Attualità
«La pace è frutto della giustizia»
Mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi: «L’inviolabilità dei diritti umani della dichiarazione ONU del 1948 è la condizione per un’umanità nuova, per un mondo altro possibile»

a cura di Giuseppe Cerfeda
Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Palestina, alla Nigeria, sono molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è tragica normalità. Qualche numero: nel 2022 nello Yemen si sono registrati 5.099 morti; in Siria 1.037; nella regione del Tigrai, in Etiopia, 410; in Iraq 267… Tutti conflitti che fino a ieri ci lasciavano tranquilli perché la modernità e le connessioni hanno abbattuto le distanze ma tenuto a debita distanza le sofferenze. Fino a quel maledetto 17 febbraio, quando Putin ha deciso che la guerra doveva avere nuovamente casa anche in Europa. I morti, parliamo solo di civili, sono stati oltre 6.300 in dieci mesi. Se si contano anche i militari la cifra diventa tristemente a cinque zeri. Senza contare che sulla nostra testa pende la spada di Damocle dell’utilizzo delle armi nucleari…
Di questo, di equità e di giustizia sociale, alle porte del Natale, a margine dei Dialoghi di Pace nel corso della presentazione della 41esima edizione del Presepe Vivente di Tricase, abbiamo parlato con Mons. Giovanni Ricchiuti, Vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva e Presidente di Pax Christi – Italia.
A settembre è stato in Ucraina. Al suo ritorno ha dichiarato «La pace si costruisce con gesti concreti». Quali sono i gesti concreti per una terra dilaniata dalla guerra?
«Dal 29 agosto al 3 settembre ho preso parte alla Terza Carovana della Pace, “Stopthewarnow”, organizzata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII e con la partecipazione di tante associazioni pacifiste, tra cui Pax Christi, diretta ad Odessa e Mikolajv. Eravamo in 50 e abbiamo scelto di essere presenti e vicini alla gente, far sentire loro di essere in compagnia di persone desiderose soltanto di stare accanto e di camminare insieme. Silenzi e parole accompagnate da mani ricolme di gesti di carità (cibo, medicine e materiale igienico) e di condivisione della loro sofferenza per nutrire speranze di dialogo e di pace. Seminatori di speranza, nel nome di Gesù Cristo»
Altra sua dichiarazione: «Guerra in Uccraina, la Nato ha colpe gravi e il Parlamento non ascolta i pacifisti». Ci spiega meglio?
«Sin dalle prime esplosioni di bombe e di lancio di missili, da parte della Russia verso l’Ucraina, avevamo dichiarato, noi di Pax Christi, che in qualche modo la Nato non avrebbe certo facilitato il dialogo. Lo stesso papa Francesco aveva dichiarato che la Nato non poteva abbaiare alle porte della Russia. Oggi quella dichiarazione conserva drammatica ed attualità. Sin dall’inizio del conflitto un pensiero unico, da sinistra a destra della politica italiana, fatta qualche sporadica e coraggiosa eccezione, ha letteralmente imbavagliato una opinione pubblica italiana che dai sondaggi non era favorevole a questo conflitto e alla modalità con cui l’Italia dei partiti politici si preparava ad affrontarlo».
L’Italia supporta l’Ucraina con gli armamenti spendendo centinaia di milioni di euro. Qual è la sua posizione in merito?
«Nessuno ha mai messo in dubbio che nel conflitto drammaticamente in corso ci sia un aggressore ed un aggredito. Quel che è inaccettabile, a mio parere, condiviso da quello che io chiamo il popolo della pace, è stata la decisione dell’Italia, dell’Europa e degli Stati Uniti di pensare di risolvere il problema inviando armi, facendo ricadere questa spesa militare sulle difficili condizioni di vita di tanti cittadini in grave difficoltà economica. Purtroppo questa logica “irrazionale” che ritiene di risolvere i conflitti con la guerra non lascia spazio a considerazioni e progetti di pacificazione. Con l’aggravante che quanto viene investito nelle armi va a svantaggio di tanti aspetti della vita civile».
Tricase, il Capo di Leuca e tutto il Salento in generale sono molto legati alla figura del Venerabile don Tonino Bello che, come lei, è stato presidente di Pax Christi. Come ricorda il suo predecessore? Ci racconta qualche aneddoto relativo ad uno dei vostri incontri?
«A questo proposito + don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta e Presidente nazionale di Pax Christi, oggi Venerabile, ripeteva che “le armi non si comprano e non si vendono!” e che bisognava incamminarsi sui sentieri di Isaia che nella sua visione profetica ebbe a scrivere: “Verranno giorni in cui le spade si trasformeranno in aratri e le lance in falci”.
Sì, certo che l’ho conosciuto don Tonino e l’ho incontrato diverse volte. Quel volto ormai scavato dalla malattia, con gli occhi però capaci di penetrare nel cuore di chi gli stava di fronte, quella sera del 31 dicembre 1992, nella Marcia per la Pace a Molfetta, io non lo dimenticherò mai. Era di ritorno, da qualche giorno, dall’aver camminato con altri 500 viandanti di pace lungo le strade di Sarajevo ed era felice perché in tutta la sua vita aveva ascoltato la beatitudine evangelica della mitezza e della pace».
La pace deve essere promossa quotidianamente dal basso: dalla società civile, nella società civile, tramite l’educazione, la formazione, l’istruzione nelle scuole e nelle università. Fermo restando il dramma dei tanti conflitti vecchi e nuovi sparsi per il mondo, il concetto abbraccia anche la giustizia e l’equità sociale. Rafforzare i diritti significa rafforzare la pace?
«Certamente! La pace è frutto della giustizia! Le ingiustizie sociali, il grido dei poveri, le attese degli oppressi, la sofferenza per la dignità umana calpestata richiamano quella inviolabilità dei diritti umani che la dichiarazione dell’ONU nel 1948 indicò come la strada maestra sulla quale l’umanità deve ritrovare il gusto di camminare.
È la condizione per un’umanità nuova, per un mondo altro possibile».
Di recente ha presenziato i “Dialoghi della Pace” nel corso della presentazione del Presepe Vivente di Tricase ed ha sottolineato quanto la Natività sia simbolicamente un fondamentale veicolo di Pace… A poche settimane dal Santo Natale quale messaggio di pace si può affidare a chi ci legge?
«Sì, quella del 1° dicembre a Tricase è stata una bellissima serata! Ringrazio ancora il Comitato che da 41 anni prepara il Presepe Vivente per l’invito a dialogare sulla pace. + Don Tonino amava porgere “auguri scomodi” per il Natale perché la Natività del Signore non può e non deve essere occasione di sperpero, di consumismo e di ipocrite relazioni augurali. Mi piace chiudere questa intervista, per la quale esprimo tutta la mia gratitudine, con questo augurio di don Primo Mazzolari: “Mi basta che Tu sia fra noi. Noi possiamo diventare ancor più cattivi, ma se Tu sei con noi anche questo grande male passerà”: Buon Natale e giorni di Pace per l’anno che verrà!»
Attualità
Xylella dieci anni dopo, domani a PresaDiretta su Rai3
I danni economici causati dal batterio sono stati stimati in 2 miliardi di euro. La produzione olivicola del Salento…

A dieci anni dalla comparsa della Xylella fastidiosa, il killer degli ulivi, PresaDiretta ripercorre la storia del patogeno che ha sterminato 20 milioni di piante in Puglia.
Un viaggio dalla provincia di Bari al Salento per raccontare come il batterio scoperto dai ricercatori del CNR di Bari nel 2013 – e fino a quel momento ufficialmente sconosciuto in Europa – in 10 anni abbia stravolto il tessuto economico, agricolo e paesaggistico del 40 per cento della regione.
Otto mila chilometri quadrati di territorio, una superficie 100 volte più estesa rispetto alla zona infetta iniziale. Oggi le campagne del Salento sono desertificate e abbandonate. Ovunque restano cimiteri di alberi.
I danni economici causati dal batterio sono stati stimati in 2 miliardi di euro. La produzione olivicola del Salento è crollata e si sono persi 5 mila posti di lavoro.
Ma come si è arrivati a tutto questo? L’infezione delle piante, seppur lentamente, avanza ancora. Nel reportage “Xylella, 10 anni dopo” di Daniela Cipolloni e Eleonora Tundo con la fotografia di Matteo Delbò – in onda nella puntata a PresaDiretta lunedì alle 21.20 su Rai3 – Maria Saponari e Donato Boscia, gli scienziati protagonisti della scoperta del patogeno, Salvatore Infantino direttore dell’Osservatorio Fitosanitario della regione Puglia e gli agricoltori che hanno perso centinaia di piante, racconteranno questi lunghi dieci anni di contrasto all’infezione e il “Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia”.
Attualità
A Tricase il cimitero delle vallonee secolari
In piena area Parco, le querce cadono una dopo l’altra. Sul cancelletto (chiuso) si parla di indagini valutative in corso, per lo stupore dello studio indicato sul cartello. Per la responsabile dell’orto botanico Unisalento: “Dobbiamo ricostruire l’habitat che abbiamo stravolto”

Quando una quercia cade fa rumore? Forse non abbastanza. Ce lo insegna Tricase dove il boschetto delle vallonee, dimora di meravigliose piante plurisecolari, è diventato in breve tempo e nel silenzio un desolante cimitero.
Noto anche come boschetto della Falanida, dopo esser stato travolto da una tromba d’aria nel 2007, è stato inserito, nel 2010, nell’area di regolare manutenzione del “Parco Naturale Regionale Costa Otranto – S. Maria di Leuca – Bosco Tricase”, anche a tutela dal processo di antropizzazione in atto in zona.
Poi nel 2021, lì in quel rettangolo di terra tra le strade che in centinaia tutti i giorni percorrono per Marina Serra e Tricase Porto, per lo stupore di tutti, una quercia secolare è crollata lungo il muro di cinta attorno al boschetto.
Quando un monumento cade segna la fine di un’epoca. È l’inizio di un declino che, adesso, sembra a tutti gli effetti inesorabile. Sul boschetto cala subito il sipario: il cancello viene chiuso; la recinzione (un tempo in più punti malmessa) è presto rinforzata o ripristinata. Impedisce l’accesso ad uno spettacolo desolante: le querce vallonee (hanno oltre tre secoli di vita), una dopo l’altra, si adagiano al suolo. Girando attorno al perimetro, si scorgono quelle che passando dalla strada (via Finocchiare) non si vedono: se ne contano almeno quattro con le radici per aria. Molte di quelle ancora in piedi parlano anche ad occhi inesperti: le loro condizioni di salute sembrano compromesse, il loro destino potrebbe presto essere lo stesso di quello delle loro sorelle.
Qualcuno se ne starà occupando? Sul cancelletto all’entrata, oggi sotto lucchetto, l’ente Parco ha affisso un cartello, che parla anche a nome del Comune di Tricase: “L’ingresso è interdetto al fine di garantire l’incolumità delle persone e protegge il sito da possibili alterazioni”. Manca una qualsivoglia data, ma (si legge) “sono in corso indagini mirate alla valutazione delle condizioni vegetative sanitarie e statiche dei 30 alberi presenti”.
In calce, il nome di uno studio (di Bologna!) e del dottore forestale cui l’ente Parco ha affidato l’incarico di analizzare la situazione. Componiamo il suo numero, alla ricerca di novità. Le risposte non sono quelle che ci saremmo aspettati.
CHIUSO DA ANNI PER UN SOPRALLUOGO?
“Non ero a conoscenza di questo cartello”, ci risponde sorpreso il dottor Vincenzo Blotta, dello Studio Tecnoforest, “anche perché, da parte dell’ente, ho ricevuto solamente mandato per un sopralluogo approfondito, risalente a diverso tempo fa. Era il periodo immediatamente successivo la caduta della prima vallonea del boschetto, quella adiacente il muretto di cinta”.
Ne ricorda l’esito?
“Ricordo che presi in esame le vallonee presenti, ed anche la salute della famosa quercia dei Cento Cavalieri. Consigliai di ricoprire l’apparato radicale della vallonea appena caduta, per provare a mantenerla in vita anziché rimuoverla, come si stava per fare. Indicai anche l’opportunità di ulteriori approfondite indagini. Sono esami che hanno un certo costo, ma che personalmente ritengo opportuni, visto il contesto e l’età delle piante in gioco. La situazione poi è particolare anche per una serie di altri motivi. Tra questi la presenza in zona di materiale di riporto (NdA, materiali antropici nel terreno, come possono essere, ad esempio, residui e scarti di produzione e di consumo)”.
Chi legge quel cartello, oggi, pensa che lei stia ancora lavorando al problema.
“In verità non sa cosa sia stato fatto dopo quel mio sopralluogo, perché non mi compete e perché non mi fu dato alcun altro mandato. Apprendo da voi della caduta di altre vallonee”.
È GIUNTA L’ORA DELLE VALLONEE?
Dato che, come recita uno dei cartelli lungo il perimetro del parco, la quercia vallonea è inserita fra le specie a rischio della Lista Rossa Nazionale, abbiamo interpellato un esperto. Per capire se dopo aver segnato il destino della millenaria vallonea dei Cento Cavalieri (delle cui sorti, appese anche ad un tira e molla tra pubblico e privato, abbiamo spesso parlato in separata sede) e dopo la fine degli ulivi dobbiamo rassegnarci anche a quella delle vallonee.
Ha risposto ai nostri interrogativi la professoressa Rita Accogli, originaria di Tricase e responsabile tecnico dell’Orto Botanico dell’Università del Salento.
Dottoressa, come muore una quercia vallonea? Ci dà dei segnali preventivi o è un processo repentino ed inesorabile?
I fattori che portano al decesso della pianta possono essere diversi. Sia edafici, quindi pertinenti alla natura del terreno, che ambientali e climatici. Fondamentali sono pure la presenza e le relazioni con gli animali, che possono danneggiare o proteggere la pianta dall’azione di determinati parassiti. Anche la carenza del giusto quantitativo d’acqua potrebbe essere un fattore di decadenza.
E di conseguenza può pesare anche l’incuria…
È evidente che, essendo piante spontanee, non vengono curate, nel senso agronomico del termine. Ma è anche vero che, se una pianta muore dopo secoli di sopravvivenza autonoma, accende un campanello d’allarme. Un segnale del fatto che qualcosa, nell’habitat in cui si trova, non sta più andando come dovrebbe. Il compito dell’uomo, quindi, oltre che di prendersi diretta cura di queste piante, è quello di preservare e favorire i giusti equilibri attorno ad esse.
Oggi sul territorio sono presenti più soggetti (corpi, enti ed istituzioni) che a vario titolo dovrebbero vigilare sulla salute del territorio. La loro compresenza può diventare un rischio?
Purtroppo, mi sento di dire che per la tutela del territorio siamo all’anno zero. Spesso la compresenza crea confusione e, in assenza di debita regolamentazione, non c’è chiarezza su chi deve far cosa. Questo ha anche una ricaduta sociale: la sovrapposizione di tutti questi enti instilla nelle persone la convinzione che ci sia sempre qualcuno deputato alla cura dell’ambiente al nostro posto. Ne deriva un forte calo di sensibilità, soprattutto nelle nuove generazioni, ed una mancanza di senso civico.
Lei conosce da vicino la realtà di Tricase, in passato vi ha studiato la diffusione delle vallonee. Qual è la situazione sul posto?
Nel 2003, l’Orto Botanico dell’Università del Salento, su commissione del Comune di Tricase, ha effettuato un censimento delle vallonee adulte (dai 30 anni di età in su). Nel territorio ne sono state individuate circa 7mila. Sino alla fine degli anni ’90, nel bosco delle vallonee si contavano più di 10 esemplari la cui età era compresa tra i 350 e i 400 anni. Buona parte di queste oggi non c’è più. È possibile che, in un’area protetta, nel giro di appena venti anni, le condizioni anziché migliorare peggiorino? E nel frattempo, tutte quelle piante che all’epoca non furono censite perché non adulte, che fine avranno fatto, visto che molto spesso sono oggetto di tacita rimozione perché ritenute ostacolo a ristrutturazione e miglioramento delle case di campagna?
Cosa andrebbe fatto, da dove ripartire?
È necessario partire da uno studio pedologico e delle condizioni edafiche, per accertarsi del giusto funzionamento dei cicli biogeochimici, della presenza della giusta micro- e macro-fauna, dei detrivori, della micro e macro-flora, delle specie fungine e batteriche etc. Negli anni, numerose sono state le richieste di tutela del bosco avanzate da associazioni, istituti scolastici, frontisti, cittadini e studiosi che proponevano interventi strutturali che sono stati poi realizzati, come la deviazione delle acque bianche che dal paese passavano attraverso il bosco per poi perdersi verso il Canale del Rio, la recinzione, la regolamentazione della fruizione etc.
Dopo gli ulivi, dobbiamo rassegnarci a perdere anche le vallonee?
Interrogarci sarà il primo passo per scongiurare questo rischio: dobbiamo ripartire dalla rinaturalizzazione dell’habitat, perché lo abbiamo stravolto nel tempo e reso tale da non permettere più alle piante di sopravviverci.
Che valore hanno le vallonee per il nostro territorio?
Intanto il popolamento di vallonee a Tricase è veramente eccezionale, anche su scala mondiale: i vecchi areali del secolo scorso, che ne registrano la presenza anche nei Balcani, in Grecia, Siria e Turchia, se aggiornati darebbero ancora più peso al nostro territorio comunale, dato che le vallonee dei paesi dell’Est stanno progressivamente diminuendo.
A ciò si aggiunga il fatto che a Tricase le vallonee sono legate a doppio filo con la storia del paese. Qui un tempo la pianta veniva coltivata, potremmo dire che fu addomesticata, perché fondamentale per la concia e commercio di pellami. Per cinque secoli le vallonee hanno sostenuto “l’arte del pelacane” che ha rappresentato il motore economico del paese, portando i nostri prodotti anche oltreconfine, a competere coi più ambiti pellami d’Europa.
Andrebbe forse ricoltivata anche una coscienza comune in merito, partendo dai più giovani.
Ti dirò, siamo chiamati quasi sempre a parlarne nelle scuole elementari. Troppo poco agli adulti e quasi mai agli adolescenti. Nonostante le tante normative internazionali le diano risalto, molte scuole sembra abbiano dimenticato la botanica. Ormai, viaggiamo verso una completa cecità vegetale…






Attualità
Da Tricase al palcoscenico nazionale: 3 giovanissimi talenti per 3 ambite posizioni
Quarant’anni di passione e dedizione premiano successi straordinari nel mondo della danza dell’ASD Il Balletto diretto da Elena De Donno.

Il Balletto, fucina di neo artisti nel corso di quaranta anni, ha recentemente festeggiato tre straordinarie affermazioni, a dimostrazione che perseveranza e talento sono il trampolino di lancio per ambiti risultati e palcoscenici prestigiosi.
Il giovanissimo Davide Piccinni, ha superato con successo l’audizione per l’ammissione al primo Corso del Teatro dell’Opera di Roma. Una conquista eccezionale che sottolinea il talento del ragazzo e la sua dedizione per il mondo della danza classica.
Non da meno, Gabriele Chittani, che è stato ammesso al Corso di Diploma Accademico insegnanti, presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma; un ambito percorso molto selettivo che accoglie solo 30 partecipanti.
Ultima, ma non ultima, è Nuara Ciardo, sempre di Tricase, che ha raggiunto un traguardo straordinario con l’ammissione al Corso di Diploma Insegnante di Danza Classica a indirizzo tecnico-didattico presso il Teatro alla Scala di Milano, un’opportunità concessa solo a 20 giovani talenti provenienti da tutta Italia.
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