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Attualità

Eolico offshore, anche le Regione si oppone. Domenica sit-in a Porto Miggiano con Regione Salento

L’assessora regionale Anna Grazia Maraschio non sembra lasciare spazio a repliche: «L’impianto Odra confligge con la pianificazione regionale». Paolo Pagliaro: «Impianti solo dove non sfregiano il paesaggio»

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Eolico offshore nel basso Adriatico, anche la Regione si oppone. Domenica sit in a Porto Miggiano con Regione Salento.


LA REGIONE: QUELLO È LUOGO PAESAGGISTICO CULTURALE


Anche la Regione fa sentire la sua voce attraverso l’assessora all’ambiente.


Anna Grazia Maraschio non sembra lasciare spazio a repliche: «L’impianto Odra confligge con la pianificazione regionale».


Anna Grazia Maraschio


«La Regione Puglia, tramite l’assessorato all’ambiente», spiega Maraschio, «ha già realizzato una proposta di pianificazione dello spazio marittimo, inviata al Ministero delle Infrastrutture, in cui si fornisce un indirizzo chiaro su quali debbano essere le aree in cui concentrare gli impianti eolici offshore, che reputiamo fondamentali per la transizione energica, purché rispettino la pianificazione regionale, realizzata nell’unico interesse del territorio. In generale abbiamo proposto l’installazione di questi impianti nella linea di confine delle 12 miglia. Per quanto riguarda l’area che va da Santa Cesarea Terme a Santa Maria di Leuca (come quella del Gargano) abbiamo previsto, fino al limite delle 12 miglia, un uso prioritario come “Paesaggistico culturale”, quindi non adatto a ospitare tali impianti».


L’area in questione, difatti, rappresenta uno dei patrimoni paesaggistici e naturalistici della Puglia rinomati in tutto il mondo, tra i più apprezzati dai pugliesi e di notevole importanza anche per il turismo, settore trainante della Regione. Infatti, nell’area costiera insiste il Parco naturale regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca, che presenta una costa con falesie di alta valenza panoramica e paesaggistica ed è in via di definizione l’area marina protetta.


«L’impianto Odra», tira le somme l’assessore regionale all’ambiente, «è attualmente confliggente con gli indirizzi espressi dalla Regione Puglia, che non prevedono impianti entro le 12 miglia».


Il progetto in questione prevede la realizzazione di un parco eolico marino galleggiante, con 90 aerogeneratori alti 315 metri, in un’area pari a 162 chilometri quadrati nello specchio di mare antistante Santa Cesarea, Otranto, Castro, Andrano, Tricase, Alessano, Castrignano del Capo, a distanze comprese tra le 6,5 miglia marine e le 13 miglia.


«Non a caso all’interno dello studio di impatto ambientale presentato dall’azienda», aggiunge l’assessora Maraschio, «riguardo gli impatti sui beni paesaggistici, l’azienda scrive testualmente che “gli impatti stimati sono di entità bassa in fase di costruzione e di entità alta in fase di esercizio, per l’impatto visivo degli aerogeneratori”. Auspichiamo, dunque, che il Ministero dell’Ambiente, in fase di Valutazione di impatto ambientale (Via), tenga conto della programmazione regionale sullo spazio marittimo e delle osservazioni e istanze che perverranno dal territorio. Il ministero è l’unico organo deputato alla decisione finale, a stabilire se tale impianto si farà o pure no e auspico che tutte le forze politiche interessate alle sorti di quell’area facciano le dovute sollecitazioni al fine di ottenere il risultato auspicato dalle comunità del territorio e dalle 41 amministrazioni comunali, che si stanno esprimendo con seria preoccupazione».


PAGLIARO: «NON SIAMO MARE NÉ TERRA DI CONQUISTA»

Intanto Porto Miggiano torna ad essere il luogo simbolo della protesta.


Paolo Pagliaro, consigliere regionale e fondatore di Regione Salento, annuncia: «Di nuovo uniti dall’unica bandiera della difesa del paesaggio dall’assalto sregolato dell’eolico offshore. Ci ritroveremo a Porto Miggiano, luogo simbolo della nostra protesta, dove abbiamo già manifestato il 21 novembre 2021 e il 1° maggio 2022, per ribadire che il nostro patrimonio di bellezza non è in vendita».

Quello di domenica prossima non sarà un “no” ad un impianto in particolare, «ma a tutti quelli che, per come sono stati progettati, minacciano di sfregiare il mare e le coste. Per questo, da anni, invochiamo un piano regolatore del mare con paletti che delimitino le aree destinate all’uso di produzione energetica e che quindi possono ospitare le centrali del vento galleggianti. In Consiglio regionale abbiamo presentato una mozione che ricalcava le 72 delibere dei comuni interessati che hanno detto il loro NO a questi impianti; inoltre ho chiesto un consiglio monotematico per discutere di questa insensata invasione e attendiamo di trovare una soluzione, tutti uniti, comuni e Regione, per far vincere il buonsenso”.


«Solo adesso», evidenzia Pagliaro, «vediamo esprimersi la Regione contro un progetto, ma finora ha fatto… l’indiano e, col suo silenzio, ha spalancato le porte alle multinazionali e alla colonizzazione delle nostre acque. Senza fermare le speculazioni, senza dire una parola contro tutti i progetti incompatibili con la proposta di pianificazione dello spazio marittimo inviata al Ministero, dove fornisce un indirizzo sulle aree in cui concentrare gli impianti eolici offshore. Proposta che abbiamo pubblicamente apprezzato per quanto riguarda l’indicazione delle zone marine già sfruttate, come i porti industriali».


Ma c’è un “però: «Sull’indicazione della linea di confine delle 12 miglia dalla costa, non ci siamo: troppo poche per garantire che questi mostri galleggianti, che superano addirittura i 300 metri di altezza, non vadano ad impattare visivamente con panorami da preservare. E non è solo questione di distanza: più volte abbiamo evidenziato i danni collaterali ai fondali marini e a terra, dovuti alle infrastrutture di ancoraggio e di allaccio alla rete energetica; lo stress per la fauna marina; le interferenze con le attività di navigazione e di pesca; l’impatto acustico prodotto da un esercito di turbine in mare. E poi c’è un discorso di misura: la concentrazione di progetti lungo le coste salentine e pugliesi va davvero oltre ogni limite, se consideriamo che nel solo capo di Leuca sono stati presentati progetti che prevedono concessioni demaniali marittime per 600 chilometri quadrati, quattro volte il territorio dell’unione dei comuni del Capo di Leuca».


È anche una questione di equità che riguarda il federalismo energetico: «Ogni territorio faccia la sua parte. Poiché la Puglia è già seconda in Italia per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, e prima per l’eolico con il 25,2% del totale nazionale, crediamo di aver già dato abbondantemente, sacrificando il nostro paesaggio ad insediamenti eolici e fotovoltaici selvaggi senza riceverne alcun beneficio in cambio, neppure in termini di sconto in bolletta».


L’iniziativa di protesta di domenica prossima a Porto Miggiano servirà a ribadire tutto questo: «Non siamo mare né terra di conquista, perché la pioggia di nuove richieste d’insediamento non risparmia terreni e zone di pregio già inaridite dal flagello della Xylella e che adesso hanno bisogno di essere rinverditi e riforestati con nuove coltivazioni per rigenerare vita e produzioni al Salento e non possono essere svenduti e ridotti a campi per il fotovoltaico. Chiediamo rispetto per la volontà dei territori e dei comuni che si sono già espressi con delibere contro alcuni progetti, e che domenica 17 marzo manifesteranno insieme a noi».



 


Attualità

Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

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Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)

A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.

Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.

La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.

Le foto

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Approfondimenti

Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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