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Approfondimenti

Identità salentina, una questione aperta

Già l’antica Apulia pre-romana comprendeva tre territori ben definiti: Daunia (Foggiano), Peucezia (Barese), Messapia (Salento)…

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di Hervé Cavallera


Il Professor Hervé Cavallera


Uno dei problemi da tempo dibattuto è quello di una identità salentina.


Non a caso da 25 anni la sezione Sud Salento di Italia Nostra promuove una suggestiva manifestazione dal titolo “Identità salentina” e dal 2010 esiste il “Movimento Regione Salento” che rivendica la bontà del progetto di una Regione Salento proposto alla Costituente da Giuseppe Codacci-Pisanelli nel 1947.


In realtà Codacci-Pisanelli non inventava alcunché; si limitava a riproporre l’antico Giustizierato di Terra d’Otranto risalente ai tempi di Federico II di Svevia (XIII secolo, e retaggio della centralità che Otranto godeva con Bisanzio) e comprendente le attuali provincie di Lecce, Brindisi, Taranto e il Materano. E Terra d’Otranto fu poi smembrata nel 1923 e nel 1927.


Pertanto esistono precisi riferimenti storici che possono essere spesi a favore di una identità politica e amministrativa salentina. D’altronde l’antica Apulia pre-romana comprendeva tre territori ben definiti: la Daunia (il Foggiano), la Peucezia (il Barese), la Messapia (il Salento).


Se poi dalla storia si passa alla determinazione geografica, la penisola salentina è facilmente individuabile come la terra tra i due mari (Adriatico e Ionio).


E il discorso si può estendere alle caratteristiche linguistiche proprie dei dialetti salentini, come non sono da sottovalutare gli usi e i costumi, gli alimenti e così via.


Naturalmente una individuazione identitaria si può fare in tante parti d’Italia e nella seconda metà dell’Ottocento non sono mancati studi, che, dopo aver diviso la Penisola in circa dodici macroregioni, si sono soffermati sulle stesse caratteristiche psicologiche degli abitanti. Ed invero, lo studio delle caratteristiche di determinati contesti antropologici è assai interessante ed utile, sempre che non lo si pietrifichi come qualcosa di immutabile, col rischio di una frammentazione estremamente individualistica. Al tempo stesso, è necessario rilevare non solo ciò che differenzia, ma anche quello che unifica. La Penisola italiana gode di tradizioni antichissime e ogni area geografica può essere esaminata rilevando le caratteristiche linguistiche, alimentari, culturali, antropologiche che si sono illustrate nel corso dei millenni. Ciò non significa passare, nell’età della globalizzazione per di più, dall’Italia unificata alla ostentazione delle diversità linguistiche, culturali, storiche, religiose – e chi più ne ha più ne metta – presenti in ogni parte della Penisola.


Vero è che, di là da tali considerazioni generali e prescindendo dalle disamine degli specialisti, è il mondo dei media e dei social che ha in maniera rilevante – per quanto indiretta – fatto riemergere la questione della identità salentina. Infatti il Salento si è caratterizzato al momento come il luogo per eccellenza delle vacanze estive, acquisendo una notorietà non solo nazionale. Ed è stata data come scontata la caratterizzazione della realtà salentina, anche alla luce della configurazione geografica.  Di qui la richiesta di una presenza di maggiori servizi nel territorio e quindi di una reale autonomia capace di consentire al meglio lo sviluppo economico e civile.


Del Salento come realtà ben definita si parla sui media come non avviene per altre parti della Penisola.


Tutto questo comporta il ripensamento della possibile ruolo di una identità salentina e quindi una serie di linee di ricerca che possono avere carattere di buona divagazione (che non guasta, in quanto è sempre di stimolo per lo sviluppo dell’intelligenza), ma anche di reale incidenza sul sociale.


Una di queste è il pensare a raccogliere i diversi aspetti che consentono di parlare di una identità salentina, tenendo anche conto di quello che le generazioni del passato hanno voluto trasmettere ai più giovani. Ed è un discorso di ampio respiro che è opportuno iniziare prima che il mondo delle omologazioni cancelli tutto, come sta avvenendo per i nostri dialetti. E sarebbe a mio avviso opportuno che tale linea di ricerca avesse un carattere aperto, ossia non fosse ascrivibile ad una sola istituzione, che potrebbe, senza volerlo, limitarlo. In altri termini, dovrebbero essere i Salentini a ritrovare sé stessi in una interconnessione tra Istituti di ricerca, come la Società di Storia Patria, e liberi studiosi.

Un’altra linea di indagine potrebbe essere l’individuazione dei punti di forza e di debolezza della realtà salentina (collegamenti stradali, treni, aeroporti ecc.) con riferimenti alle attrazioni turistiche e alla tutela dell’ambiente e dei luoghi culturali. E quindi sanare tutto quello che non va.


Naturalmente va ricordata l’importanza di un “catalogo” ben articolato dei luoghi da visitare. Si potrebbe rilevare che non mancano i libri sull’argomento, ma l’ipotesi da valutare è quella di un lavoro sistematico che in qualche modo completi le lodevoli iniziative dei singoli studiosi.


Rimane poi chiaramente aperta la questione di una precisa autonomia amministrativa della realtà salentina, soprattutto valutando i vantaggi che potrebbe arrecare, non solo al Salento stesso, ma all’intero contesto nazionale.


è un problema delicato che sarebbe opportuno discutere con serenità e serietà, mettendo da parte ogni inutile pregiudizio.


Si tratta solo di alcuni aspetti ai quali altri potrebbero aggiungersi.


L’importante è però che tutto non si fermi ad una mera enunciazione, ma passi ad una rapida fase operativa.


*Per leggere “Cosa vuol dire essere salentini oggi?” di Luigi Zito clicca qui

Per leggere “Difendere questa terra, ogni giorno oggetto di attacchi” di Paolo Pagliaro clicca qui

Per leggere “Salento, il Paradiso delle cose essenziali” di Franco Simone clicca qui

 




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Certezze ed incertezze del presente

Lo spettro della guerra, malavita, femminicidi, violenza dilagante nel mondo adolescenziale e giovanile. E il Salento? Terra di anziani residenti o fugaci vacanzieri…

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di Hervé Cavallera

di Hervé Cavallera

La Pasqua da poco trascorsa dovrebbe aver ricordato ai Cristiani che essa, per il tramite della passione, morte e resurrezione di Gesù, è l’invito al passaggio ad una vita migliore.

Le feste del Cristianesimo, infatti, possono essere considerate come una sollecitazione per un futuro che sia, per i singoli e per la collettività, più buono e sereno rispetto al passato.

Ma l’immagine del presente non è così.

In campo internazionale permangono almeno due conflitti e i rischi che i campi di battaglia si allarghino non sono da sottovalutare.

E non è un problema dappoco.

Poi, per quanto riguarda l’Italia (ma il fenomeno non è solo italiano) si può constatare un aumento della violenza.

E non ci si riferisce solo ai casi più eclatanti, ossia ai delitti legati al mondo della malavita e alla crisi delle relazioni sentimentali (basti ricordare i femminicidi).

Ci si riferisce particolarmente alla violenza diffusa nel mondo adolescenziale e giovanile con i tumulti nelle università volti ad impedire la libertà di parola a conferenzieri non graditi, alle dimostrazioni pacifiste che generano saccheggi e vandalismi di vario genere, alle conflittualità che serpeggiano in certe scuole in una contrapposizione tra docenti ed allievi, con la partecipazione talvolta dei genitori.

Si ha l’impressione di trovarci in un mondo in cui non si riesce più a controllare gli impulsi.

Così accade che le frustrazioni, che sicuramente la maggior parte di noi ha pure conosciuto nel corso della propria esistenza, non vengano superate rafforzando il carattere e abituando a saper affrontare le difficoltà, ma producano comportamenti aggressivi che si propagano con facilità.

Ciò significa che gli adulti, i genitori in particolar modo, devono ben essere attenti oggi più che mai alle dinamiche dell’età evolutiva dei giovani.

Per fortuna sembrerebbe un fenomeno che non riguarda in modo preoccupante il nostro Salento.

Non che manchino i fatti di cronaca nera, ma fenomeni di scontri di piazza da parte di minorenni sono assai pochi.

E qui allora emerge un’altra considerazione: quello dello spopolamento.

Le nascite sono da tempo in netto calo nella Penisola.

Secondo i dati dell’ISTAT in Italia nascono 6 bambini ogni mille abitanti.

Nel Salento al calo demografico si aggiunge poi il fatto che molti giovani compiono gli studi universitari in altre regioni d’Italia e non tornano più nel paese nativo.

Certo, vi sono anche coloro che tornano e con coraggio, come si è scritto su questo giornale, ma sono pochi.

Il Salento diventa la terra di anziani residenti o di fugaci vacanzieri.

E allora l’invito alla gioia che proviene dal suono delle campane pasquali si spegne in una triste rassegna.

Conflitti sempre più minacciosi tanto da spingere qualcuno a sostenere il ritorno alla leva obbligatoria, sviluppo della criminalità organizzata, violenze e tragedie domestiche, violenza giovanile, fragilità nell’affrontare le difficoltà connesse al quotidiano, spopolamento, stagnazione produttiva…

Occorre precisare che non si nega che esistano casi positivi, anzi di eccellenza nella imprenditoria, nei giovani, nella vita coniugale e così via, ma l’ombra del negativo è sempre più visibile e preoccupante.

LA COMUNICAZIONE DELL’EFFIMERO

Vi è poi la sensazione di una crescita dell’individua- lismo accentuato dai social, dalla facilità di esprimere pareri su tutto e su tutti.

Al tempo stesso la comunicazione digitale isola fisicamente l’utente pur avendo egli un contatto online con centinaia se non migliaia di persone.

È la comunicazione dell’effimero, mentre si continua a rimanere soli.

Come diceva l’antico filosofo, l’uomo è un animale sociale; ha bisogno di vivere concretamente, fisicamente col prossimo, non di limitarsi a parole diffuse con mezzi artificiali.

Ed è questo l’aspetto che è il lascito ideale delle recenti celebrazioni pasquali: quello di tornare ad essere una comunità.

Una comunità di persone che si incontrano e dialogano ed elaborano progetti che permettano una crescita economica e spirituale.

Tutto questo richiede buona volontà e competenza, richiede il mettere da parte l’attrazione per il proprio tornaconto, per il proprio particulare come diceva Guicciardini.

È un compito che devono tornare ad assumere quelle istituzioni ad esso preposte quali la famiglia e la scuola.

In un momento storico in cui i legami familiari diventano sempre più fluidi, bisogna che la scuola diventi davvero un centro di formazione di responsabilità oltre che di conoscenze e competenze.

Un futuro migliore è affidato da sempre ad una buona educazione e di ciò dobbiamo tornare a prendere consapevolezza.

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Il fallimento della democrazia

Astensionismo: nelle regionali del 2023 raggiunse il 60% in Lombardia e Lazio; nel 2014 in Emilia-Romagna votò solo il 37,7%. Nel 2020 l’affluenza alle regionali pugliesi è stata del 56,43%…

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di Hervé Cavallera

Il prof. Hervé Cavallera

Il 25 febbraio si è votato per la Regione in Sardegna.

I candidati alla Presidenza della Regione erano 4 e le liste presenti 25.

Ora, quello che particolarmente colpisce, a prescindere da vinti e vincitori e dalle stesse modalità di votazione (voto disgiunto, ad esempio), è l’affluenza degli elettori.

Poco al di sopra del 52%, quindi ancor meno dell’affluenza avuta nelle precedenti elezioni regionali.

Né si tratta di un fenomeno meramente sardo.

L’affluenza elettorale è effettivamente bassa e, come si suole dire, l’astensionismo è in assoluto il maggior partito in Italia (ma la situazione non è dissimile anche in altri Paesi europei).

Nelle regionali del 2023 l’astensionismo raggiunse il 60% in Lombardia e nel Lazio e nel 2014 in Emilia-Romagna per l’elezione del presidente della Regione votò solo il 37,7% degli elettori.

Nel 2020 l’affluenza alle regionali in Puglia è stata del 56,43%. Ciò non può lasciare indifferenti in quanto, se democrazia significa partecipazione, il “successo” dell’astensionismo significa fallimento della democrazia.

Esiste ormai nella realtà uno scollamento tra cittadini e politica.

È un dato inequivocabile che non può essere risolto con la diffusione del cosiddetto “civismo” ossia con la nascita di movimenti localistici.

Invero nel 1946 l’Assemblea Costituente introdusse il principio della obbligatorietà del voto che però all’art. 48 della Costituzione italiana risulta solo un dovere civico.

Nel 1957, col D. P. R. n.361, si rendeva obbligatorio il voto nelle elezioni politiche, dichiarando che occorreva fare un elenco degli astenuti.

Il tutto poi venne meno nel 1993 (D. L. 20 dicembre 1993, n . 534).

Il che è anche corretto poiché il concetto di liberta implica anche l’astensione. E tuttavia quando l’astensione raggiunge livelli elevatissimi sì da quasi superare il numero dei votanti, è chiaro che è in atto una crisi della sensibilità politica dei cittadini.

Si tratta di un processo che in Italia si può far risalire alla cosiddetta fine della prima Repubblica (1994) ossia con la fine dei partiti che esistevano nella Penisola dal 1946.

In realtà, il fenomeno rientra nel collo delle grandi ideologie e, di conseguenza, in una semplificazione della vita politica tra due schieramenti, etichettati come moderati o conservatori da una parte e progressisti dall’altra.

Non per nulla negli Stati Uniti d’America dove esistono praticamente solo due partiti, il repubblicano e il democratico, l’astensionismo tocca spesso punte del 70% a cui peraltro ci si è abituati.

Di qui un altro aspetto che va considerato: il ruolo decisivo del candidato alla presidenza.

Sostanzialmente si vota la persona più che le idee.

D’altronde tutti possiamo constatare che nei nostri Comuni sono pressoché inesistenti le tradizionali sezioni dei partiti, ove una volta i tesserati potevano discutere vari temi politici.

Di qui un ulteriore paradosso. Si ritiene che in una società democratica chi “comanda” o, per essere più corretti, chi ha la gestione della cosa pubblica sia la maggioranza.

Nei fatti, invece, proprio grazie all’astensionismo, la gestione del potere è comunque affidata ad una minoranza, mentre la maggioranza dei cittadini assiste con apatia, rassegnazione o altro, a quello che la minoranza decide.

Negli anni ’80 del secolo scorso il sottoscritto scrisse un libro sull’importanza dell’educazione politica, intesa non come educazione partitica, ma come educazione alla partecipazione responsabile alla vita pubblica.

Al presente, di fronte a fenomeni come l’astensionismo, la cancel culture, l’improvvisazione demagogica che talvolta si fa sentire per il tramite dei social, una riflessione articolata, ponderata e di largo respiro sulla necessità di una rifondazione della vita civile, in modo che non sia soggetta alle pulsioni del momento, sarebbe opportuna.

Naturalmente tutto riesce difficile ed è inutile evocare il ricordo della vecchia Educazione civica, anche se dal settembre del 2020 l’Educazione civica è considerata una disciplina trasversale che riguarda tutti i gradi scolastici.

In una società ove predomina il relativismo individualistico, mancano i grandi valori che danno davvero lo slancio vitale all’impegno civile che investa la collettività e tutto si risolve nel gioco degli interessi di piccoli gruppi o dei singoli.

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Galatina, il Liceo Vallone si mobilita “fa rumore” per le Donne

Sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

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In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della donna, il Liceo A. Vallone, di Galatina, sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Previsto in mattinata, alle ore 11.45, un corteo che partirà dalla sede centrale del Liceo, in viale don Tonino Bello, e si muoverà verso Piazza San Pietro dove si terrà un flash mob di riflessione chiuso con la lettura di Knocking on Heaven’s door, profondo monologo in voce maschile tratto da Ferite a morte, di Serena Dandini. 

“L’ignominia continua da Giulia…1,2,3…12 vittime” è il messaggio che gli studenti e le studentesse del Liceo porteranno in corteo, ribadendo che “Nessun delitto ha una giustificazione”!

Tutti gli studenti e le studentesse del Liceo, accompagnati dal personale scolastico, attraverseranno le strade principali della città (viale don Tonino Bello – via Ugo Lisi – C.so porta Luce – Piazza San Pietro) con l’obiettivo di fare un silenzioso rumore sull’inefficacia di questa ricorrenza, dipanando un drappo rosso lungo 30 metri, simbolo del dolore e delle violenze che le donne ancora subiscono, visto il perdurante divario di genere.

“Non si ha nulla da celebrare se non vi è uguaglianza. Non si celebra la Donna se non La si rispetta” Queste le parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Angela Venneri, che ha fortemente promosso e sostenuto l’iniziativa, in un’ottica di sensibilizzazione e condivisione d’intenti.

Non un’occasione per festeggiare, dunque, ma solo per riflettere e tenere alta l’attenzione, con l’auspicio che l’educazione culturale possa riaffermare un ineludibile principio di civiltà.

Da qui l’augurio conclusivo dei nostri studenti e studentesse a tutte le donne con i dolcissimi versi della poesia di Alda Merini, Sorridi donna.

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