Attualità
Un nuovo tradimento, Don Tonino Bello e la cultura libertaria
Eutanasia, il Vescovo di Ugento – S.M. di Leuca sull’Osservatorio Romano: «Cosa avrebbe detto e scritto Don Tonino se fosse vissuto fino ai nostri giorni considerando l’avanzamento delle “battaglie” per i nuovi “diritti”?»

L’osservatorio Romano (edizione dello scorso 3 settembre) ha ospitato sulle sue colonne un intervento del Vescovo di Ugento – S.M. di Leuca, Mons. Vito Angiuli. Argomento di discussione, lo stesso trattato pochi giorni fa dalle nostre colonne: l’eutanasia. Il Vescovo in quest’ultimo suo scritto prova ad immaginare cosa avrebbe pensato e detto a riguardo Don Tonino Bello.
Di seguito la versione integrale dell’intervento di Mons. Angiuli.
«Poniamoci una domanda: cosa avrebbe detto don Tonino sulla questione dell’eutanasia? So bene che questo interrogativo rischia di essere fuori contesto. Don Tonino non ha considerato questo problema, perché al suo tempo questo argomento non si poneva con l’urgenza e la pressante attualità dei nostri giorni. Già questa osservazione, però, la dice lunga sul radicale cambiamento culturale che è avvenuto nello spazio di pochi decenni. Dagli anni ’70 ad oggi, l’avanzare della cultura delle rivendicazioni dei “diritti civili e delle battaglie libertarie” ha fatto passi da gigante. Oggi possiamo dire che la cultura radicale si è imposta in modo pervasivo nella società, soppiantando, almeno in parte, le grandi ideologie novecentesche.
Si pensi, ad esempio, allo stravolgimento che si è operato nella cultura socialista, comunista e, comunque, di sinistra. In un recente articolo su “Avvenire”, Franco Monaco ha rimproverato alla sinistra di essersi appiattita su «l’assolutizzazione del principio di autodeterminazione»1, mentre su “La Repubblica”, Francesco Merlo l’ha invitato a riconoscere di essersi lasciata colonizzare dalla cultura radicale. Infatti, «da quando la sinistra ha mandato in soffitta marxismo e comunismo ed è diventata liberale, occidentale, atlantista, europeista, libertaria, divorzista, abortista, antiproibizionista, persino antistatalista e referendaria, da quando la sinistra ha scoperto la civiltà dei diritti individuali, la libertà sessuale e il fine vita, lo ius soli e la legge Zan, la giustizia giusta, l’inciviltà dell’ergastolo, le ragioni di Israele… nessun ex comunista o postcomunista ha mai confessato, mentre se ne appropria, che questo è il pensiero di Marco Pannella, che questa è la sinistra di Pannella».
Ritornando a don Tonino, possiamo dire che, anche se la questione dell’eutanasia non era ancora formalizzata, tuttavia egli non aveva mancato di alzare la sua voce contro la cultura libertaria, già ampiamente presente al suo tempo. Si pensi alle sue prese di posizione inequivocabili contro il divorzio e l’aborto. Quanto al divorzio, da sacerdote, egli scriveva: «Cosa diremo sul divorzio? Che è una frattura. È una rottura. È un regresso. È una involuzione. È lo sgretolarsi di un edificio. È il frantumarsi di una scultura. È l’inaridirsi di uno stelo. Pertanto è un male, è un disvalore. È una constatazione di morte là dove c’era la vita».

Mons. Vito Angiuli
Quanto all’aborto, ancora da prete, ammoniva: «È lecito l’aborto? La risposta è scontata. L’aborto procurato, cioè l’espulsione volontaria dall’utero materno di un feto vivo ma non vitale, è sempre un crimine. La ragione è semplice: l’aborto è la soppressione di un essere umano. Non è la soppressione di una parassita, non di un’escrescenza carnosa dell’utero materno. Per cui non hanno senso le espressioni “il nostro ventre ci appartiene”, “vogliamo gestire noi la nostra maternità”»4. Divenuto Vescovo, nella famosa preghiera, “Dammi, Signore, un’ala di riserva”, rincarò la dose: «L’aborto è un oltraggio grave alla tua (di Dio) fantasia. È un crimine contro il tuo genio. È un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano. È l’antigenesi più delittuosa. È la “decreazione” più desolante. È l’antipasqua».
Per don Tonino, dunque, era chiaro che il criterio della denuncia e dell’annuncio su cui si doveva muovere la sua azione di pastore doveva coniugare insieme l’etica sociale e l’etica personale, senza alcuna divisione o separazione. Egli, infatti, riteneva che fosse «importante giocare la partita a tutto campo, e naturalmente in tutto questo discorso c’entra anche il problema dell’aborto. È chiaro, tutte le violenze nei confronti dell’uomo vanno combattute, ostacolate […]. Il fenomeno della violenza va visto nella sua globalità non solo in qualche sua parte: non bisogna sottrarsi a questi compiti!»
Anche per questo, il 25 gennaio 1987, scrisse una lettera-denuncia, intitolata “Trahison des clercs” sulla responsabilità e la complicità degli intellettuali nell’aver smesso di svolgere il loro compito di tener desta la coscienza del popolo nei confronti di tutte le forme di sopraffazione e di violenza perpetuate contro l’uomo, soprattutto contro le persone più deboli e più indifese. Con un linguaggio franco e diretto, lanciò queste accuse: «Vi siete staccati dal popolo, così che, per la vostra diserzione, stanno cedendo nell’organismo dei poveri anche quelle difese immunologiche che li hanno preservati finora dalle più tragiche epidemie morali. Vittime del privatismo, il male oscuro del secolo che voi per vocazione avreste dovuto debellare, avete abbandonato i laboratori della sintesi dove la poesia si mescola col giornale, il sogno con la realtà, la tensione assiologica con le fredde esigenze della tecnica, gli spartiti musicali della vita con gli arrangiamenti banali dei rumori quotidiani. E intanto la città muore. Col vostro nulla osta».
In questo atto d’accusa sembra di riascoltare l’invettiva che Pier Paolo Pasolini lanciò nel discorso che aveva preparato per il congresso del partito radicale del novembre 1975, al quale non partecipò perché nel frattempo fu assassinato. Il discorso, letto da Marco Pannella, conteneva l’ammonizione circa la possibilità dell’insorgere di «una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita […]. Il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione “creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili”. Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi (radicali), attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto della bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera».
In definitiva, il “tradimento dei chierici”, stigmatizzato da Pasolini nel 1975 e riproposto da don Tonino dodici anni dopo, forse è tornato di attualità. Mi domando, infatti: cosa avrebbe detto e scritto don Tonino se fosse vissuto fino ai nostri giorni, considerando l’avanzamento delle “battaglie” per la conquista di nuovi spazi di libertà: le unioni civili, il ddl Zan, la maternità surrogata, l’eutanasia? Per questo mi chiedo: non dovremmo far sentire in modo più forte la voce di don Tonino anche su questi temi e presentarlo come il cantore della vita in tutti i suoi aspetti e in tutta la sua fragilità e bellezza? Se non lo facessimo, non cadremmo in una nuova “trahison des clercs”?».
Mons. Vito Angiuli
Attualità
C… siamo, inizia l’avventura del Casarano
Oggi alle 17 il raduno negli impianti dell’Heffort Sport Village a Parabita, dove i calciatori sosterranno le visite mediche e i test atletici. La rosa a disposizione di Di Bari in attesa di altre novità dal mercato

di Giuseppe Lagna
Tutto pronto per l’inizio ufficiale della nuova stagione del Casarano Calcio, edizione serie C 2025-2026.
Oggi alle ore 17 è previsto il raduno negli impianti dell’Heffort Sport Village a Parabita, dove i calciatori sosterranno le visite mediche e i test atletici.
Come lo scorso anno è scattato il tam-tam per portare i tifosi ad accogliere degnamente i propri beniamini, che si accingono ad affrontare la terza categoria professionistica dopo lunghi anni di attesa.
Scorriamo la rosa dei Rossoazzurri, capitanati dall’allenatore Vito Di Bari (“secondo” Federico Giampaolo), al momento così composta:
(confermati) Giancarlo Malcore, Leonardo Perez, Antonio Guastamacchia, Gaetano Logoluso, Antonio D’Alena, Giovanni Pinto, Leandro Versienti, Vincenzo Ferrara, Ismael Cajazzo, Alessio Barone, Milos Milicevic, (settore giovanile) Diego Malagnino, Marco Ferilli, Matteo Martina, Tiziano Lattante; (arrivi) Cosimo Chiricò, Ertijon Gega, Raffaele Maiello, Vincenzo Millico, Filippo Bacchin, Niccolò Chiorra, Flavio Di Dio.
La Società non esclude altri prossimi arrivi in vista del ritiro, secondo una coppia per ruolo come nelle intenzioni del duo Fulvio Navone e Antonio Obbiettivo.
La partenza per il ritiro di Cascia (m 653 slm) avrà luogo mercoledì 16 luglio, presso i campi erbosi dell’hotel “La Reggia”, e si concluderà il 31 luglio.
Amichevoli previste il 21 con il Cascia, Montegranaro (24), Sambenedettese (27) e Frosinone (31).
Nella foto in alto, la festosa accoglienza della squadra l’anno scorso al Capozza.
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Attualità
Campagna antincendio: il prezioso contributo delle Guardie Ambientali d’Italia
Il Coordinamento Provinciale di Lecce al lavoro per tutelare il patrimonio boschivo, in collaborazione con la Polizia Locale di Ruffano e le autorità competenti

Le Guardie Ambientali d’Italia – Coordinamento Provinciale di Lecce, guidate dal dirigente dott. Davide Rizzello, sono attive sul territorio per le operazioni di vigilanza e pattugliamento nell’ambito della campagna antincendio boschivo (AIB).

Fin dall’inizio della stagione estiva, le guardie stanno monitorando costantemente il territorio grazie all’ausilio di droni dotati di telecamere termiche. Un’attenzione particolare è rivolta alle Serre Salentine, aree a elevato rischio incendi, dove il controllo aereo consente l’individuazione tempestiva di focolai e movimenti sospetti, contribuendo a scoraggiare e individuare eventuali piromani.
Tali attività vengono svolte in stretta collaborazione con la Polizia Locale di Ruffano e le autorità preposte, con l’obiettivo di tutelare il patrimonio naturale, prevenire disastri ambientali e garantire la sicurezza dei cittadini.

Le Guardie Ambientali d’Italia rinnovano l’appello alla cittadinanza a collaborare, segnalando ogni attività sospetta o situazione di pericolo.
Attualità
Ayman, salentino d’Egitto. Arrivato in Salento dopo 12 giorni di mare…
È in Italia da 10 anni, tutti trascorsi a Tricase. Vi è arrivato da solo quando era ancora minorenne, appena ragazzino, dopo un viaggio che lo ha visto separarsi dal suo Paese, l’Egitto, e dalla sua famiglia….

Tutto da Zero. L’arrivo da minore straniero non accompagnato, l’integrazione e poi il sogno: “Qualcosa che posso condividere con la comunità che mi ha accolto”
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Il nome è già un assaggio della storia che stiamo per raccontare: la pizzeria “Tutto da zero” di Ruffano è una nuova attività che cela molto più del semplice sogno di chi ha lavorato alla sua apertura.
Ayman, il titolare, ha 25 anni.
Il nome ne “tradisce” le origini, ma l’impeccabile parlata salentina spiazza chi ancora non lo conosce. È in Italia da 10 anni, tutti trascorsi a Tricase. Vi è arrivato da solo quando era ancora minorenne, appena ragazzino, dopo un viaggio che lo ha visto separarsi dal suo Paese, l’Egitto, e dalla sua famiglia.
Ayman, torniamo indietro nel tempo. Cosa ricordi dei tuoi 15 anni?
«È l’età alla quale ho lasciato il mio villaggio, Asyut, nel sud dell’Egitto, in cerca di un futuro. In Egitto, soprattutto da dove vengo io, le opportunità sono pochissime. Andare via è stata un’esperienza che non si dimentica: dopo essermi separato dai miei affetti, ho affrontato 12 giorni di viaggio in mare, su una barca, fino alla Calabria. Da lì sono stato trasferito in una comunità per minori stranieri non accompagnati a Tricase. È stato un passaggio duro, fatto di paura e speranza. Ma è anche lì che è iniziato tutto per me».
Che tipo di percorso hai affrontato una volta arrivato a Tricase?
«Un percorso lungo, difficile, ma ricco. All’inizio era tutto nuovo: la lingua, le persone, le abitudini. Ma ho trovato educatori e operatori che mi hanno aiutato tanto. Ho iniziato a frequentare l’istituto alberghiero e, già a 17 anni, ho cominciato a lavorare nella ristorazione.
Il primo impiego è stato in una pizzeria di Tricase, come lavapiatti. Da lì ho voluto imparare tutto: come si impasta, come si stende una pizza, come si gestisce una cucina. Lavorare mi ha messo in contatto con tante persone e mi ha fatto sentire parte della comunità.
Oggi parlo perfettamente l’italiano, faccio anche da mediatore linguistico e, cosa più importante, ho costruito relazioni vere: ho una compagna con cui condivido la vita e, da due anni, ho qui anche mio fratello maggiore che lavora con me».
E adesso sei titolare della tua pizzeria. Come è nato il progetto “Tutto da Zero”?
«Quello della pizzeria è più di un nome, è la mia storia. Sono arrivato qui senza nulla, ho imparato appunto tutto da zero, e da zero riparto, ma con un bagaglio enorme fatto di esperienza, passione e voglia di fare.
Era da tempo che pensavo di aprire qualcosa di mio: volevo dimostrare a me stesso di saper mettere in pratica ciò che ho imparato e creare un luogo dove la gente potesse stare bene, mangiare bene, sentirsi accolta».
È una sfida grande
«Certo, ma sono pronto. Volevo qualcosa che potessi condividere con la mia famiglia, con mio fratello, con la comunità che mi ha accolto. È un modo per restituire un po’ di ciò che ho ricevuto. E ogni giorno mi alzo con l’idea di fare meglio, di offrire qualcosa di buono, non solo da mangiare».
Lorenzo Zito
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