Approfondimenti
Annali di vita salentina: il paese fantasma
Storie che si incrociano con Monteruga: un vasto agro sostanzialmente incolto utilizzato ai tempi come nascondiglio o rifugio, quasi impenetrabile, da parte di loschi figuri
Fino agli anni quaranta/cinquanta dello scorso secolo, la mappa della Penisola Salentina evidenziava nitidamente, sia sotto lo stretto profilo fisico e/o naturale, sia secondo il sentire e la conoscenza della gente, un particolare tratto di territorio, incuneato, quasi a lambirne i confini ufficiali, fra le provincie di Lecce, Brindisi e Taranto.
Tale fazzoletto di Puglia era denominato – lo è ancora, per le connotazioni e gli sviluppi residuali – comprensorio dell’Arneo, un vasto agro sostanzialmente incolto, se non selvaggio, ricoperto pressoché interamente di una bassa e fitta macchia, latifondo posto in capo, dal punto di vista della titolarità, a uno sparuto numero di famiglie abbienti, principalmente ai Tamborino di Maglie.
A detta plaga, nelle condizioni d’abbandono in cui versava, si attribuiva, in giro, soprattutto cattiva fama, correlata al suo utilizzo, sovente, come nascondiglio o rifugio, quasi impenetrabili, da parte di figure (sarebbe, forse, più giusta l’accezione figuri) irrispettose delle leggi e delle ordinarie regole di civile comportamento e buona condotta.
Conseguente eco di ciò, in una sorta di tamtam surreale, la definizione di “briganti”, accennata a bassa voce, se si vuole approssimativa e, però, indicativa, veniva a correre, di tanto in tanto, con conseguenti singulti di timore e preoccupazione, sulla bocca e nella mente delle persone, diciamo così, corrette o perbene.
Altro riflesso, ad esempio, i trasportatori che, per mezzo di traini, dalle alte ruote a raggi, lunghe stanghe anteriori e sospinti da quadrupedi, recavano merci, prodotti e beni vari da Lecce a Taranto (allora gli autocarri erano rarissimi), nell’intento di evitare o ridurre i rischi di brutti incontri con i personaggi di cui sopra, evitavano di percorrere il tratto stradale Nardò – Avetrana, in corrispondenza della boscaglia più folta, durante le ore notturne. Per lo meno, se costretti a coprirlo al buio, non procedevano da soli, bensì in carovana.
Nel periodo fascista, il Governo decise di porre in atto, un po’ in tutto il Paese, una serie di operazioni di bonifica agraria; per il territorio su descritto, affidò il compito alla S.E.B.I. Società Elettrica per Bonifiche e Irrigazione.
Quest’ultima, rilevò una parte dell’Arneo dagli storici proprietari privati e aprì un pubblico bando rivolto specialmente all’indirizzo di contadini e braccianti del Basso Salento, proponendo ai medesimi di spostarsi dai paesi d’origine, dai miseri poderi singolarmente posseduti, dalle precarie giornate lavorative sotto padrone (quando c’erano), verso, precisamente, le terre da bonificarsi, poste, alla fine, appena un po’ più a Nord, nell’Alto Salento.
All’inizio, gli aderenti avrebbero contribuito direttamente, dietro regolare retribuzione, con l’ausilio di attrezzature e mezzi meccanici procurati dalla S.E.B.I., alle opere di sbancamento per la trasformazione della macchia in superfici coltivabili, dopo di che, a ciascuno, sarebbe stato assegnato un appezzamento (due o tre ettari, secondo la composizione del nucleo famigliare), dove coltivare specialmente tabacco, salvo piccole aree da impiegarsi per differenti varie colture destinate alle occorrenze domestiche.
Nel frattempo, con oneri parimenti a suo carico, la S.E.B.I. metteva a dimora molte migliaia di ulivi e vaste estensioni di viti, patrimoni che, poi, sarebbero passati in gestione, non ai coloni, bensì ai massari, cioè i responsabili delle preesistenti masserie acquisite dai privati e, in certo qual modo, fiduciari della società neo proprietaria.
In parallelo alla trasformazione dei terreni, si realizzavano stalle, silos, un frantoio, serbatoi per l’acqua potabile, uno stabilimento vinicolo e una grande manifattura, su tre piani, per la lavorazione del tabacco.
Veniva in tal modo a sorgere o nascere l’insediamento o borgo o piccolo paese di Monteruga, richiamato nel titolo di queste note.
Dopo essere stata dotata, oltre che delle strutture operative prima menzionate, anche di una trentina di abitazioni per i coloni arrivati da fuori e provvisoriamente sistematisi nelle vecchie masserie (senza contare quella, con qualche confort aggiuntivo, a uso del fattore) e della scuola, Monteruga arrivava a rappresentare una realtà funzionale, residenziale e di vita laboriosa, umile e insieme civile. Vi risiedevano, fisse, circa duecentocinquanta/trecento persone, entità che poteva lievitare nei momenti di concentrazione dei raccolti e/o delle varie attività lavorative.
Le case erano composte di due stanze, con servizio igienico e giardinetto sul retro, erano servite da impianto elettrico e si rivelavano, con certezza, maggiormente vivibili rispetto all’alloggio, sotto forma di angusto monolocale, a disposizione di ogni singolo colono nelle masserie.
Nella fase finale del cantiere di edificazione, nel borgo sarebbe sorta anche una chiesetta, dedicata a S. Antonio Abate, che c’è ancora e, anzi, rappresenta la struttura conservatasi meglio.
Volendo tracciare una carta geografica più ristretta e determinata, se l’Arneo si poneva, nell’insieme, alla stregua di fulcro, ideale e virtuale abbraccio, fra tre provincie, si può osservare come anche Monteruga detenesse, e annoveri pure oggi, una polivalenza di riferimento.
Sul piano della viabilità stradale, essa si affaccia, difatti, sul rettilineo provinciale che da S. Pancrazio Salentino (Brindisi) corre in direzione di Torre Lapillo di Porto Cesareo, esattamente all’altezza del Km.7, punto mediano dell’arteria.
Dal lato meramente amministrativo, il suo territorio ricade, invece, nel feudo del Comune di Veglie (Lecce), anche se tale centro abitato si trova più distante, cioè a quattordici chilometri.
Tuttavia, per estrema precisione, va annotato che una piccola porzione dell’agro dove insiste il borgo di Monteruga, di là da un certo portone o arco del perimetro edificato, riguarda il territorio di Torre Lapillo, frazione di Porto Cesareo, quest’ultima località, da alcuni decenni Comune autonomo, prima, a sua volta, frazione di Nardò.
A comprova del richiamato spicchio di territorio con differente competenza o appartenenza, è sufficiente rilevare che, a brevissima distanza, poche centinaia di metri, da Monteruga, è situato il grande circuito o anello o pista per prove e collaudi di autovetture, di pertinenza della casa automobilista tedesca Volkswagen, noto come Pista di Nardò.
Infine, sul piano religioso, Monteruga faceva capo alla parrocchia, incardinata nell’arcidiocesi di Brindisi – Ostuni, di Guagnano, località distante, all’incirca, dieci chilometri.
Non suonino fini a se stessi e rasentanti la pignoleria, gli elementi di dettaglio anzi elencati, giacché, unicamente alla luce di determinati particolari, è dato di conferire ancoraggio e spiegazione logica a talune vicende, soprattutto a un episodio, vissute, in decenni ormai trascorsi ma non lontanissimi, dalla comunità già stanziale di Monteruga e di cui si farà rievocazione più avanti.
Nata all’insegna, con i buoni auspici e sotto l’effetto di un poderoso e, perché no, benemerito stimolo impresso dalle autorità governative, nella pur delicata parentesi di transizione dello Stato dal regime monarchico a quello repubblicano, in altre parole fra la fase conclusiva dell’ultima guerra e il primo lustro immediatamente successivo, la realtà di Monteruga avrebbe dovuto recare tutti i presupposti per una lunga, interessante e proficua vita.
Si poteva, addirittura, intravvedere un suo positivo influsso sulle comunità tradizionali limitrofe, specie quelle di dimensioni limitate, che incedevano, indubbiamente, su binari di sviluppo sociale a scartamento ridotto, con traversine di povertà, indigenza e arretratezza più evidenti e accentuate.
Invece, non è dato di sapere come, forse per un’imperscrutabile e misteriosa nemesi storica, forse semplicemente sulla scia dei corsi e ricorsi delle cose, nonostante l’apparente ordinata gestione e amministrazione complessiva, la giovinezza del sito, intesa come buona salute, andò avanti a malapena per un quarto di secolo, un trentennio a voler abbondare.
Epilogo, fra il 1970 e il 1980, in concomitanza con l’abbandono, da parte della mano pubblica, del complesso, già fatto oggetto d’ingenti investimenti, e il ritorno del bene in testa a privati, purtroppo senza, almeno sinora, nessuna ipotesi o prospettiva concreta di rilancio di Monteruga e di una diversa destinazione d’uso, l’insediamento finì con lo svuotarsi del tutto.
E, da un pezzo, sopravvivono esclusivamente le tracce dei suoi edifici, manufatti, abitazioni, esercizi lavorativi, pochi gli immobili ancora integri, in prevalenza, invece, cadenti e/o diroccati e saccheggiati da mani incivili quando non vandaliche.
Per la precisione, un’idea di accettabile resistenza e mantenimento si riscontra unicamente nelle strutture del grande magazzino per la lavorazione del tabacco e della chiesetta.
Risultato, in sintesi d’immagine, un paese fantasma.
Si ricava la sensazione che nessuno abbia il desiderio o la volontà, non dico d’interessarsi, ma neppure di accostarsi a ciò che in quella plaga c’è stato e di cui, comunque, rimangono chiari segni e testimonianze materiali e tangibili ancora fresche.
Insomma, solo silenzio assoluto, in ogni senso, e abbandono.
Anche attraverso i moderni mezzi di comunicazione e d’informazione, stampa e web, sono rarissime le occasioni in cui si parla di Monteruga.
Del resto, con la privatizzazione, è venuta a mancare la vicinanza delle amministrazioni locali contermini, in particolare del comune di Veglie competente per feudo; infine, partiti i fedeli, è cessata anche la presenza da parte della Chiesa.
Pochi e occasionali riferimenti si riscontrano in internet sotto la voce “Monteruga”, ove si eccettuino alcuni recenti saggi e/o articoli e due libri, uno a firma di Michele Mainardi e l’altro pubblicato da Adriana Diso.
Si esaurisce qui la trattazione espositiva intorno a Monteruga, dalla nascita, alla sua purtroppo breve esistenza attiva e alla fine.
E, però, intende andare avanti l’applicazione analitica dello scrivente, da osservatore e narrastorie, con l’attenzione e la suggestione interiore spostate e orientate verso una serie di figure fisiche, esattamente due nuclei famigliari fra loto molto vicini, marittimesi d’origine, perciò compaesani, che, a suo tempo, hanno a lungo vissuto a Monteruga, ivi attraversando, da protagonisti di primo piano o testimoni prossimi e coinvolti, un’intensa serie di avvenimenti ed eventi.
Gli sposi di Monteruga
Nella natia Marittima, lo scrivente, classe 1941, iniziò piccolissimo, appena dopo l’ascolto degli iniziali accenni/riferimenti a tata (papà), mamma, nonni, a sentir parlare, talvolta, di trappiti (frantoi oleari), parmenti (stabilimenti vinicoli), tabacco (coltivazione delle relative piante a foglie verdi) e fieu (accezione, la più strana di tutte e, per ciò, a lungo rimasta per lui misteriosa e senza significato).
Si trattava di voci o echi, con associate immagini di gruppi di compaesani, anche cospicui, che lasciavano il luogo d’origine, in pratica emigravano, spostandosi temporaneamente in aree distanti (Brindisino, Tarantino, Basilicata). A ciò indotti, dal bisogno di accedere a opportunità lavorative meno precarie, con i cui proventi far fronte alle ordinarie necessità famigliari e, possibilmente, mettere da parte qualche risparmio che sarebbe stato poi utilizzato per preparare il corredo (dota) per le figlie femmine e costruire una nuova casa (frabbicu) a beneficio dei discendenti maschi che dovevano sposarsi.
Già avanti rispetto a detta, precocissima esperienza del narratore, nell’ambito della minuscola comunità marittimese, esistevano due determinati nuclei o focolari, che, di qui in poi, concorrono indicativamente ad animare le presenti note.
Il primo, dal cognome del capo famiglia A., nella sua massima composizione, sarebbe giunto ad annoverare otto membri viventi (più due nati morti o deceduti subito): Costantino e Ttetta (Maria Concetta) i genitori, Adele, Floriana, Clementina (detta Tina), Elvira, Settimia e Maria (quest’ultima, venuta alla luce proprio a Monteruga), le figlie, ben sei.
Due particolari sui nomi di battesimo, nello stretto rispetto delle usanze e tradizioni dei tempi passati: Floriana, a voler perpetuare l’appellativo del nonno paterno, Settimia, invece, a rimarcare che era, esattamente, la settima creatura venuta al mondo fra quelle mura domestiche.
Il secondo nucleo, dal cognome del capo famiglia P., comprendeva, da parte sua, i genitori Cosimo e Isabella e cinque figli: Attilio, Rita, Luigi (Gino), Emilio e Maria.
La famiglia A., volle porsi sull’esempio di due/tre altri gruppi di concittadini che già avevano preso l’iniziativa di lasciare Marittima e andare a vivere in masseria (fra S. Pancrazio Salentino, Veglie e Torre Lapillo).
Cosicché, attirata dalla prospettiva di attività lavorative sicure e continue (quanto all’uomo, nelle operazioni di bonifica e, una volta, le medesime, esauritesi, nelle coltivazioni agricole dirette, in primis il tabacco; circa le donne, in numero progressivamente crescente man mano che le figliole si facevano più grandi, dall’opportunità, non meno importante e redditizia, dell’impiego per tre/quattro mesi all’anno nella manifattura tabacco), fu la prima a partire, si era ancora in guerra, nel 1943, sistemandosi inizialmente nella masseria “Ciurli” e, in seguito, nelle nuove e più confortevoli abitazioni del borgo vero e proprio di Monteruga.
Analogo passo, a distanza di qualche anno, dopo un’esperienza di “prova” maturata dal giovane Gino, chiamato a lavorare da una compaesana, già loro vicina di casa, che dimorava da qualche tempo in una masseria, compì pure la famiglia P.
Nonostante l’impegno per l’adattamento nella nuova realtà, le prove della fatica e anche alcuni tristi eventi che sopravvennero colpendoli direttamente o indirettamente, non ebbero mai a pentirsi della scelta, i due gruppi di marittimesi, anzi erano contenti, si sentivano più liberi e aperti, in confronto ai ristretti limiti delle relazioni sociali e interpersonali nel paesello natio.
Per gli adulti c’erano le partite a carte sotto i portici coperti o nell’osteria – bottega di mescita del vino (puteca); riguardo specialmente ai giovani, in masseria, e ancor meglio a Monteruga, era loro dato agio di avvertire più ampi orizzonti, di crescere e di arricchirsi dentro, attraverso i contatti con i colleghi/amici emigrati, originari di altre diverse piccole località del Basso Salento (Diso, Vitigliano, Botrugno, S. Cassiano, Scorrano, Galatina).
Oltre al lavoro, anche duro, vi erano spazi per frequentazioni, svaghi, amicizie, sorrisi, affetti e amori; saltuariamente, balli in famiglia sulle note del grammofono, oppure, allargati, all’aperto, seguendo i ritmi dal vivo di complessi musicali o orchestrine che qualcuno dei residenti, con conoscenze nel settore, riusciva a portare a Monteruga.
In un’occasione, nel borgo, arrivò e si esibì addirittura il rinomato Gran complesso bandistico “Maestro Carlo Vitali” di Bari.
Fin qui, un quadretto in linee generali, ma limitato a taluni, ancorché tangibili, aspetti.
Nei giorni scorsi, ho voluto incontrare quattro degli attori protagonisti dell’epopea, a voler dire esperienza concreta e reale, di Monteruga, viventi, attivi e lucidi: Floriana ed Elvira A., insieme con i rispettivi mariti, Gino ed Emilio P. (innamoramento, fidanzamento e, in un caso, anche celebrazione del matrimonio, avvenuti proprio nel minuscolo borgo).
A proposito delle coppie come sopra formatesi, Emilio ha tenuto a rilevare che, pur essendo più giovane, è stato lui, per primo, a mettersi con Elvira e, solamente dopo, il fratello Gino, ad allacciare rapporti con Floriana.
All’atto delle nozze, la sequenza temporale si è però rovesciata; per la precisione, gli sposi più anziani, per pronunciare solennemente il “Sì”, hanno fatto ritorno nella natia Marittima, mentre Elvira ed Emilio (guarda la combinazione, due nomi con le medesime iniziali) hanno voluto, a ogni costo, coronare il loro sogno a Monteruga, il 1° maggio 1960, in quella semplice chiesetta, facendo convenire lì, dal luogo d’origine, una vasta schiera di altri famigliari e parenti.
V’è una bella fotografia, ovviamente in bianco e nero, che immortala l’evento, con un piccolo mondo antico, trasferitosi, per festeggiarlo, nel piccolo mondo nuovo di Monteruga.
A benedire le nozze, una figura assai benvoluta dalla comunità monterughese, don Giovanni Buccolieri, per tutti Papa Nino, originario di S. Pancrazio Salentino, a lungo preposto spirituale a Guagnano, prima da vice parroco e poi da parroco, e in mezzo alla gente del piccolo borgo agricolo da poco inaugurato.
Papa Nino si distingueva per la sua vicinanza e le premure all’indirizzo dei poveri e disadattati; si ricorda che, in un’occasione, arrivò a prelevare “furtivamente” un paio di scarpe (forse appartenenti a una persona abbiente) che erano nella bottega del padre calzolaio per una riparazione, per passarlo a un miserabile sofferente che era perennemente a piedi nudi.
Emilio, poco tempo dopo l’emigrazione da Marittima a Monteruga, si era arruolato in Marina, spesso si trovava di stanza a Taranto e faceva su e giù, per vedersi con la fidanzata, a cavallo di una Vespa (esiste un’altra istantanea, invero non comune in quell’epoca, con i due innamorati in sella allo scooter, a Monteruga, e, sullo sfondo, sorridente, Maria, la sorella di Emilio).
In tema di fidanzati e mogli, i quattro amici intervistati mi hanno anche riferito del terzo figlio P., Attilio, il maggiore, il quale, nei primi anni cinquanta, da poco giunto a Monteruga e pur avendo una zita (fidanzata) al paese natio, s’invaghì di un’altra Maria, appartenente a una famiglia terza, quella di un massaro del borgo: quest’ultimo non era per niente favorevole al rapporto della figlia con un “comune” colono, sicché la coppia si determinò a compiere la classica fuitina, sposandosi rapidamente e restando a vivere, come a distanza di tempo avrebbero fatto anche Gino e Floriana, nella natia Marittima.
Ecco, ora, le note non liete, per non dire tristi e dolorose, accennate prima.
Nel 1946, a ventuno anni, dopo una repentina e fulminante malattia, nel giro di otto giorni, venne a mancare, a Marittima, dove si era temporaneamente recata insieme con una sorella, Adele, la più grande delle sei A.
Nel 1954, cessò di vivere, a Monteruga, anche il genitore Costantino A., pure lui ancora relativamente giovane, le cui spoglie furono sepolte nel cimitero di Porto Cesareo, in Comune di Nardò, e tale destinazione finale, per la circostanza che il punto di Monteruga su cui sorgeva l’abitazione della famiglia A. ricadeva in quello spicchio di area rientrante, precisamente, nei confini comunali neretini.
Peraltro, in seguito, a distanza di una dozzina d’anni, i resti di Costantino A. furono trasferiti da Porto Cesareo al camposanto di Marittima, a cura della vedova Ttetta e con l’ausilio, io ero completamente all’oscuro di tal episodio, di mio padre Silvio, già a lungo impiegato all’anagrafe e Ufficiale dello Stato Civile e dunque, diciamo così, esperto in siffatto genere di pratiche.
Infine, pressappoco nella metà degli anni cinquanta, a Monteruga, rimase vittima di un incidente sul lavoro il giovane marittimese, lì emigrato, Pippi, che faceva il trattorista.
Formavano un insieme di belle ragazze le sei (a un certo punto, purtroppo, rimaste in cinque) sorelle A., come si può vedere da un’altra fotografia.
Certamente, non restavano inosservate; mi è stato detto, da Elvira, che, quando, in mancanza ancora della chiesa a Monteruga, si recavano insieme a piedi, per ascoltare la Messa, a S. Pancrazio salentino (quattordici chilometri, fra andata e ritorno), sovente qualche abitante del paese, al loro passaggio, commentava: “Vardàti, ce belle piccinne ne manda Monteruga”(osservate che belle ragazze arrivano da Monteruga).
Oltre ai lavori in campagna e nella manifattura tabacco, le giovani A. si occupavano di altre attività, erano divenute esperte di cucito e ricamo (Clementina detta Tina, sartoria, Elvira e Floriana, nell’ordine, tombolo e telaio, con esatti attrezzi di legno, a tutt’oggi conservati, costruiti da un abile falegname di S. Pancrazio Salentino).
Avevano un discreto numero di clienti, non solamente a Monteruga, ma, pure, nelle località contermini.
Non a caso, la loro abitazione era denominata la casa delle mescie (maestre).
In punto, per mostrare il significato del termine dialettale fieu richiamato prima, a lungo rimasto misterioso per l’infante Rocco.
Fieu sta per feudo, da intendersi nell’accezione di contrada o comprensorio o grande estensione di terreni. I marittimesi di sessanta/settanta anni fa, specie le donne, partivano dal paese per lu fieu, nell’Alto Salento, per la campagna di raccolta, a mano, delle olive, che si protraeva lungo un arco stagionale di due/tre mesi.
Nell’intento di completare appieno il mio giro d’orizzonte propedeutico alla stesura delle presenti note, in aggiunta ai vari dati raccolti qua e là e alle confidenze dirette dei citati quattro amici e compaesani già vissuti a Monteruga, ho avvertito la necessità di compiere personalmente una visita materiale all’interno del borgo.
È stato, invero, un giro veloce, sotto un cielo grigio e, tuttavia, sufficiente a farmi avvertire e assimilare una piccola catena di suggestioni che esclusivamente il contatto materiale poteva lasciare scaturire ed emergere.
Non mi soffermo sulla descrizione delle strutture edificate che mi si sono parate innanzi agli occhi in fedele aderenza con quanto già trovato descritto, unico particolare di novità un grande disegno a colori vivaci, moderno, tipico dell’oggi, sulla parete interna di una delle abitazioni utilizzate dai coloni.
Con lo sguardo, invece, ho raggiunto, soffermandomi, una collinetta che si erge a breve distanza del borgo, il “monte” la definizione datale dei residenti, su cui, stando al racconto di Floriana ed Elvira, durante le parentesi di svago, erano solite radunarsi compagnie di ragazze e giovani, al fine di cogliere fiori di campo e… sognare.
Dalle medesime fonti, ho anche sentito che, dalla sommità, durante le giornate terse, si scorgeva non soltanto la vicina distesa dello Ionio, ma anche, in direzione sud, il campanile del Duomo di Lecce.
Mi piace e, nello stesso tempo, mi pare doveroso, terminare questo cammino di scrittura dando sparute righe di spazio alla quiete, pace assoluta, aleggiante e imperante nel cuore, che, per sé, non cesserà mai di battere, della minuscola Monteruga, sensazione notevolmente dominante in confronto a tutti i restanti elementi posti d’intorno e a contorno, vuoi che siano semplicemente opera della natura, vuoi che rappresentino frutti dell’attività umana che una volta vi pulsava.
E il silenzio, nei suoi contenuti più profondi, a parer mio, può significare anche storia che travalica il tempo.
Rocco Boccadamo
Approfondimenti
Tricase, commercio e futuro, fra dubbi e speranze
Paola Baglivo, di Ottica Moderna e Gino Bortone della gioielleria Bortone, delineano il futuro della città…
“Gli sconti che offrono online sono improponibili per noi che dobbiamo necessariamente tener conto delle spese da sostenere”“Per le festività natalizie, in verità, non nutro molte speranze…”
“Vivibilità e caoticità delle città contribuiscono a cambiare abitudini e stile di vita. Di conseguenza cambia anche il modo di fare acquisti”
Queste interviste le potete trovare su il Gallo cartaceo, distribuito questo fine settimana, in 80 Comuni del Salento;
Approfondimenti
Il punto dei vista dei commercianti di Casarano e Ruffano
Luigi Cacciatore, di Cacciatore Calzature, Paolo Cavallo, Vodafone Multiservizi, Alessandro Venneri, Libreria Dante Alighieri: questo Natale sarà così…
Luigi Cacciatore, Cacciatore Calzature, Ruffano
«Amazon, Zalando & Co. hanno distrutto il commercio alterando valore degli articoli e periodi dei saldi»
Luigi Cacciatore, dell’omonimo negozio di calzature, non nasconde le sue perplessità: «Difficile fare previsioni sul periodo natalizio di quest’anno a Ruffano. Tutto è molto confuso e incerto anche a causa della mancanza del sindaco, dopo le note vicende».
Sull’attività associativa rivela che vi è un’associazione commercianti locale che, a suo avviso, «si è resa pubblica sporadicamente senza grandi coinvolgimenti. E, comunque», ammette, «io non ne faccio parte».
Riguardo alla vendita online, e alle grosse piattaforme «Amazon, Zalando & Co. hanno distrutto il commercio alterando completamente il valore degli articoli, i periodi di vendita e le regolari percentuali di guadagno.
“Questo colpisce tutti indistintamente dal tipo di prodotto o articolo che si tratta”
E questo colpisce tutti indistintamente dal tipo di prodotto o articolo che si tratta.
Si aggiungano tutte le diverse iniziative che vanno sempre a ledere sulle percentuali di guadagno dei negozi di prossimità, dal “Black Friday” ai saldi sempre più anticipati rispetto ai tempi giusti per mettere in saldo le rimanenze. Basti vedere le promozioni estive che iniziano a luglio, in piena stagione!
Tali situazioni mettono in ginocchio tutti noi commercianti che tiracchiamo quel carretto che finanzia, a suon di onerose tasse, lo Stato. Così, giorno dopo giorno, sempre più saracinesche restano chiuse».
Sull’anno che sta per concludersi, «il mio personale bilancio tutto sommato non è male, anche se non rende merito a sforzi e investimenti. Comunque, nutro grandi speranze per il periodo natalizio che lo scorso anno fu comunque positivo».
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Paolo Cavallo, Vodafone Multiservizi, Casarano
«Il cliente vuole toccare con mano, vedere il prodotto e ascoltare i professionisti del settore»
Paolo Cavallo del punto vendita Vodafone (a Casarano e Tricase) riferisce: «Anche se non ne faccio parte, sono a conoscenza che in paese opera un’associazione che sta promuovendo l’iniziativa Compra a Casarano».
“La vendita online nel nostro settore esiste. Chi compra su internet, però, deve essere cosciente dei molti rischi che corre”
Sulla concorrenza dell’e–commerce esprime il suo punto di vista con riferimento al settore della telefonia: «La vendita online nel nostro settore esiste. Chi compra su internet, però, deve essere cosciente dei molti rischi che corre. Tante sono, infatti le truffe. Resi e garanzia per chi compra online restano il problema principale».
Infatti, ammette che, «nel complesso, nell’ultimo anno, noi abbiamo registrato buoni numeri e constatato che il cliente vuole toccare con mano, vedere il prodotto e ascoltare i professionisti del settore. Sicuramente, poi, farà i confronti con i prezzi online ma sempre assumendosi la responsabilità della sua scelta finale».
Sulle festività di fine anno Paolo Cavallo si dice fiducioso: «Presentiamo offerte anche più convenienti rispetto all’e-commerce. Quindi ci aspettiamo buoni risultati»
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Alessandro Venneri, Libreria Dante Alighieri, Casarano
«Solo la stabilizzazione della viabilità in centro da parte del Comune potrà restituirci un po’ di serenità»
Alessandro Venneri, titolare della Liberia Dante Alighieri, premette che «l’associazione del commercianti in realtà si è un po’ dissolta in questi ultimi due anni, dopo che è stata siglata una sorta di convenzione per un “travaso” nella Confcommercio e molti si sono rifiutati».
Anche se non c’è un’associazione ufficiale, però, «da un paio di anni alcuni di noi, imprenditori e piccoli imprenditori, fanno gruppo e operano sul territorio di Casarano, per promuovere iniziative e contribuire a rendere attrattiva la città. A tal proposito», anticipa Venneri, «per quanto riguarda il prossimo Natale, si stanno delineando in questi giorni alcune manifestazioni che coinvolgeranno il centro del paese e, molto probabilmente, la villetta di via Lupo, piazzetta Petracca: iniziative, come mercatini e musica live, programmate tutte, subito dopo la festa dell’Immacolata, nei fine settimana di dicembre».
Sulla concorrenza agguerrita dell’e-commerce ammette: «La sofferenza dovuta a cali di vendite c’è indubbiamente stata. Il commercio on-line indubbiamente ha preso piede. A questo si aggiunga che noi casaranesi abbiamo pagato anche il fatto che negli ultimi anni la viabilità del centro sia stata coinvolta dal rifacimento di piazze e strade e, ancora oggi, come dicevo prima, ci sono lavori in corso che rendono precari traffico e parcheggi.
Tutto questo, ovviamente, crea un certo scombussolamento in chi vuole venire a trovarci.
Tornando al commercio elettronico, difficile quantificare il danno per la mia attività e quelle degli altri commercianti del posto. Detto che, comunque l’e-commerce è un ulteriore impedimento per i negozi di prossimità, bisogna reagire con i propri mezzi. Se un nemico non puoi sconfiggerlo devi farlo tuo alleato.
“Non possiamo certo metterci a combattere i colossi nazionali e internazionali però, quindi abbiamo iniziato”
Non possiamo certo metterci a combattere i colossi nazionali e internazionali però, quindi abbiamo iniziato a utilizzare piattaforme per la vendita on-line per far quadrare i conti. Allo stesso tempo, abbiamo implementato l’utilizzo dei canali social e tutto ciò che il mercato digitale propone».
Anche per questo il bilancio dell’anno che sta per finire per la Dante Alighieri è «tutto sommato soddisfacente, nonostante il settore dei libri nazionali denunci un deciso calo di vendite perché quei libri si trovano anche online.
Il settore dei libri locali o salentini invece, è in crescita. Così come quello dell’editoria scolastica. Quest’ultimo, un settore nel quale siamo particolarmente specializzati dopo cinquant’anni di attività sempre svolta con la massima professionalità».
Più che alle festività di fine anno, Venneri guarda un po’ più in là: «Sono certo che la stabilizzazione della viabilità in centro da parte del Comune possa restituirci un po’ di serenità, anche se non potrà mai restituire alla città tutte quelle attività che nel frattempo sono state costrette a chiudere».
Queste interviste le potete trovare su il Gallo cartaceo, distribuito questo fine settimana, in 80 Comuni del Salento;
seguono, fra poco su queste colonne, le interviste ai commercianti di, Tricase…
Approfondimenti
Maglie e le opinioni dei commercianti, questo Natale…
Marco Candido, di Candido Store, e Luigi Muci, di Muci Abbigliamento, tra consigli, suggerimenti e…
Marco Candido, Candido Store – Maglie
«Contro le vendite online, dovremo essere bravi a rendere lo shopping esperienza piacevole e gratificante»
Marco Candido (Candido Store) ci porta a conoscenza che «sono stati programmati degli eventi per tutti i fine settimana, fino a Natale, con spettacoli di artisti di strada.
Insieme agli addobbi sempre più ricchi e ricercati, contribuiranno a creare a Maglie quel clima natalizio di serenità e spensieratezza di cui tutti abbiamo bisogno».
In paese però non c’è una vera e propria associazione dei commercianti: «Purtroppo no, ad eccezione di un’associazione di strada che ovviamente coinvolge solo una parte di noi. Più volte si è provato a crearne una, ma senza risultato».
Sulla concorrenza che corre sul web ammette: «L’e-commerce ha portato la totalità dell’offerta di ogni servizio e prodotto nelle nostre case o, meglio, nelle nostre mani, sui nostri smartphone, spesso a prezzi più vantaggiosi. È ovviamente una concorrenza che si fa sentire, alla quale i negozi di prossimità posso rispondere, con successo, offrendo i servizi che l’e-commerce ancora non può dare.
Innanzitutto, una selezione di prodotti mirata e innovativa, che risponda e anticipi le esigenze della propria clientela e che la supporti quindi nelle scelte d’acquisto; una qualità del servizio in fase di acquisto, intesa come consulenza ed in generale come esperienza piacevole e gratificante, che difficilmente un ordine online può dare.
“I nostri acquisti sono spesso emozionali, rispondendo più ad una necessità di gratificazione personale…”
Oggi i nostri acquisti, soprattutto nel nostro settore, sono spesso emozionali, rispondendo più ad una necessità di gratificazione personale che ad una specifica esigenza, e noi dobbiamo essere bravi a rendere questa esperienza piacevole e gratificante.
Altro punto di forza dei negozi di prossimità deve essere la credibilità, in termini di garanzia totale di soddisfazione dell’acquisto effettuato; il cliente deve poter contare sul fatto che noi ci siamo e ci saremo sempre per risolvere i problemi che dovesse riscontrare».
Candido definisce l’anno che sta per finire come «altalenante, con mesi fortemente negativi e altri molto positivi.
Nel complesso siamo in linea con lo scorso anno e questo, nel nostro settore, non è male. Viviamo globalmente un momento di forti turbolenze ed incertezze che non aiutano il mercato, ma siamo convinti che serietà, coerenza e essere propositivi alla lunga paghino. Quindi, si: siamo fiduciosi per le festività».
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Luigi Muci, Muci Abbigliamento – Maglie
«Siamo fortunati perché il nostro centro storico è una sorta di Centro Commerciale a cielo aperto»
Luigi Muci, di Muci Abbigliamento Uomo, ammette: «A Maglie non abbiamo un’associazione commercianti, quindi le iniziative ogni anno nascono un po’ “a spot” e sono create da tante piccole associazioni.
Poi, la Proloco, insieme all’amministrazione, le mette insieme per creare un cartellone natalizio. Quest’anno i commercianti di via San Giuseppe, che è una stradina pedonale molto carina che costeggia il municipio, hanno organizzato degli eventi. Via collegata anche con piazza Caduti di via Fani, luogo di ritrovo per la vita notturna magliese, che da un paio d’anni è stata resa pedonale. In questa zona del centro storico si terranno degli spettacoli che richiameranno un bel po’ di gente».
Sulle vendite di fine anno aggiunge: «C’è molta attesa per il periodo natalizio, che ha un’incidenza del 20-30% sul fatturato annuo. Ovviamente, ciò dipende anche dalla tipologia del negozio».
Sulla concorrenza dell’e-commerce: «Negli ultimi periodi le vendite sono calate per vari motivi e non soltanto, per l’avvento dell’online spesso preferita da chi acquista per la convenienza economica ,visti gli sconti che effettuano e anche perché più facile e veloce.
Il piccolo negozio di vicinato può contrastarla con la fidelizzazione del cliente, con la qualità e, soprattutto, garantendo accoglienza, offrendo il surplus della consulenza e guadagnando la fiducia dei clienti. Almeno nei piccoli centri i rapporti personali resistono e sono importanti».
“Dobbiamo fare i conti con la desertificazione dei piccoli centri. Fenomeno che non coinvolge solo il nostro settore…”
Il centro storico magliese è un centro commerciale a cielo aperto: «Dobbiamo fare i conti con la desertificazione dei piccoli centri. Fenomeno che non coinvolge solo il nostro settore, la desertificazione commerciale comporta tutta una serie di problematiche anche sociali.
Tutto sommato noi, a Maglie, siamo fortunati perché la nostra città offre una serie di negozi tutti raccolti in centro. Chi viene a Maglie può scegliere tra un’ampia gamma di negozi (uomo, donna, calzature, oggettistica, ecc.), vicini uno all’altro. Questo è un punto a nostro favore che ci aiuta a mantenere ancora un appeal importante anche per la posizione della Città che è centrale rispetto all’intero Salento».
Ricollegandosi alla rivalità con il variegato mondo di internet, Muci sottolinea: «È importante cercare di far capire al consumatore che anche se risparmia qualche euro, quando acquista on-line arreca un danno al proprio paese, al commercio, all’economia del proprio territorio. Senza dimenticare che, acquistando on-line, si rinuncia a fare una passeggiata in centro: l’acquisto è anche un importante momento sociale, che consente di comunicare, di confrontarsi con i negozianti, di scambiare due chiacchiere».
Queste interviste le potete trovare su il Gallo cartaceo, distribuito questo fine settimana, in 80 Comuni del Salento;
seguono, fra poco su queste colonne, le interviste ai commercianti di Casarano, Tricase e Ruffano…
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