Approfondimenti
Sanità, come paghi mangi
Il Servizio Sanitario Nazionale sta perdendo una delle caratteristiche distintive e il suo punto di forza: l’accesso universalistico. Di contro, l’incapacità della sanità pubblica di far fronte alla richiesta di prestazioni mediche ha favorito il proliferare di struture convenzionate o del tutto private. Interviste all’assessore regionale Rocco Palese, all’ex direttore dell’Asl Lecce Franco Sanapo (oggi medico della Direzione Sanitaria della Clinica San Francesco di Galatina) ed a Suor Margherita Bramato, direttrice generale dell’ospedale “Cardinale G. Panico” di Tricase

di Giuseppe Cerfeda
Complice anche l’innalzamento dell’aspettativa di vita, negli ultimi anni è aumentata a dismisura la richiesta di prestazioni sanitarie a fronte di una sempre maggiore difficoltà da parte della sanità pubblica di soddisfare la domanda. Conseguenza quasi fisiologica di tale quadro, il proliferare di cliniche, case di cura, centri medici, poliambulatori specialistici privati e/o convenzionati. Questo è accaduto
su tutto il territorio nazionale ed il Salento non fa eccezione.
L’assessore regionale alla Sanità, Rocco Palese, conferma la paresi del servizio pubblico nazionale: «La parte pubblica è enormemente burocratizzata. Chi ha bisogno è costretto a prendere appuntamento con il medico di base; stabilito che ha bisogno di una visita specialistica, dovrà andare al Cup per la prenotazione; dopo la visita specialistica dovrà rifare la trafila per il referto… Mbah, uno si fa quattro conti: se per una radiografia, ad esempio, con 40 euro si riesce in un giorno a fare tutto, vale la pena perdere tempo dietro la sanità pubblica? Senza contare il problema delle liste d’attesa e quindi del tempo che il paziente dovrà aspettare prima di poter finalmente soddisfare i suoi bisogni».
«Come forse mai accaduto prima», ammette Palese, «il servizio sanitario pubblico sta attraversando una fase di profonda crisi rispetto alla sua caratteristica principale che è l’accesso universalistico alle prestazioni, che dovrebbero essere garantite dalla parte pubblica perché non tutti si possono permettere quella spesa per curarsi».
L’assessore regionale evidenzia poi un altro aspetto: «Pur essendo la nostra una provincia a bassa capacità fiscale, con poco reddito, anche da noi si sta diffondendo il fenomeno delle assicurazioni. Prendiamo ad esempio i dentisti: un congruo numero, almeno il 30% dei pazienti che si rivolgono a loro per curarsi, hanno l’assicurazione».
Secondo Palese, sono diverse le cause che stanno determinando l’aumento dell’offerta privata al netto del servizio pubblico: «Innanzitutto vi è stata un’impennata dopo il Covid che ha molto sensibilizzato sulla necessità di screening, controlli cardiologici, ecc. Poi ci sono ragioni di natura diversa che riguardano l’invecchiamento della popolazione che quindi abbisogna di più di cure mediche. Non solo, un ruolo importante lo riveste anche l’aumento dei pazienti cronici. Una volta la cronicità riguardava per la stragrande maggioranza persone con handicap, con malattie rare o diabetici. Oggi, anche grazie allo sviluppo delle cure oncologiche l’aspettativa di vita in media, è più alta. Così come ci sono più opportunità di sopravvivere ad un infarto o ad altre patologie. Grazie a Dio direi oggi si vive di più. Tradotto, però, ci sono più malati cronici che devono essere assistiti».
Ci stiamo, forse, americanizzando?
«Sembrerebbe di si e la cosa non mi piace affatto! Il nostro servizio sanitario è considerato tra i migliori del mondo proprio per il suo accesso universalistico. Siamo in un contesto di tempesta perfetta. Il Covid oltre ad aver mietuto vittime, ha terremotato il servizio sanitario pubblico e rimetterlo in piedi è particolarmente difficile perché non abbiamo risorse sufficienti, i medici sono pochissimi e la richiesta di prestazioni cresce a dismisura».
Secondo lei questo è l’inizio della fine della sanità pubblica?
«Guai! Io continuo a crederci. Siamo davanti ad una criticità enorme, la più grande dal 1978, quando è nato il servizio sanitario nazionale, ma dobbiamo reagire, vincere la sfida e riportare la sanità pubblica ai livelli pre-Covid, o superiori».
Anche prima del covid era manifesto il problema delle liste d’attesa che oggi paiono una montagna impossibile da scalare. In tutta Italia sono stati finanziati più di tre miliardi basteranno per arrivare in vetta?
«È una falsità!», tuona Rocco Palese, «positivo l’investimento, ma non dicano che quei soldi servono per abbattere le liste d’attesa: 2,4 miliardi copriranno i costi del rinnovo dei contratti di tutto il personale; 500 milioni riguardano ’applicazione del nuovo tariffario delle prestazioni sanitarie a partire dal 1° gennaio 2024. Per le liste d’attesa restano circa 500 milioni, di cui poco più di trenta (32-34 milioni di euro) arriveranno in Puglia. Una goccia in mezzo al mare».
Franco Sanapo: «Necessaria radicale e coraggiosa riforma del sistema»

Franco Sanapo, medico della Direzione Sanitaria della Clinica San Francesco di Galatina ed ex direttore sanitario dell’Asl Lecce
Sulla questione pubblico-privato nella sanità abbiamo interpellato Franco Sanapo già direttore sanitario dell’Asl Lecce e oggi medico della Direzione Sanitaria della Clinica San Francesco di Galatina che opera all’interno della Clinica dal 2011. La Clinica San Francesco è un ospedale Privato Accreditato (Convenzionato) con il Sistema Sanitario Nazionale. Ha due linee di attività: Ricovero per acuti (60 posti letto per Medicina, Chirurgia Generale, Ginecologia, Otorinolaringoiatria, Urologia e Oculistica), Attività Ambulatoriali (Radiologia, Laboratorio Analisi, Chirurgia Generale, Chirurgia Vascolare, Ostetricia e Ginecologia, Otorinolaringoiatria)
Mi può confermare la tendenza dei cittadini salentini a un ricorso massiccio alle prestazioni a pagamento e, quindi, a un proliferare di strutture private che rispondono a questa domanda di salute?
«Il fenomeno credo sia in linea con l’andamento generale nell’intera nazione. Confermo pertanto l’incremento della spesa sanitaria che i nostri cittadini sopportano di tasca propria non trovando risposte di salute nel sistema pubblico. Confermo anche il proliferare di strutture private, prevalentemente ambulatoriali, che erogano prestazioni sanitarie a pagamento».
Può fornire qualche stima, per inquadrare l’entità del fenomeno?
«Non sono in condizioni di fornire dati provinciali o regionali di quanto spendono di tasca propria i nostri cittadini per curarsi o quante sono le nuove strutture private sanitarie che in questi ultimi anni sono proliferate. Certamente hanno avuto una enorme impennata, basta guardare nei nostri comuni o in quelli vicini per rendersene conto. Il dato nazionale del 2022 indica un esborso da parte dei cittadini – che già finanziano la sanità pubblica e quella convenzionata con l’Irpef – di 41 miliardi e 503 milioni, per circa un quarto (25%) della spesa complessiva che supera i 170 miliardi. Posso tuttavia fornire il trend di crescita della spesa sanitaria a pagamento che rilevo dalla mia postazione lavorativa, che pure ha una attività convenzionata pagata dallo Stato. In un decennio (2012 -2022) le prestazioni ambulatoriali a pagamento hanno avuto un incremento molto rilevante. Non so se in altre strutture convenzionate si sia registrato lo stesso fenomeno, ho tuttavia il sentore che la Clinica sia in numerosa e ottima compagnia».
Perché i cittadini pagano una prestazione sanitaria invece di pretenderla e riceverla da una struttura sanitaria pubblica o convenzionata?
«Il meccanismo è semplice. Nelle strutture pubbliche le attività ambulatoriali e le radiologie sono prese d’assalto, gli addetti (specialisti e personale infermieristico o tecnico) sono pochi o mal organizzati, le attese sono lunghe, a volte superano i 12 mesi. Nel privato convenzionato la ASL assegna una somma annuale definita e invalicabile. Facciamo l’esempio di una struttura convenzionata per l’attività di endoscopia digestiva (gastroscopia o colonscopia) e ammettiamo che per quelle attività siano assegnati 120 mila euro, che significa, in dodicesimi, 10 mila euro al mese. Accade che intorno alla metà del mese, quello stanziamento è esaurito e non è possibile erogare la prestazione, con la conseguenza che slitta in avanti la data di prenotazione che ha già accumulato prenotazioni del mese precedente. L’effetto delle lunghe liste di attesa nel pubblico è la possibilità, per chi se lo può permettere, al ricorso alle prestazioni a pagamento in favore dei medici specialisti pubblici che erogano Attività Libero Professionali Intramoenia (ALPI) negli ospedali pubblici o negli ambulatori della ASL. L’effetto nel privato: o aspetti mesi e mesi se vuoi fare la visita o prestazione strumentale con la ricetta, oppure paghi e fai subito la prestazione. Da qui il proliferare di strutture di “privato puro”, vale a dire strutture che erogano prestazioni sanitarie solo a pagamento».
Secondo lei quali sono le cause di questo fenomeno in così rapida crescita?
«Le cause sono molte. A partire lo scarso finanziamento pubblico del Sistema Sanitario Nazionale. L’Italia destina poco più del 6,8% del PIL alla spesa sanitaria, al di sotto della media dei paese OCSE (nazioni con le economie più forti) e molto al di sotto della media europea. Se compariamo la spesa delle maggiori nazioni europee vediamo che Francia e Germania destinano alla sanità quasi l’11% del PIL, il Regno Unito circa il 10% e la Spagna il 9%. Ricordo che ogni punto di Prodotto Interno Lordo (PIL) significano miliardi su miliardi.
Il Sistema Sanitario Italiano, poi, è prevalentemente un sistema universalistico inserito nel mare magnum del Pubblico impiego che, come tale, ha sacche di inefficienze che affliggono tutta la pubblica amministrazione.
E ancora: l’inappropriatezza delle prestazioni. Non è un concetto astratto. Significa che se lo stato riconosce tutto a tutti (ti chiami John Elkann o Mario Rossi) gratis ognuno si sente in diritto di ricorrere al sistema a prescindere dalla reale necessità (appropriatezza), ingolfando il sistema già in crisi economica di suo. E, di conseguenza, il collasso dei Pronto Soccorso e le liste di attesa lunghissime per avere una prestazione. Nei sistemi sanitari differenti dal nostro, quelli finanziati non con la tassazione generale (IRPEF), ma con le Assicurazioni Sanitarie Sociali Obbligatorie – Germania, Svizzera, Francia, Olanda, Belgio e altre nazioni europee – l’efficienza del sistema è superiore e non si assiste a quanto rileviamo in Italia. Se non si mette mano alla riforma del nostro sistema, rendendolo più simile al modello europeo più virtuoso (modello tedesco), puoi mandare a governare la sanità anche il miglior manager del mondo, il fallimento è garantito. Il nostro sistema risponde a una governance di tipo politico (perché amministra i soldi di tutti). Il modello sanitario alla tedesca risponde a una governance di tipo economico. Notoriamente la politica cerca il consenso, le assicurazioni, seppure sociali obbligatorie, cercano l’efficienza e la sostenibilità».
Ci stiamo americanizzando?
«No, per fortuna! Perché siamo inseriti in una cultura europea che ha fatto del Walfare, contro le storture del liberismo selvaggio, il punto di forza e coesione sociale. Ma se non si mette mano alla modifica del sistema sanitario il rischio è elevato: chi può si cura, chi non può aspetta, con tutte le conseguenze in termini di aspettativa e qualità di vita».
L’attuale situazione delle difficoltà dei Pronto Soccorso, letteralmente presi d’assalto, delle lunghe liste di attesa per ricoveri programmati, per visite specialistiche e prestazioni strumentali è sanabile?
«Si attraverso due meccanismi. Il primo: impiegare più soldi (molti miliardi) ogni anno per assumere medici specialisti, personale sanitario e attrezzature, per aumentare i budget delle strutture convenzionate. A ammodernare l’edilizia sanitaria delle strutture pubbliche e fornirle di strumentazione moderna. Il secondo: mettere mano a una radicale e coraggiosa riforma dell’attuale sistema sanitario governato dalla politica e passare a quello europeo, più efficiente. Il primo meccanismo mi pare irrealizzabile perché o si aumentano le tasse (e nessuno lo vuole) o si aumenta il già mostruoso debito pubblico italiano. Il secondo sarebbe possibile se si abbandonano pregiudizi ideologici».
E la nostra Regione che amministra la Sanità con i trasferimenti economici?
«È vittima dei meccanismi che ho descritto prima, perché viene finanziata (male) dallo Stato. Pochi soldi per la sanità, disavanzo economico annuale e inefficienze sono sotto gli occhi di tutti. Con qualunque partito e con qualunque assessore».
Suor Margherita Bramato: «Pubblico e privato devono coesistere»
La premessa di Suor Margherita Bramato, direttrice generale dell’Azienda Ospedaliera “Cardinale G. Panico” di Tricase, è che «la presenza delle strutture private è una possibilità di libera scelta, per chi vuole e ne ha l’opportunità, di accedere a proprie spese alle prestazioni sanitarie. Riguardo alle strutture convenzionate, invece, ritengo siano necessarie. Sono per il sistema misto perché il pubblico, da solo, non potrà mai reggere. è importante, in una democrazia, l’apporto dei privati, soprattutto quelli no profit che condividono la mission dell’assistenza al paziente e quindi siano di supporto, di integrazione o, addirittura, all’interno delle reti. Il nostro, ad esempio, è un ospedale classificato ed è nelle reti. Quindi, dal punto di vista dei servizi, siamo equiparati al pubblico».
Si teme che si arrivi al punto in cui si potrà curare solo chi ne ha la possibilità economica.
«È una questione di organizzazione. Premesso che la rete dell’urgenza-emergenza segue una sua via di priorità, è chiaro che se manca il personale, che è un dato di fatto oggettivo, il sistema va in tilt. Ci vorrebbe un’organizzazione ferrea e la giusta vigilanza sull’adeguatezza delle prescrizioni, perché la programmazione e l’organizzazione reggano».
Non è anche una questione di risorse?
«Certamente. Perché, come dicevo, soffriamo di carenza di personale, oltre ad essere spesso prigionieri anche di una serie infinite di normative che limitano la disponibilità. Quello che è successo di recente con i medici del pronto soccorso barese, puniti (la sanzione è stata poi annullata, NdA) per aver lavorato troppo durante il covid grida vendetta. C’è una discrasia anche all’interno dell’organizzazione governativa: da una parte si chiede di fare il massimo, dall’altra sorgono questioni particolari come quelle vissute da quei medici. Credo che nella vita occorra trovare il giusto equilibrio. Anche per la questione delle liste d’attesa: il problema è a monte, bisogna lavorare cioè sull’appropriatezza delle prescrizioni e distinguere l’emergenza da tutto ciò che può aspettare. Ad ogni modo, il pubblico da solo non ce la può fare ed è necessaria l’integrazione del privato no profit e di quello convenzionato. L’ideale sarebbe un’integrazione reale, senza paura che uno possa prevalere sull’altro, ciascuno al proprio posto in rete con le risorse che ha e tutti al servizio del paziente. In questo modo avremmo un servizio sanitario nazionale efficiente, armonioso e utile alla popolazione. Ribadisco, però, ci vuole a monte una vigilanza sull’adeguatezza delle prescrizioni, altrimenti non si risolverà mai il problema delle liste d’attesa».
Secondo lei esiste il rischio di un’americanizzazione della nostra sanità?
«Il sistema potrebbe non portare a questo se ben gestito, ben equilibrato e ben vigilato».
Oggi il sistema è ben gestito?
«Secondo me non sempre. Si lavora in emergenza e si cerca di tamponare. Occorrerebbe preventivamente avere una certa organizzazione, personale a disposizione… invece nel servizio sanitario nazionale ci rincorriamo sempre. Anche noi, che facciamo parte della rete, purtroppo siamo costretti a lavorare un po’ così, facendo sempre i conti con la carenza finanziaria».
Quindi i fondi non sono sufficienti…
«Assolutamente! Da 12 anni abbiamo il tetto bloccato. In queste condizioni avremmo dovuto chiudere l’ospedale già da un pezzo! Resistiamo, facendo i salti mortali, solo per rispetto al territorio, ai suoi abitanti e alla mission lasciateci in eredità dal Cardinale Panico. Si dovrebbe anche considerare che negli ultimi 15 anni la sanità ha fatto passi avanti enormi con l’utilizzo della tecnologia, dalle protesi di ultima generazione alla robotica, all’intelligenza artificiale. Tutte cose costose. È anche per questo, oltre ai rincari di cui tutti siamo a conoscenza, che i fondi non possono essere gli stessi di 15 anni fa».
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Dopo 15 anni torna Santa Fumìa
La Chiesa di Santa Eufemia, o Santa Fumìa come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano….

Sono trascorsi più di 15 anni, da quando il rione specchiese di Santa Eufemia si è vestito a festa l’ultima volta per onorare la martire cristiana.
Nella serata di sabato 12 luglio ritorna La Festa di Santa Fumìa, evento organizzato, con il patrocinio del Comune, dall’associazione Santa Eufemia che ha ritenuto necessario ritornare alle radici della storia del luogo sacro simbolico con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale e spirituale del territorio.
La Chiesa di Santa Eufemia, o Santa Fumìa come gli specchiesi la chiamano, è un piccolo luogo sacro, di origine bizantina, di circa 150 metri quadrati, situata nelle campagne tra Specchia e Miggiano.
Come il culto della santa sia arrivato in Occidente e perché a Specchia, i libri di storia locale non lo riportano.
Nell’anno in corso del Giubileo, questo luogo sacro assume un significato storico, in quanto è poco distante dall’antica Via dei Pellegrini, l’itinerario che i fedeli dei secoli scorsi percorrevano per raggiungere il Santuario di S. Maria di Leuca, oppure in senso contrario, la città santa di Roma, eleggendo la chiesetta a luogo di riposo spirituale e fisico, come testimoniato dagli oggetti antichi ritrovati intorno.
Il programma della serata prevede, alle 19, la celebrazione della santa messa, presieduta da don Antonio Riva, parroco di Specchia. Alle 20, il “Kids Diy!” Creative workshop, a cura di Cicciopasticcio, laboratorio artistico-espressivo per i più piccoli.
Dalle bancarelle collocate nel parchetto della Chiesa di Santa Eufemia, sarà possibile acquistare dei manufatti artigianali e gustare dei prodotti tipici agroalimen-tari dallo stand gastronomico.
Approfondimenti
A Tricase “PROXIMA”: il cibo racconta il territorio
Domani, presso l’ex Mattatoio comunale di Tricase, oggi sede del Laboratorio di Comunità

Sabato 5 luglio, l’ex Mattatoio comunale di Tricase – oggi sede del Laboratorio di Comunità (in foto durante un precedente Open day) – apre le sue porte per ospitare “PROXIMA – Diffondiamo produzioni di prossimità”, un evento dedicato al cibo sano, locale e accessibile, organizzato nell’ambito del progetto europeo FOOD4HEALTH.
Promosso dal Laboratorio di Comunità di Tricase, in collaborazione con il Comune di Tricase e il CIHEAM Bari, PROXIMA non sarà un semplice open day, ma un’occasione concreta per riflettere – e assaporare – il legame profondo tra alimentazione, territorio, sostenibilità e comunità.
Il programma si apre alle 18:30 con un talk pubblico dedicato alle politiche del cibo, che vedrà la partecipazione di esperti, amministratori locali, rappresentanti di reti e associazioni del territorio. Un confronto aperto su salute, produzione etica, scelte alimentari consapevoli e promozione delle economie locali.
Dalle 19:00, spazio al gusto e alla scoperta:
– Mercato agricolo e artigianale con i produttori locali
– Mostra pomologica dedicata alla biodiversità
– Visite guidate ai laboratori del centro rigenerato
A seguire, dalle 20:00, si terranno laboratori tematici e show cooking, pensati per adulti e bambini, con momenti esperienziali e didattici.
La serata si concluderà alle 21:00 con le degustazioni a base di prodotti locali e a km zero, seguite dall’esibizione del cantautore P40, per chiudere in musica un evento che unisce cultura, cibo e partecipazione.
“Un momento di festa, ma anche di consapevolezza – spiegano gli organizzatori – per far conoscere un luogo rinato e un modello di sviluppo possibile, che parte dalle persone, dalle reti e dai territori”.
L’iniziativa è aperta a tutti: cittadini, famiglie, produttori, curiosi e appassionati di buon cibo. Un invito a scoprire, attraverso il gusto e il dialogo, le potenzialità di una comunità che crede nell’innovazione sociale e nella prossimità come valore.
📍 Info utili
🗓️ Sabato 5 luglio, dalle ore 18:30
📌 Laboratorio di Comunità – Ex Mattatoio, via Marina Serra 53, Tricase
🎟️ Ingresso libero
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Nchiana scindi a Tuglie
Domenica gara podistica 250 atleti correre lungo un percorso cittadino di 9 km. Si svolgerà anche una passeggiata solidale di 4km, a cura dell’associazione donatori di sangue Fidas con il ricavato devoluto in beneficenza

Terza edizione della ’nchiana scindi, la gara podistica organizzata dall’associazione sportiva dilettantistica podistica Tuglie, che vedrà oltre 250 atleti correre lungo un percorso cittadino di 9 km.
Appuntamento domenica 6 luglio, a partire dalle 19,30.
Insieme alla gara competitiva si svolgerà anche una passeggiata solidale di 4km, a cura dell’associazione donatori di sangue Fidas.
«L’intero ricavato di questa camminata sarà devoluto in beneficenza», dichiara il presidente dell’ asd podistica, Francesco Caputo, «crediamo che lo sport debba anche essere uno strumento di solidarietà e vicinanza concreta. La nostra associazione è anche amicizia, divertimento, armonia: questo è lo spirito che ci unisce e guida in tutte le manifestazioni che organizziamo, a cui partecipiamo con entusiasmo e dedizione».
Ritrovo per la partenza in piazza Garibaldi; il percorso di 9 km si snoderà tra le strade principali di Tuglie e comprenderà alcune arterie che collegano la collina di Montegrappa, particolarmente suggestive all’ora del tramonto per il panorama di cui si potrà godere.
«La nchiana scindi non è solo una gara, è anche la celebrazione della forza, della resilienza e dell’amore per lo sport», afferma Chiara Boellis, assessora allo sport di Tuglie, «ogni passo fatto sarà una testimonianza dell’impegno, della preparazione e della capacità di superare i propri limiti».
Al termine del percorso saranno premiati: il primo atleta giunto al traguardo maschile e femminile, i primi cinque atleti di tutte le categorie FIDAL previste M/F) per le categorie allievi, juniores e promesse: unico gruppo), gli atleti che raggiungeranno il traguardo nelle posizioni: 50ª, 100ª, 150ª, e così via, fino alla fine della classifica e le prime tre società con il maggior numero di arrivati, sia maschili che femminili.
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