienze che affliggono tutta la pubblica amministrazione.
E ancora: l’inappropriatezza delle prestazioni. Non è un concetto astratto. Significa che se lo stato riconosce tutto a tutti (ti chiami John Elkann o Mario Rossi) gratis ognuno si sente in diritto di ricorrere al sistema a prescindere dalla reale necessità (appropriatezza), ingolfando il sistema già in crisi economica di suo. E, di conseguenza, il collasso dei Pronto Soccorso e le liste di attesa lunghissime per avere una prestazione. Nei sistemi sanitari differenti dal nostro, quelli finanziati non con la tassazione generale (IRPEF), ma con le Assicurazioni Sanitarie Sociali Obbligatorie – Germania, Svizzera, Francia, Olanda, Belgio e altre nazioni europee – l’efficienza del sistema è superiore e non si assiste a quanto rileviamo in Italia. Se non si mette mano alla riforma del nostro sistema, rendendolo più simile al modello europeo più virtuoso (modello tedesco), puoi mandare a governare la sanità anche il miglior manager del mondo, il fallimento è garantito. Il nostro sistema risponde a una governance di tipo politico (perché amministra i soldi di tutti). Il modello sanitario alla tedesca risponde a una governance di tipo economico. Notoriamente la politica cerca il consenso, le assicurazioni, seppure sociali obbligatorie, cercano l’efficienza e la sostenibilità».
Ci stiamo americanizzando?
«No, per fortuna! Perché siamo inseriti in una cultura europea che ha fatto del Walfare, contro le storture del liberismo selvaggio, il punto di forza e coesione sociale. Ma se non si mette mano alla modifica del sistema sanitario il rischio è elevato: chi può si cura, chi non può aspetta, con tutte le conseguenze in termini di aspettativa e qualità di vita».
L’attuale situazione delle difficoltà dei Pronto Soccorso, letteralmente presi d’assalto, delle lunghe liste di attesa per ricoveri programmati, per visite specialistiche e prestazioni strumentali è sanabile?
«Si attraverso due meccanismi. Il primo: impiegare più soldi (molti miliardi) ogni anno per assumere medici specialisti, personale sanitario e attrezzature, per aumentare i budget delle strutture convenzionate. A ammodernare l’edilizia sanitaria delle strutture pubbliche e fornirle di strumentazione moderna. Il secondo: mettere mano a una radicale e coraggiosa riforma dell’attuale sistema sanitario governato dalla politica e passare a quello europeo, più efficiente. Il primo meccanismo mi pare irrealizzabile perché o si aumentano le tasse (e nessuno lo vuole) o si aumenta il già mostruoso debito pubblico italiano. Il secondo sarebbe possibile se si abbandonano pregiudizi ideologici».
E la nostra Regione che amministra la Sanità con i trasferimenti economici?
«È vittima dei meccanismi che ho descritto prima, perché viene finanziata (male) dallo Stato. Pochi soldi per la sanità, disavanzo economico annuale e inefficienze sono sotto gli occhi di tutti. Con qualunque partito e con qualunque assessore».
Suor Margherita Bramato: «Pubblico e privato devono coesistere»
La premessa di Suor Margherita Bramato, direttrice generale dell’Azienda Ospedaliera “Cardinale G. Panico” di Tricase, è che «la presenza delle strutture private è una possibilità di libera scelta, per chi vuole e ne ha l’opportunità, di accedere a proprie spese alle prestazioni sanitarie. Riguardo alle strutture convenzionate, invece, ritengo siano necessarie. Sono per il sistema misto perché il pubblico, da solo, non potrà mai reggere. è importante, in una democrazia, l’apporto dei privati, soprattutto quelli no profit che condividono la mission dell’assistenza al paziente e quindi siano di supporto, di integrazione o, addirittura, all’interno delle reti. Il nostro, ad esempio, è un ospedale classificato ed è nelle reti. Quindi, dal punto di vista dei servizi, siamo equiparati al pubblico».
Si teme che si arrivi al punto in cui si potrà curare solo chi ne ha la possibilità economica.
«È una questione di organizzazione. Premesso che la rete dell’urgenza-emergenza segue una sua via di priorità, è chiaro che se manca il personale, che è un dato di fatto oggettivo, il sistema va in tilt. Ci vorrebbe un’organizzazione ferrea e la giusta vigilanza sull’adeguatezza delle prescrizioni, perché la programmazione e l’organizzazione reggano».
Non è anche una questione di risorse?
«Certamente. Perché, come dicevo, soffriamo di carenza di personale, oltre ad essere spesso prigionieri anche di una serie infinite di normative che limitano la disponibilità. Quello che è successo di recente con i medici del pronto soccorso barese, puniti (la sanzione è stata poi annullata, NdA) per aver lavorato troppo durante il covid grida vendetta. C’è una discrasia anche all’interno dell’organizzazione governativa: da una parte si chiede di fare il massimo, dall’altra sorgono questioni particolari come quelle vissute da quei medici. Credo che nella vita occorra trovare il giusto equilibrio. Anche per la questione delle liste d’attesa: il problema è a monte, bisogna lavorare cioè sull’appropriatezza delle prescrizioni e distinguere l’emergenza da tutto ciò che può aspettare. Ad ogni modo, il pubblico da solo non ce la può fare ed è necessaria l’integrazione del privato no profit e di quello convenzionato. L’ideale sarebbe un’integrazione reale, senza paura che uno possa prevalere sull’altro, ciascuno al proprio posto in rete con le risorse che ha e tutti al servizio del paziente. In questo modo avremmo un servizio sanitario nazionale efficiente, armonioso e utile alla popolazione. Ribadisco, però, ci vuole a monte una vigilanza sull’adeguatezza delle prescrizioni, altrimenti non si risolverà mai il problema delle liste d’attesa».
Secondo lei esiste il rischio di un’americanizzazione della nostra sanità?
«Il sistema potrebbe non portare a questo se ben gestito, ben equilibrato e ben vigilato».
Oggi il sistema è ben gestito?
«Secondo me non sempre. Si lavora in emergenza e si cerca di tamponare. Occorrerebbe preventivamente avere una certa organizzazione, personale a disposizione… invece nel servizio sanitario nazionale ci rincorriamo sempre. Anche noi, che facciamo parte della rete, purtroppo siamo costretti a lavorare un po’ così, facendo sempre i conti con la carenza finanziaria».
Quindi i fondi non sono sufficienti…
«Assolutamente! Da 12 anni abbiamo il tetto bloccato. In queste condizioni avremmo dovuto chiudere l’ospedale già da un pezzo! Resistiamo, facendo i salti mortali, solo per rispetto al territorio, ai suoi abitanti e alla mission lasciateci in eredità dal Cardinale Panico. Si dovrebbe anche considerare che negli ultimi 15 anni la sanità ha fatto passi avanti enormi con l’utilizzo della tecnologia, dalle protesi di ultima generazione alla robotica, all’intelligenza artificiale. Tutte cose costose. È anche per questo, oltre ai rincari di cui tutti siamo a conoscenza, che i fondi non possono essere gli stessi di 15 anni fa».
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Insidie comuni nelle scommesse non AAMS per gli italiani
Il mondo delle scommesse non aams sta avendo sempre maggior seguito soprattutto negli appassionati di betting più giovani e smart capaci di utilizzare al meglio le nuove tecnologie.Tuttavia, molte persone scelgono siti come casino online non aams paypal proprio per la sicurezza offerta dai metodi di pagamento digitali come PayPal, che forniscono protezione nelle transazioni. Ma i luoghi comuni e i pregiudizi sui bookmakers non aams continuano ad essere molti. In special luogo gli italiani credono che le piattaforme di betting straniere nascondono delle insidie. In questo articolo analizziamo le 5 insidie più comuni per le scommesse non aams e ti diamo anche la soluzione per superarle senza problemi.
Legalità dei siti di scommesse non aams.
Insidia – I detrattori dei bookmakers non aams sottolineano sempre il fatto che questi siti, non avendo una regolare concessione aams o adm, non siano legali. Questo crea nel giocatori paura di incorrere in multe se aprono un conto gioco su questi siti in quanto questo comporterebbe un’azione di fatto illegale.
Soluzione – E’ vero, ci sono alcuni siti di scommesse non aams che sono illegali ma sono quelli che sono sprovvisti di licenza internazionale ed in genere sono quelli con sede operativa nei paesi dell’est. Ecco perchè è molto importante che prima di aprire un account su un sito di betting ti assicuri che l’azienda in questione sia totalmente regolarizzata in una di queste giurisdizioni: Malta, Gibilterra o Curacao. Questi 3 stati hanno enti regolatori molto severi e impeccabili a garantiscono la piena legalità dei sito.
Sicurezza dei bookmakers non aams
Insidia – Chi non apprezza i siti di scommesse non aams ti dirà sempre la stessa cosa, ovvero che queste piattaforme non sono sicure sia a livello di protezione dei dati personali che della condivisione stessa dei dati.
Soluzione – Assicurati che il bookmakers non aams su cui vuoi scommettere garantisca l’utilizzo di crittografia SSL, di protocolli anti-riciclaggio, di strumenti per password e accessi sicuri. In questo modo sarai certo al 100% che il bookmaker non aams su cui stai giocando sia sicuro e affidabile come un qualsiasi sito aams o adm.
Blocchi dei siti di scommesse non aams
Insidia – Gli scommettitori che hanno avuto brutte esperienze con siti poco affidabili hanno denunciato chiusure dei conti gioco improvvise con conseguente perdita di denaro. O ancora che il sito di scommesse non aams in questione, da un giorno all’altro, non sia più raggiungibile al solito indirizzo. O ancora il blocco da parte di aams della piattaforma o peggio ancora il fallimento della società stessa.
Soluzione – Prima di aprire un conto su un sito di scommesse non aams fai comparazione utilizzando i siti che confrontano decine e decine di piattaforme fra loro. Affidati sia alle recensioni che ai commenti degli utenti. Solo in questo modo sarai certo che il bookmaker non aams che ha scelto sia preparato in caso di blocco di aams cambiando url in maniera rapida e comunicandola via email o sms o whatsapp agli user.
Bonus e promozioni nei bookmakers non aams
Insidia – Chi utilizza solo siti con concessione governativa e non ha mai giocato su siti di scommesse non aams crede che i bonus presenti in queste piattaforme non siano reali e non vengano elargiti ma siano solo degli specchietti per le allodole.
Soluzione – Ovviamente questa credenza è falsa. Anzi, ti diciamo di più: i bonus, le promozioni e le offerte speciali presenti sui siti di scommesse non aams sono molto più convenienti per gli utenti rispetto a quelli dei cosiddetti “.it”. Ti consigliamo comunque di leggere ogni volta il regolamento dei vari bonus per conoscere in anticipo i requisiti per riscattarlo.
Pagamenti delle vincite nei siti non aams
Insidia – Una delle critiche maggiori di chi non ama i bookmakers non aams è quella di dire che queste aziende non pagano le vincita, specialmente quelle più grosse.
Soluzione – Anche in questo caso è un attacco gratuito e non veritiero a un mondo, quello dei siti di scommesse non aams serio e professionale come lo è quello del betting con concessione nazionale.
I depositi e i prelievi, anche in criptovalute, sono garantiti al 100% su tutti i siti di scommesse non aams che hanno un’autorizzazione internazionale.
Approfondimenti
Scuola, alla ricerca dell’attenzione perduta
Vietato l’uso dei cellulari in classe: l’uomo non è più un animale sociale, bensì collegato; ma è un collegamento digitale meramente virtuale, nel quale si rimane risolutamente soli
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Sta suscitando non poco rumore sui social e nelle stesse scuole la notizia della circolare del ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, circolare che vieta agli alunni della scuola elementare e media l’uso del cellulare in classe, potendo essere causa di distrazione. Naturalmente il divieto non riguarda l’utilizzazione di tablet o computer per fini didattici sotto la guida degli insegnanti.
In una società ormai abituata discutere immediatamente di tutto e su tutto, si sono manifestati diversi punti di vista. Tra coloro che sono stati da subito contrari alla circolare c’è chi ha pensato ad un assurdo ritorno al passato, chi ha paventato che l’alunno non possa comunicare eventuali e urgenti bisogni ai genitori e viceversa, chi ha ritenuto che fosse un primo passo contro la libertà di informazione e così via.
In realtà, occorre vedere le cose più serenamente e collegarle sia all’età degli alunni sia al contesto scuola.
Quest’ultima ha il compito primario di formare la personalità degli alunni, ancora minorenni, sia da un punto di vista culturale sia sociale sia morale.
Ne segue di conseguenza, come è sempre stato, che chi va scuola deve essere attento a quello che gli insegnanti spiegano e non deve distrarsi, se non nei momenti della normale ricreazione, come già una volta si sapeva, ricreazione che serve anche a favorire la relazione tra coetanei.
Alla luce di tutto ciò, è chiaro che il cellulare non è qualcosa di insostituibile, anche perché in caso di un reale e impellente bisogno comunicativo scuola e genitori possono benissimo ricorrere ai propri cellulari.
Si aggiunga poi che se qualche alunno non avesse il cellulare, ciò potrebbe generare in lui uno stato di minorità rispetto a quelli che lo possiedono.
E poi ci sono cellulari e cellulari, da quelli meno costosi a quelli più costosi.
Anche questo potrebbe provocare lo stato di disagio per bambini e ragazzi che non lo possiedono o ne hanno qualcuno di bassa qualità.
D’altronde, una volta si ricorreva appunto al grembiule per evitare che si potessero fare confronti tra chi vestiva bene e chi no.
Per tale ragione, il fatto che nessuno in classe abbia il cellulare elimina possibili discriminazioni.
Ma vi è un altro aspetto da evidenziare.
Il cellulare o smartphone non è un mero telefonino.
Come tutti sappiamo è un piccolo computer che consente una infinità di accessi, tanto che, particolarmente nella delicata fase dell’età evolutiva costituita dalla fanciullezza e pubertà, ossia dalla prima adolescenza, sarebbe auspicabile che i genitori curassero con estrema attenzione l’uso che ne fanno i figli.
Si pensi all’accesso ai diversi giochi e dagli esperti da tempo si parla della presenza di una diffusa e pericolosa dipendenza dai videogiochi.
Lo strumento infatti – e noi adulti ben lo sappiamo – non è solo un mezzo di comunicare con qualcuno, ma consente una varietà di notizie, sì che per l’aggiornamento sui fatti quotidiani noi stessi ricorriamo alle informazioni che si trovano tramite lo smartphone.
Così un po’ tutti smanettiamo quasi ossessivamente sul cellulare, acquisendo una complessa dipendenza.
Sotto tale profilo, è chiaro che all’interno dell’ambito scolastico l’uso personale del cellulare può effettivamente produrre delle distrazioni che non sono ammissibili per chi deve seguire delle lezioni. Per tutte queste ragioni, che nella scuola elementare e media si eviti l’uso del cellulare non vi è nulla di male, proprio perché il divieto è in funzione del fatto che gli alunni si possano concentrare sul processo di apprendimento e sui normali rapporti con i compagni di classe.
Tuttavia, proprio il fatto che la notizia della circolare abbia provocato un dibattito complesso in cui sono emersi consensi e dissensi, induce ad ulteriori considerazioni. C’è chi ha percepito il divieto, se non altro in cuor suo, come un impedimento ad un legittimo strumento che si porta sempre con sé.
Il che significa che gli adulti, più che i bambini e i ragazzi, hanno in vario modo associato la propria esistenza all’uso del digitale, e nella fattispecie del cellulare di cui non si riesce a fare a meno.
IL MONDO DELLE PULSIONI
Indubbiamente vi sono motivi più che giustificabili, quale la possibilità di comunicare con chicchessia quando necessario.
Non è solo tale (giustificato) motivo.
Con una battuta – e semplificando un discorso più complesso – possiamo dire che l’uomo oggi più che dialogare con il prossimo con parole o per iscritto, non fa altro che digitare.
Si informa di tutto ed è in contatto con tutti sì da creare personaggi che determinano i costumi (i cosiddetti influencers) con un enorme numero di seguaci (followers).
Del resto, è difficile per ognuno di noi non far parte di gruppi (Facebook, Instagram ecc.) e non ricorrere a WhatsApp.
Per usare un’immagine ad effetto, l’uomo non è più un animale sociale, bensì un animale collegato; ma è un collegamento digitale meramente virtuale, nel quale si rimane risolutamente soli.
Il mondo della informazione non è il mondo né dell’amicizia, né della compartecipazione reale, bensì delle notizie e talvolta delle manifestazioni immediate dei propri punti di vista, delle emotività.
Vi è la possibilità (non astratta) che prevalga il mondo delle pulsioni e non quello della ragione, della ponderatezza.
Per questo credo sia bene che nella scuola continui ad esistere il dialogo interpersonale tra docenti e discenti e che esso non venga turbato da distrazioni artificiali.
L’Intelligenza artificiale dice che…
Cellulari vietati in classe dalla Scuola dell’Infanzia fino alla scuola media: abbiamo chiesto a ChatGPT cosa ne pensasse.
Secondo l’intelligenza artificiale, vietare gli smartphone a scuola può essere giustificato da diverse ragioni legate sia all’educazione che al benessere degli studenti.
Ecco alcune delle motivazioni principali.
Distrazione: gli smartphone possono essere una fonte significativa di distrazione, sia durante le lezioni che nei momenti di studio. La presenza di notifiche, social media e giochi può rendere difficile per gli studenti concentrarsi su ciò che viene insegnato.
Prestazioni accademiche: studi hanno dimostrato che l’uso degli smartphone in classe può avere un impatto negativo sulle prestazioni accademiche. Gli studenti che utilizzano meno il telefono tendono a ottenere risultati migliori.
Cyberbullismo: gli smartphone possono facilitare episodi di cyberbullismo tra studenti. Limitando l’accesso ai dispositivi durante l’orario scolastico, si può contribuire a ridurre questi episodi.
Benessere psicologico: l’uso eccessivo dello smartphone è stato associato a problemi di ansia, depressione e stress tra i giovani. Vietare o limitare l’uso dei dispositivi può aiutare a promuovere un ambiente scolastico più sano e meno stressante.
Socializzazione: durante le pause, l’assenza degli smartphone incoraggia gli studenti a interagire direttamente tra loro, favorendo lo sviluppo di competenze sociali e relazionali importanti.
Sicurezza: gli smartphone possono essere utilizzati per filmare o fotografare altre persone senza il loro consenso, causando potenziali problemi di privacy e sicurezza.
Accesso a contenuti inappropriati: dli smartphone offrono un accesso diretto a internet, dove è possibile trovare contenuti non adatti ai ragazzi. Limitare l’uso dei dispositivi può ridurre il rischio di esposizione a tali contenuti.
In sintesi, per ChatGPT, vietare gli smartphone a scuola mira a creare un ambiente più favorevole all’apprendimento, proteggere il benessere psicologico degli studenti e promuovere una maggiore interazione sociale e concentrazione. Ovviamente questa è solo la posizione dell’AI, il dibattito resta aperto…
Approfondimenti
Aeronautica Galatina: passaggio di testimone al 61° stormo
Il colonnello Liccardo subentra al colonnello Conserva alla guida della scuola di volo salentina…
AERONAUTICA MILITARE
Si è svolta questa mattina, all’interno dell’aeroporto militare “Fortunato Cesari” di Galatina, la cerimonia di cambio al comando del 61° Stormo, tra il colonnello Vito Conserva ed il colonnello Gianfranco Liccardo.
L’evento, che ha visto la presenza di autorità militari e civili del territorio, è stato presieduto dal generale di squadra aerea Silvano Frigerio, Comandante delle Scuole dell’Aeronautica Militare/3^ Regione Aerea, da cui il reparto salentino dipende.
Il Colonnello Conserva, che lascia l’incarico dopo due anni di intenso lavoro, durante il suo discorso di commiato ha ripercorso i momenti più significativi del suo mandato esprimendo parole di sincera gratitudine verso tutto il territorio, le istituzioni locali ed i suoi rappresentanti, e verso gli uomini e le donne dello Stormo “Mi avete accolto due anni fa, mi avete preso per mano, mi avete fatto crescere con voi e fatto sentire in tutto e per tutto uno di voi…siete il vero cuore pulsante di questo reparto.”
Il Colonnello Liccardo, nuovo comandante del “61°”, ha preso la parola manifestando la sua gratitudine ai vertici della Forza Armata per la fiducia accordata: “… con estremo orgoglio assumo la guida di un reparto straordinariamente efficiente, efficace e dalla connotazione altamente strategica, mirata all’addestramento dei piloti militari, destinati ai velivoli di nuova generazione…”. Rivolgendosi al personale ha continuato: “il nostro operato dovrà necessariamente fondarsi sui principi di responsabilità, di correttezza, di trasparenza, di fiducia reciproca e, soprattutto, d’identità…noi siamo il 61° Stormo”.
La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Generale Frigerio, che ha lodato il lavoro svolto dal Colonnello Conserva e ha espresso il suo sostegno al Colonnello Liccardo. “Il 61° Stormo è un pilastro fondamentale per l’addestramento dei nostri piloti, ed una scuola volo leader anche nel panorama internazionale…. che ha sinora brevettavo, dalla sua costituzione ad oggi, quasi 9000 allievi appartenenti a ben 20 paesi di 4 continenti” ha detto il Generale Frigerio, “e sono certo che sotto la guida del nuovo comandante continuerà a mantenere gli alti standard di eccellenza che lo contraddistinguono.”
Il 61° Stormo di Galatina, situato nella provincia di Lecce, è una delle più prestigiose scuole di volo in ambito internazionale.
Costituito nel 1946 come scuola di volo (ma nasce nel 1931 come campo di fortuna), lo Stormo è attualmente dedicato all’addestramento basico e avanzato dei piloti militari (di II, III e IV fase), sia italiani che stranieri, destinati alle linee JET, come l’Eurofighter e l’F-35. Sotto il comando del 61° Stormo opera l’International Flight Training School (IFTS), un centro di eccellenza per l’addestramento al volo avanzato, frutto di una collaborazione tra l’Aeronautica Militare e Leonardo S.p.A.
Utilizzando l’addestratore avanzato M-346, il 61° Stormo fornisce una preparazione tecnologicamente avanzata, essenziale per la transizione dei piloti verso le più moderne piattaforme aerotattiche. Grazie alla qualità dei suoi programmi e allo stato dell’arte del sistema d’arma, lo Stormo è riconosciuto a livello internazionale come un centro di eccellenza per l’addestramento aeronautico.
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