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News & Salento

Rigoletto in televisione e l’amarcord della banda nelle feste patronali

Ho assistito con gusto e godimento, beninteso da non intenditore, alla recente messa in onda, su RaiUno, del “Rigoletto a Mantova”, i tre atti “live” dell’opera verdiana.

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Ho assistito con gusto e godimento, beninteso da non intenditore, alla recente messa in onda, su RaiUno, del “Rigoletto a Mantova”, i tre atti “live” dell’opera verdiana. E’ stato per me motivo di semplice e insieme grande emozione, il contatto, ovviamente mediato dal teleschermo, con il maestro Zubin Mehta, che molti anni fa ho avuto agio d’incontrare e salutare  di persona al Ravenna Festival, con il famoso tenore Placido Domingo, con la suggestiva ambientazione nel palazzo Te del capoluogo virgiliano. Inoltre, dalla visione delle scene  e, soprattutto, dall’ascolto delle melodie e delle arie del capolavoro del Cigno di Busseto, ho tratto spunto e ispirazione per riandare indietro, con la mente, a stagioni lontane e a rappresentazioni del “Rigoletto” in un contesto logistico ben diverso e assai più circoscritto, e però contenenti un’anima e un fondo coinvolgenti, quasi sullo stesso piano e di eguale spinta penetrativa, rispetto alla freschissima presentazione in diretta sotto forma di film tratto dall’opera. C’erano, anzi si celebravano, una volta, in ogni paese della Puglia e quindi del Salento (ciò riguardava, per la verità, anche altre aree della Penisola, ma, nella sensibilità di chi scrive, il relativo riferimento è sfumato, dice poco e niente), le Feste patronali, ossia allestimenti in onore del Santo o della Santa protettori e, nell’ambito, di tali celebrazioni, si registrava, puntuale e immancabile, la presenza di una o più bande musicali, con una cinquantina di elementi, a cui toccava un ruolo di primo piano. Doveroso inciso, in questa sede null’altro di più, le feste patronali si svolgono anche oggi, ma si tratta di una storia proprio diversa, di proporzioni e concezioni agli antipodi in confronto al passato. Giacché, a quei tempi, nella ricorrenza principale, di maggiore solennità, che si attendeva con ansia da un anno all’altro, al primo posto dell’organizzazione e del piacere di fruizione, si poneva, giustappunto, l’esibizione della banda, mentre minore interesse era riservato alle luminarie e ai fuochi d’artificio, aspetti, specie gli ultimi, che, al presente, sono invece giudicati di effetto strategico primario, almeno secondo il metro del gradimento da parte della gente. Del resto, mette conto di ricordare che, allora, TV, radio, telefoni e telefonini, internet, non esistevano, i giornali circolavano appena e in minimi termini. Insomma, tranne rarissime eccezioni, la gente era nuda e cruda, si relazionava su onde di estrema semplicità, con il contorno esclusivamente degli umori, dei rumori, delle voci e dei canti degli elementi naturali circostanti: mare, cielo, campagne, uliveti, vigneti, distese di grano e di tabacco. Sicché, non pareva vera, sembrava un miracolo, l’opportunità di ascoltare e assaporare niente poco di meno che le opere musicali: persone che non avevano neanche potuto completare il ciclo delle scuole elementari, che in molti casi sapevano “fare” solo la firma, con la chance di godersi, almeno una volta all’anno, in 20, 30, 40, 50 ricorrenze di calendario, le note di Rigoletto, Traviata, Trovatore, Aida, Barbiere di Siviglia, Turandot, Norma, Madama Butterfly, Tosca, Elisir d’amore, I pini di Roma, La gazza ladra, Manon Lescaut, fino a riuscire a tenere a mente i passaggi salienti, a fissarli da un appuntamento al successivo. Su circa 2.000 abitanti, 300/400 anime, la maggior parte in piedi, qualche privilegiato seduto grazie alla gentilezza di compaesani abitanti proprio lì, affollavano la piazza, dal momento in cui risuonavano le percussioni sui grandi timpani per il saluto al maestro che saliva sul podio e sino all’ultima nota dell’esecuzione. Il silenzio regnava padrone, inframmezzato unicamente dagli applausi degli astanti nei passaggi spettacolari di maggiore attrazione. Si esprimevano sottovoce i venditori di noccioline o di coni gelati o di palle di pezza o di mostaccioli o di “cupeta” o di zucchero filato. Le giostre con l’ autoscontro, i dischi volanti e le barchette altalenanti, erano addirittura sistemate in spazi un po’ lontani, sempre per non disturbare le suonate della banda. In Puglia si contavano (magari, sono ancora oggi in attività) moltissime bande musicali, correnti sotto la tonda denominazione di “Concerto Musicale Città di….”, oppure “Gran Concerto Musicale Città di….”, oppure ancora “Premiato Gran Concerto Musicale Città di….”. Tra di esse, mi piace menzionare quelle che godevano maggiore prestigio: Bari (Maestro Vitale), Lecce (M° D’Ascoli), Squinzano (M° Abate), Gioia del Colle (M° Falcicchio), Conversano, Carovigno, Montemesola, Acquaviva delle Fonti, Noci, Mottola, Nardò (Banda Verde), Manduria, Francavilla Fontana. Provenivano, invece, da fuori regione (Irpinia), le bande di Sturno e di Montefalcione. Dicevo, all’inizio, pressoché cinquanta componenti ciascuna, fra cui i mitici e bravi solisti (flicorno soprano, flicorno sopranino, flicorno tenore, flicorno baritono, 1° clarinetto, 1° corno, tutti rigorosamente professori), coordinati da un Maestro e Direttore Concertista, da un Vice Maestro e Direttore Artistico e dal Capobanda amministrativo. Le bande si spostavano da un posto all’altro, in certi casi percorrendo distanze considerevoli,  su vecchi autobus e si acquartieravano, con brandine, cucine, attrezzature e materie prime per preparare i pasti, o nelle aule e nei corridoi delle scuole, oppure negli androni coperti di qualche palazzo signorile: unica eccezione, il Maestro, a beneficio del quale era cercata e trovava ospitalità presso una famiglia del posto. Molto bello e suggestivo, subito dopo il loro arrivo, il primo giro dei musicanti, in divisa ordinaria, per le vie del paese, e ciò come gesto d’omaggio alla popolazione; poi, un altro attraversamento dell’abitato al seguito della processione con i simulacri del  Patrono e degli altri Santi localmente venerati e, infine, la loro esibizione, in uniforme di gala, sulla cassarmonica alzata  nella piazza principale della località, che durava, con brevi intervalli, dal tardo pomeriggio sino alla mezzanotte e oltre, per l’esecuzione delle opere preventivamente “concordate” con il Comitato Festa ed elencate in un comunicato cronologico affisso alla base della cassarmonica stessa. Ritornando un momento alle attuali feste patronali, qualche giorno fa ho letto che, in una località del Salento, erano andati perduti i files di un computer relativi alla rendicontazione, entrate e uscite, per la festa da svolgersi da lì a poco in quel paese, con la conseguenza di una vera e propria ondata di panico Al che (non so come sia poi andata a finire la faccenda), mi è riapparso davanti agli occhi il vecchio detto in latino, magari maccheronico “Si charta (qui, file) cadit, tota scientia vadit”. Per fortuna, inconvenienti del genere non si verificavano per niente mezzo secolo e passa addietro. All’epoca, gruppi di amici, di ogni età e mestiere, si mettevano fra loro d’accordo e “uscivano” per organizzare la festa patronale. Dette persone, sicure, nella loro coscienza, di rappresentare, senza ombra di dubbio, l’intera comunità e di riscuoterne la fiducia, con pochi fronzoli, nel corso di lunghi mesi, svolgevano un lavoro volontario di grande e lodevole impegno, senza risparmiarsi e senza limiti. Per iniziare, si curava la presenza domenicale, in piazza, della “cassetta” per raccogliervi offerte dagli uomini che vi convenivano e sostavano per la S. Messa, per un passaggio alla bettola o, semplicemente, per capannelli e chiacchiere, sul più e sul meno, fra gruppi di amici e compaesani. C’era poi, in concomitanza, il giro, per opera di incaricati disponibili, di tre o quattro “guantiere” per le vie del paese, si bussava agli usci di ogni casa e anche lì donne e anziani deponevano un piccolo contributo. L’operazione principale consisteva, però, nel lungo e faticoso passaggio casa per casa, la sera dei giorni feriali, da parte di alcuni componenti del comitato festa, finalizzato a raccogliere e annotare, su un apposito registro, la “sottoscrizione” di ciascun nucleo familiare (la somma sottoscritta era materialmente versata nelle mani del Comitato, in prossimità o alla vigilia o la stessa sera della festa). Ancora, si spedivano centinaia di cartoline con l’immagine del Santo patrono ai compaesani residenti e/o dimoranti fuori, con la delicata richiesta di un contributo che, invero, non mancava di pervenire attraverso apposito vaglia postale intestato rigorosamente al Comitato. Infine, si raccoglievano manciate di grano sulle aie agricole in occasione della trebbiatura, “crie” d’olio dai macinanti “particolari” nei frantoi, o quantitativi di vino nei palmenti, o fichi secchi o carrube dai produttori. Merci che, ovviamente, erano vendute e monetizzate. Così, sul fronte delle entrate. In parallelo, con un’attenta occhiata ai consuntivi precedenti e alle previsioni d’incasso, si passava a contrattare, primariamente, la banda o le bande, e successivamente gli “apparati” (luminarie) e i fuochi pirotecnici. Si snodava un continuo e scrupoloso esercizio d’equilibrio fra le colonne del dare e dell’avere, ma, ciononostante, potevano, sporadicamente, emergere situazioni di imprevisti all’ultimo minuto e conseguenti timori di “disavanzi”; al che, nell’animo dei componenti del comitato, si affacciavano anche affanni e preoccupazioni. Nondimeno, alla fine, dominava sempre il principio che, agli impegni, occorreva ad ogni costo fare completamente e puntualmente fronte, sicché, tra le medesime persone, veniva fuori una sorta di parola d’ordine o di giuramento “se dovesse mancarci uno o due milioni (di lire), vorrà dire che ciascuno di noi, in aggiunta a quanto ha già sottoscritto e versato, si farà carico di un’ulteriore tassazione pro quota, in modo da pareggiare e saldare i conti”. Sicuramente, mai che aleggiassero, per gli interessati, ambizioni di lucro. Rivedo e ricordo tuttora i volti e le voci dei compaesani che con più spiccata frequenza solevano “uscire” per organizzare la festa patronale al mio paese di nascita. Per un piccolo e silenzioso gesto di riguardo nei loro confronti, desidero citarne i nomi: Costantino A, Cosimo A., Gervasio A., Valerio A., Antonio A,, Costantino C., Amleto M. Antonio M., Salvatore M., Salvatore F., Silvio B, Consiglio B., Remo M., Olivio N., Salvatore N., Adolfo M., Salvatore V. Un’ultima notazione. Nel mio piccolo centro di riferimento, la festa del patrono S. Vitale ricorre il 28 aprile. Negli anni lontani, come è noto, le stagioni erano ordinate e regolari, al contrario d’adesso, quel giorno si avvertiva, in genere, aria di primavera avanzata e, spesso, la temperatura era decisamente mite, quasi calda. Così, accadeva che, nel primo pomeriggio, dopo il pranzo, gruppi di bandisti, specie se provenienti da paesi dell’entroterra, scendessero a piedi all’insenatura Acquaviva  per “prendersi” il primo bagno della stagione. Un fatto, se si vuole irrilevante, che, ad ogni modo, per noi del posto, specie per noi ragazzini, era un rito. Voleva, in sostanza, significare, se non l’inizio vero e proprio, quantomeno un anticipo dell’estate che di lì a poco sarebbe arrivata in pieno.

Attualità

”FRIENDS 4 AUT”, parte il progetto del centro servizi per l’autismo

Con la realizzazione di percorsi di assistenza alla socializzazione in favore di soggetti di età fino ai 21 anni con disturbi dello spettro autistico, residenti nei 14 Comuni dell’Ambito Territoriale Sociale di Gagliano del Capo…

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E’ partito il progetto: ”FRIENDS 4 AUT” promosso dall’Ambito Territoriale Sociale di Gagliano del Capo e finanziato dall’assessorato al Welfare della Regione Puglia, in collaborazione  con “GLI AMICI DI NICO” -Centro servizi per l’autismo.
Il tutto si mescola delicatamente con la realizzazione di percorsi di assistenza alla socializzazione in favore di soggetti di età fino ai 21 anni con disturbi dello spettro autistico, residenti nei 14 Comuni dell’Ambito Territoriale Sociale di Gagliano del Capo.
In ultimo, l’ingrediente più prezioso, capace di rendere tutto unico e indimenticabile: i bambini ed i ragazzi coinvolti nel progetto, che verranno coadiuvati e supportati da bambini e ragazzi normodotati in un’ottica di integrazione. Senza definizioni, senza diagnosi, senza barriere né etichette, i partecipanti vivranno più giornate loro dedicate all’insegna del divertimento, della sperimentazione, della scoperta, ma soprattutto della vera inclusione.
Tali eventi, programmati, per il momento, nei comuni di Tricase, Ugento e Castrignano del Capo, accoglieranno diversi tipi di laboratori (piantumazione di piante da fiore, ortoterapia, pittura con tempere e acquerelli, sport all’aperto, musicoterapia), ma anche momenti di convivialità con ricchi e gustosi buffet di rinforzo ai quali parteciperanno altresì associazioni del territorio e famiglie.
Obiettivo generale del progetto è valorizzare l’autonomia, le abilità sociali, la capacità di autodeterminazione e promuovere lo scambio di competenze e valore reciproco. È importante sottolineare che ogni bambino è un individuo unico, con le proprie preferenze e stili di comunicazione.
Quindi, sarà fondamentale adattare le strategie di comunicazione alle esigenze specifiche di ognuno. Osservare attentamente il bambino, imparare a conoscerne i segnali non verbali e adattarsi alle sue preferenze per favorire una comunicazione più efficace e significativa.
Ma il sapore più intenso che lascerà questa esperienza è senza dubbio la condivisione, con un retrogusto di gentilezza.
Sì, perché i ragazzi che partecipano al progetto donano più di quanto ricevono. Ancora una volta queste pagine di vita danno a tutti noi la possibilità di comprendere quanto la diversità ci possa arricchire, quanto ancora possiamo e dobbiamo imparare da chi riesce a rendere un punto debole, un chiaro punto di forza!
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Attualità

Sant’Isidoro, demolito vecchio fabbricato a due passi dal mare

Per anni ha ospitato la sede della Pro Loco. “Liberato” così l’orizzonte della marina. il sindaco Pippi Mellone: «L’ennesimo mostro ambientale spazzato via dalla nostra rivoluzione»

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È stato finalmente demolito nei giorni scorsi nella marina di Sant’Isidoro il vecchio edificio in muratura a pochi metri dal mare, che ha ospitato per molti anni la sede della locale Pro Loco e il punto di soccorso estivo.

Un’autentica “bruttura”, del tutto incompatibile con la bellezza naturalistica del luogo, al pari di altre costruzioni (il comune di Nardò ne ha già abbattute altre tre, realizzate su aree demaniali in questo segmento di litorale) e di fenomeni di abusivismo edilizio e di compromissione dei contesti naturalistici che hanno mortificato la costa negli scorsi decenni.

L’intervento, eseguito (al termine di un lungo iter autorizzativo) da un raggruppamento temporaneo di imprese, rientra nel più ampio intervento di riqualificazione paesaggistica integrata della fascia costiera della marina, progettato dall’arch. Antonio Vetrugno e finanziato con 1,3 milioni di euro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), già in corso da circa un anno e mezzo.

La demolizione del fabbricato, peraltro, ha incontrato e superato lo “scoglio” giudiziario di un ricorso al Tar da parte della Pro Loco.

Il giudice amministrativo, con una pronuncia del dicembre scorso, ritenendo non sussistente una proroga della concessione demaniale vantata dalla Pro Loco, ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico all’ultimazione dei lavori di riqualificazione su quello privato (peraltro, ingiustificato) alla conservazione dello status quo.
«L’ennesimo mostro ambientale spazzato via dalla nostra rivoluzione», ha commentato con un post su Facebook il sindaco Pippi Mellone, «abbiamo speso un po’ di tempo in più, perché c’è stato qualche ostacolo di troppo. Ma abbiamo spazzato via, come sempre, anche quello. Adesso abbiamo liberato il panorama, il lungomare, le albe e i tramonti di Sant’Isidoro dal cemento e dalle brutture. Al suo posto, a poca distanza, una struttura polifunzionale in legno, ecosostenibile, che ospiterà il pronto soccorso. Stiamo demolendo i mostri ereditati dal passato e stiamo costruendo la città del futuro. Col cuore, come sempre. Ora anche Sant’Isidoro diventerà bellissima!».

Il progetto di riqualificazione, adesso, potrà essere ultimato. Prevede la realizzazione di aree per il parcheggio e di aree per la fruizione dei pedoni (con l’installazione di un nuovo sistema di illuminazione), l’eliminazione di altri manufatti, di spianamenti, scivoli e del piccolo molo a servizio delle imbarcazioni, un intervento di rinaturalizzazione ambientale con ripascimento delle superfici sabbiose della zona, oltre che la pulizia dalla vegetazione infestante e il recupero delle condizioni ambientali dell’inghiottitoio (o “spunnulata”) presente sul lungomare.

Nasceranno, inoltre, una struttura per la sosta e un tratto di pista ciclabile per favorire la mobilità sostenibile.

Un’altra struttura in legno è stata ultimata e destinata a nuova sede della Proloco e a punto di pronto soccorso estivo.

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Lecce, i bambini tornano nelle aule in via Basilicata

A giugno del 2022, infatti, a seguito dell’avvio dei lavori di adeguamento sismico furono riscontrati importanti elementi di instabilità che coinvolgevano i pilastri e le travi,

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Ammirato Falcone, via Basilicata: i bambini tornano nelle aule

Da giovedì 4 aprile i bambini della scuola dell’infanzia dell’istituto di Lecce, Ammirato Falcone, di Via Basilicata, sono tornati nelle loro aule, dopo i lavori urgenti di ristrutturazione e messa in sicurezza del corpo B dell’edificio. 

A giugno del 2022, infatti, a seguito dell’avvio dei lavori di adeguamento sismico furono riscontrati importanti elementi di instabilità che coinvolgevano i pilastri e le travi, tanto da costringere il sindaco, su relazione della direzione dei lavori, ad una ordinanza di chiusura per inabilità dell’edificio e determinare di conseguenza la chiusura anticipata delle lezioni e il conseguente spostamento degli alunni in altro plesso scolastico, nelle more del completamento dei lavori. 

Da giovedì, dunque, i bambini di Via Basilicata sono tornati nell’edificio ristrutturato e messo in sicurezza, adeguato a norme e tecnologie costruttive antisismiche.

Riqualificati anche gli ambienti destinati al servizio di mensa.

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