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Patù: la “Centopietre” nel ricordo di Marco
Sarà presentato sabato 15 ottobre, dalle 18,30, a Patù, presso il Palazzo “Liborio Romano”, il libro di Luigi Galante, di Soleto, dal titolo “Pietro Cavoti.
Sarà presentato sabato 15 ottobre, dalle 18,30, a Patù, presso il Palazzo “Liborio Romano”, il libro di Luigi Galante, di Soleto, dal titolo “Pietro Cavoti. La Centopetre di Patù”. “E’ con immenso piacere”, dichiara l’autore, “che presento questo volume agli amici di Patù, e a tutti coloro che si interessano di Storia Patria. Ma, cosa ancor più importante, sento il dovere di dedicarlo ad un caro amico e cittadino di Patù, oggi scomparso per aver reso gloria a questa Patria italiana, che lo annovera ora nel largo numero dei suoi prodi figli. Il suo nome echeggia ancora in questo luminoso e caldo paesino del sud Salento. Egli è il caporal maggiore dell’Esercito, Marco Pedone (a cui giorni fa è stata intitolata una piazza del paese, Ndr), in servizio al 7° Reggimento Alpini di Belluno, morto nel drammatico attentato in Afghanistan che noi tutti rammentiamo. Era il 9 ottobre 2010. Spero che con questo libro l’eroe di Patù “sopravviva” sempre nel ricordo di ognuno di noi”. In merito al contenuto del volume, Luigi Galante spiega che “ho appreso dell’esistenza di questa raccolta di acquerelli del Cavoti che ora si pubblicano e dei cenni illustrativi per la Centopietre di Patù, datata 1878, durante gli studi sulla mia Soleto. Si tratta di un raccoglitore che mi capitò per caso tra le mani, precisamente nel mese di marzo del 2005, col titolo “Centopietre di Patù. Studi di Pietro Cavoti. Autografi”. Così cominciai ad interessarmi della cosa; il raccoglitore giace “sconosciuto” da ben 133 anni. Insomma, a spingermi nell’impresa di divulgare lo studio sull’edificio monumentale di Patù, non è stata solo la curiosità e la bellezza delle immagini che riempiono lo scritto cavotiano; determinante è stato il desiderio di diffondere la conoscenza di un tempo e di una memoria colpevolmente trascurata, e dimenticata. L’occasione fornitami da quel raccoglitore ho sentito che non doveva essere sprecata. Osservando gli acquerelli, i documenti e le lettere giunte al Cavoti, ho visto conservati anni e anni di storia che è poi tutt’uno con le radici di questa terra e di questa gente. Ricordare, tornare indietro nel tempo, vuol dire tracciare sentieri più lineari al nostro cammino. Scorrendo a fondo queste immagini, sopra le più facili tracce della memoria, emerge il suo affetto e appaiono i segni dell’uomo e cominciano a manifestarsi i sentimenti; e la commozione si fa forte. Dietro la staticità di questo piccolo monumento, si avvertono la fatica e il sudore, la sofferenza silenziosa degli uomini di questa terra, tenaci, umili e orgogliosi, che hanno trascinato e messo pietra su pietra per la costruzione dell’opera e l’hanno edificata senza nessun riconoscimento, riservando a sé il sacrificio e il silenzio dei loro nomi, rendendo omaggio al cavaliere mitico “…un capitano francese, di nome Simighiano che con l’esercito franco-italiano di Carlo (Magno) campeggiava presso Patù, e proprio nel luogo che ancora viene denominato Campo Re, fu ucciso a tradimento dai Saraceni ai quali era stato inviato come parlamentario. Si aggiungeva, che quel tradimento fu presto vendicato, perché i Cristiani assalirono il campo nemico, sconfissero i Saraceni e riconquistarono il cadavere di Simighiano”. E il Tasselli aveva detto «Lo seppellirono vicino alla chiesa di S. Giovanni Battista, dentro onorato sepolcro, o cappella fabbricata con cento pietre che ancora si vede ». E il Marciano a sua volta con più chiarezza disse: «Morto il cavaliere Seminiano, generale dell’esercito, uomo di santissima vita, gli fè Carlo (Magno) separatamente dagli altri edificare una cappella di cento pietre per suo sepolcro, vicino alla detta chiesa di S. Giovanni, …». Ho pensato di impostare questa storia del monumento della Cento Pietre in una maniera diversa, facendo gustare al lettore il testo ottocentesco del Cavoti riprodotto in originale con la mia trascrizione a fronte; pagina dopo pagina. Gli acquerelli riportati, e fin qui inediti sono tratti come ho detto da un raccoglitore individuato col numero 3434 conservato nel Museo Civico del Comune di Galatina; alle autorità preposte va tutto il mio ringraziamento sia per la autorizzazione concessami sia per l’aiuto nelle ricerche, e non per ultimo, ringrazio il personale del Museo in particolare Silvia Cipolla, per la continua disponibilità accordatami nei lunghi anni di permanenza dei miei sopralluoghi. L’impostazione data da me a questa pubblicazione, potrà suscitare qualche critica fra gli studiosi; ed io stesso sono consapevole che altri criteri avrebbero potuto essere adottati, ma ho fatto queste scelte per favorire una pronta lettura, che sicuramente sarà ben accetta dal pubblico, soprattutto da quello di Patù, che si vedrà custode di una nuova documentazione storica per la propria città. Ecco perché a Patù e alla storia di questo misterioso monumento arcaico, offro oggi i documenti “nascosti” nel Museo galatinese, che riaffiorano dopo 133 lunghi anni, venendo incontro ad un popolo di uomini comuni e illustri, parlando con il linguaggio delle inedite immagini e con la forza dei documenti, delle opinioni, delle testimonianze dei confronti tra gli studiosi di allora e di oggi che hanno dato un valido, grande contributo alla memoria. Questo inedito la dobbiamo ad un solo protagonista, Pietro Cavoti (Galatina, 1819/90); uno tra i patrioti dell’Ottocento, il quale condivise il difficile periodo storico con Liborio Romano da Patù, il grande protagonista dell’unione di Napoli all’Italia; ma in fondo il vero protagonista è il popolo di Patù che da secoli ha il culto del suo monumento. Come scrive Massimo Montinari, nipote dell’Illustre Michele Montinari (Galatina 1888/1966) “La storia è scritta dal popolo che non è comparsa orfana, ma è attore, artefice degli eventi”. Dunque, offro questo libro al lettore e a tutti i cittadini di Patù”.
Appuntamenti
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Attualità
Sant’Isidoro, demolito vecchio fabbricato a due passi dal mare
Per anni ha ospitato la sede della Pro Loco. “Liberato” così l’orizzonte della marina. il sindaco Pippi Mellone: «L’ennesimo mostro ambientale spazzato via dalla nostra rivoluzione»
È stato finalmente demolito nei giorni scorsi nella marina di Sant’Isidoro il vecchio edificio in muratura a pochi metri dal mare, che ha ospitato per molti anni la sede della locale Pro Loco e il punto di soccorso estivo.
Un’autentica “bruttura”, del tutto incompatibile con la bellezza naturalistica del luogo, al pari di altre costruzioni (il comune di Nardò ne ha già abbattute altre tre, realizzate su aree demaniali in questo segmento di litorale) e di fenomeni di abusivismo edilizio e di compromissione dei contesti naturalistici che hanno mortificato la costa negli scorsi decenni.
L’intervento, eseguito (al termine di un lungo iter autorizzativo) da un raggruppamento temporaneo di imprese, rientra nel più ampio intervento di riqualificazione paesaggistica integrata della fascia costiera della marina, progettato dall’arch. Antonio Vetrugno e finanziato con 1,3 milioni di euro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), già in corso da circa un anno e mezzo.
La demolizione del fabbricato, peraltro, ha incontrato e superato lo “scoglio” giudiziario di un ricorso al Tar da parte della Pro Loco.
Il giudice amministrativo, con una pronuncia del dicembre scorso, ritenendo non sussistente una proroga della concessione demaniale vantata dalla Pro Loco, ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico all’ultimazione dei lavori di riqualificazione su quello privato (peraltro, ingiustificato) alla conservazione dello status quo.
«L’ennesimo mostro ambientale spazzato via dalla nostra rivoluzione», ha commentato con un post su Facebook il sindaco Pippi Mellone, «abbiamo speso un po’ di tempo in più, perché c’è stato qualche ostacolo di troppo. Ma abbiamo spazzato via, come sempre, anche quello. Adesso abbiamo liberato il panorama, il lungomare, le albe e i tramonti di Sant’Isidoro dal cemento e dalle brutture. Al suo posto, a poca distanza, una struttura polifunzionale in legno, ecosostenibile, che ospiterà il pronto soccorso. Stiamo demolendo i mostri ereditati dal passato e stiamo costruendo la città del futuro. Col cuore, come sempre. Ora anche Sant’Isidoro diventerà bellissima!».
Il progetto di riqualificazione, adesso, potrà essere ultimato. Prevede la realizzazione di aree per il parcheggio e di aree per la fruizione dei pedoni (con l’installazione di un nuovo sistema di illuminazione), l’eliminazione di altri manufatti, di spianamenti, scivoli e del piccolo molo a servizio delle imbarcazioni, un intervento di rinaturalizzazione ambientale con ripascimento delle superfici sabbiose della zona, oltre che la pulizia dalla vegetazione infestante e il recupero delle condizioni ambientali dell’inghiottitoio (o “spunnulata”) presente sul lungomare.
Nasceranno, inoltre, una struttura per la sosta e un tratto di pista ciclabile per favorire la mobilità sostenibile.
Un’altra struttura in legno è stata ultimata e destinata a nuova sede della Proloco e a punto di pronto soccorso estivo.
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